Sergio Romano, Corriere della Sera, 22/06/2005, 22 giugno 2005
Come calcolare il sommerso: un problema italiano, Corriere della Sera, 22/06/2005 Mi sembra che un Paese che abbia il 40 per cento di sommerso dovrebbe vergognarsene per la sfacciata prova di inefficienza e di corruzione che esso rappresenta, per l’inganno che esso perpetra nei confronti degli altri membri dell’Unione Europea, per la oltraggiosa e crudele beffa che esso quotidianamente infligge a quel 60 per cento di emerso che rispetta le norme e paga le imposte
Come calcolare il sommerso: un problema italiano, Corriere della Sera, 22/06/2005 Mi sembra che un Paese che abbia il 40 per cento di sommerso dovrebbe vergognarsene per la sfacciata prova di inefficienza e di corruzione che esso rappresenta, per l’inganno che esso perpetra nei confronti degli altri membri dell’Unione Europea, per la oltraggiosa e crudele beffa che esso quotidianamente infligge a quel 60 per cento di emerso che rispetta le norme e paga le imposte. Il nostro presidente del Consiglio invece lo vanta, in sede ufficiale europea, come una prova della « solidità » della nostra economia. Mah, sono francamente sconcertato. E lei? Gianni de Felice gdefel@ tin. it Caro de Felice, ciò che mi sconcerta, in primo luogo, è l’entità del sommerso denunciato dal presidente del Consiglio. Tutti sapevamo che esso rappresenta una parte considerevole del nostro Prodotto interno lordo. Mala percentuale del 40 per cento mi è sembrata straordinariamente elevata. In una intervista a SergioRizzo apparsa nel Corriere del 15 gennaio 2003, Francesco Forte, ministro delle Finanze in uno dei governi degli anni Ottanta, raccontò di avere pubblicato allora in Mondoperaio un articolo in cui contestava il metodo di calcolo del Pil. « Basti pensare – spiegò – che per il reddito delle abitazioni di proprietà si utilizzava l’affitto teorico: concetto giusto, se non fosse che per affitto teorico si considerava l’equo canone, che sul mercato libero nessuno pagava » . Bettino Craxi si innamorò dell’idea e l’Istat procedette a una rivalutazione, nel 1987, che fece fare al Prodotto interno lordo dell’Italia un balzo in su del 12 per cento. Dal sesto posto, nella gerarchia delle maggiori potenze economiche mondiali, salimmo al quinto « superando di slancio la Gran Bretagna » . Ma si trattò certamente di una stima per difetto. Nel 1998 la Commissione europea calcolò che il sommerso italiano superava il 20 per cento. Passarono tre anni e Antonio D’Amato, presidente della Confindustria, dichiarò all’Assemblea del 24 maggio 2001 che il sommerso italiano si aggirava fra il 28 e il 30 per cento. Quando qualcuno manifestò sorpresa e scetticismo, fu spiegato che la percentuale era basata su una ricerca del Centro studi di Confindustria e su quella del professor Friedrich Schneider dell’Università di Linz. Schneider sosteneva che il sommerso ha bisogno di contanti e che il miglior modo per calcolarlo è quello di tener d’occhio il circolante, vale a dire la quantità di moneta usata dal Paese. Sulla base di questo dato il professore di Linz giungeva alla conclusione che il sommerso italiano era probabilmente pari al 28,5 per cento. Non mi chieda, caro de Felice, una analisi dei diversi metodi adottati per calcolare l’entità dell’ « economia nera » e un giudizio sulla loro attendibilità. Non saprei darle soddisfazione. Mi limito a osservare che i confronti tra le diverse cifre sono possibili soltanto se i calcoli vengono fatti con gli stessi criteri. Berlusconi avrebbe dovuto dirci quali sono quelli da lui adottati. Anch’io, naturalmente, sono sconcertato dalla « sfacciataggine » del presidente del Consiglio. Ma ho l’impressione che abbia almeno due attenuanti. In primo luogo, se il sommerso esiste occorre dirlo con franchezza. Berlusconi non avrebbe dovuto farne materia di una battuta e avrebbe dovuto cogliere l’occasione per spiegare al Paese come il governo intenda rimediare a questa grave anomalia. Ma la verità, in questi casi, è sempre preferibile alla reticenza. In secondo luogo Berlusconi ha parlato dopo una fase in cui le condizioni economiche del Paese sono state descritte con toni apocalittici. Sappiamo che le cose non vanno bene e che questo governo è responsabile, tra l’altro, di avere fatto molto poco per vincere la resistenza delle numerose corporazioni che si oppongono alla liberalizzazione del mercato italiano. Ma la polemica sul declino e sulla stagnazione aveva un evidente scopo politico e finiva per aggravare irresponsabilmente il clima del Paese. Benché la crisi colpisca duramente alcuni gruppi sociali, le condizioni dell’Italia, per chiunque si guardi attorno, non sono quelle che emergono dalle cifre ufficiali. Vi è una ricchezza sepolta che consente al Paese di cavarsela non troppo male. L’opposizione, che quando era al governo tentò inutilmente di portarla alla superficie, non può ignorarlo e dovrebbe ricordare che il problema, fra qualche mese, potrebbe tornare nelle sue mani. risponde SERGIO ROMANO