Marco De Martino, Panorama 30/06/2005, 30 giugno 2005
Risarcimenti vittime 11 settembre, Panorama, 30 giugno 2005 Quanto vale una vita? L’avvocato Kenneth Feinberg se lo è chiesto 2
Risarcimenti vittime 11 settembre, Panorama, 30 giugno 2005 Quanto vale una vita? L’avvocato Kenneth Feinberg se lo è chiesto 2.880 volte, una per ognuna dele vittime degli attacchi dell’11 settembre contro New York e Washington che si sono rivolte a lui, e ogni volta si è dato una risposta diversa. I suoi calcoli di amministratore unico del fondo governativo per il risarcimento del disastro lo hanno portato a riconoscere 7 milioni di dollari alla vedova di un broker di borsa che ha lasciato tre figli, ma molto meno ai figli del pompiere che cercava di salvarlo. Quando la moglie di uno dei morti delle Torri gli ha confessato di avere un tumore che se la sarebbe portata via entro due mesi, lasciando orfani i suoi due bambini, l’avvocato Feinberg ha aumentato la cifra dell’indennizzo. Lo stesso ha fatto dopo avere ascoltato lo strazio di un padre peruviano che l’11 settembre perse un figlio tra le fiamme del ristorante Windows on the world e 14 mesi dopo trovò un altro figlio morto suicida per il dolore. Ma non importa quanti soldi attribuisse: Feinberg scopriva sempre che i suoi milioni non bastavano. "Niente mi aveva preparato a questa sfida" dice Feinberg a Panorama, mentre negli Stati Uniti esce il libro in cui racconta la sua esperienza, intitolato proprio What is life worth? (Quanto vale una vita?). Del resto la sua è stata dall’inizio una missione impossibile. Quando il 26 novembre 2001 venne nominato amministratore unico del fondo, Feinberg ricevette l’incarico di calcolare l’incalcolabile. Non gli venne dato alcun limite di budget, ma neppure regole. Tranne una, la più crudele: non poteva distribuire la stessa somma a tutti, doveva calcolare il danno economico subito da ciascuna famiglia. Presto si rese conto delle conseguenze di questa decisione. Resi uguali dall’essere tutti scomparsi nello spazio di 102 minuti, i morti dell’11 settembre tornavano a essere diversi nell’aldilà. Non più mariti, figli e madri, ma dirigenti od operai, miliardari o proletari. La legge che il Congresso passò per risarcire le vittime non fu dettata dalla generosità: l’importante era mettere le compagnie aeree al riparo da querele di massa, e chi aderì al fondo amministrato da Feinberg rinunciò al diritto di farlo. Nessuno meglio di Feinberg poteva convincere le vittime: prima di loro aveva difeso i veterani del Vietnam esposti alla diossina e le vittime dell’amianto. A lui era stato chiesto di stimare il valore del video dell’assassino di John Kennedy nel 1963: Feinberg decise che il governo avrebbe dovuto pagare 16 millioni di dollari agli eredi della famiglia Zapruder (autore delle riprese) e nessuno ebbe nulla da ridire. Le cose non sono andate altrettanto bene nel caso del fondo per le vittime dell’11 settembre: "Da subito cominciai a ricevere lettere di vittime di altri disastri americani" racconta Feinberg. "Quella dei parenti delle vittime del primo attacco contro le Torri gemelle nel 1993, dell’attentato a Oklahoma City del 1995, degli attacchi contro le ambasciate in Kenva e Tanzania del 1998. Tutte chiedevano: perché io non ho diritto a un assegno?". Perché nulla nella storia americana è paragonabile all’11 settembre, ha dovuto rispondere l’avvocato, che subito si è messo al lavoro per stabilire il Sistema di calcolo del risarcimento. Ha deciso che avrebbe assegnato 250 mila dollari alle famiglie di ogni vittima, più 100 mila per ogni figlio o persona a carico, ma subito sono scattate le proteste: "Tutti mi dicevano che il loro dolore valeva molto di più". Feinberg ha dovuto poi stabilire caso per caso quanto avrebbero guadagnato le vittime se avessero continuato a lavorare: più di mille tra incontri individuali e riunioni di gruppo. Per 32 mesi non ha fatto altro. Ha ascoltato immigrati che lo ringraziavano per le poche centinaia di migliaia di dollari che avrebbero ricevuto, e legali di trader di borsa che gli chiedevano se commissioni e benefit sarebbero stati inclusi nel conto. "Alcuni volevano 20 milioni di dollari, ma io aggiustavo le cifra verso il basso". Poi c’erano le coppie gay, o i patner dei deceduti: "In un caso la fidanzata voleva i soldi, ma i genitori sostenevano che il figlio morto non l’avrebbe mai sposata: ogni situazione è stata risolta dopo molti colloqui ". Alla fine sono stati pagati 7 miliardi di dollari a 5.560 famiglie: 2 milioni in media ai parenti dei morti, 400 mila a quelli dei feriti. Solo 85 persone hanno deciso di non aderire al fondo e di procedere per vie legali: prima di essere risarcite, se ci riusciranno, passeranno decenni. Feinberg è soddisfatto, ma questo lavoro lo ha cambiato per sempre: "La mia vita di prima non esiste più: ora sono più fatalista, non programmo mai nulla con più di due settimane d’anticipo". Aveva uno studio legale con 25 avvocati, ora ridotti a sette, perché vuole insegnare di più: "Ho capito che i soldi non ripagano della perdita di una persona cara. Alla fine di ogni discussione un padre mi chiedeva come recuperare il portafoglio del figlio trovato tra le macerie, una vedova mi mostrava le medaghe lasciate dal marito". Feinberg dubita che il governo americano ripeterà un’iniziativa come quella del fondo. "Se però dovesse accadere sarebbe meglio assegnare a tutti la stessa somma" pensa ora. Marco De Martino