Sandro Viola, La Repubblica, 24/06/2005, 24 giugno 2005
Così il comunismo divenne mito, La Repubblica, 24/06/2005 "Si dice "mito dell´Urss", ma la parola giusta da impiegare è quella di amore
Così il comunismo divenne mito, La Repubblica, 24/06/2005 "Si dice "mito dell´Urss", ma la parola giusta da impiegare è quella di amore. Fu un grande amore quello che i comunisti e i socialisti italiani, e con loro una parte della cultura italiana, nutrirono per l´Urss, l´Urss di Stalin, l´Urss della guerra e del dopoguerra. E come tutti i grandi amori era assoluto, cieco, desideroso soltanto di conferme dall´oggetto amato". Scriveva così in un suo libro, Le passioni d´un decennio: 1945-1956, lo storico del Pci Paolo Spriano. E proseguiva spiegando come da quell´amore fosse poi scaturita "non soltanto una vasta opinione pubblica socialista-comunista, ma una concezione generale (culturale, filosofica, storica) che aveva il suo punto fermo, il suo discrimine, nell´Urss di Stalin". "Una concezione generale che aveva il suo punto fermo nell´Urss di Stalin"? Oggi suona assurdo, ma è vero, le cose andarono proprio così. Più o meno comprensibile tra i braccianti del Tavoliere e gli operai di Sesto San Giovanni, l´"amore per l´Urss" (per un sistema politico di "terrificante diversità rispetto alla storia e alla cultura dell´Europa", come avrebbe scritto più tardi Milan Kundera) s´era man mano trasformato in una demente, inspiegabile "concezione generale". Tra la fine dei Quaranta e l´inizio dei Cinquanta c´erano miei coetanei ancora tenuti a salutare le loro nonne, dalle quali avrebbero un giorno ereditato grosse proprietà terriere, col baciamano: eppure fervevano di passione per Togliatti, Secchia e Stalin. I libri che portavano in spiaggia erano La giovane guardia di Alexandr Fadeev, I giorni e le notti di Konstantin Simonov, Il figlio del reggimento di Valentin Kadaev, vale a dire la ridicola letteratura sovietica esaltata dalla stampa del partito comunista. E quanto al cinema, inutile dirlo: quei miei amici deliravano per i film muti di Ejzenstejn e Pudovkin. Furono infatti loro a trascinarmi due o tre volte in un cineclub gestito da attivisti del Pci, per assistere alle proiezioni della Corazzata Potemkin. E ancora non ho dimenticato il tedio di quei pomeriggi. Le copie del film erano consunte, i proiettori gli stessi (ronzanti come una trebbiatrice, facili a incepparsi) che quindici anni prima erano serviti per i film con Emma Gramatica e Beniamino Gigli. Ma nella sala s´udivano mormorii d´ammirazione già alle prime inquadrature. Le onde che battevano sui moli di Odessa, il campo lungo sulla corazzata, l´entrata in scena dei marinai Matjuscenko e Vakulenciuk. Il film essendo muto, nessuno poteva sapere perché Vakulenciuk stesse parlando tanto concitatamente a Matjuscenko. Ma finalmente arrivava la didascalia: "Noi marinai della Potemkin dobbiamo sostenere la lotta dei nostri fratelli lavoratori, stare in prima fila nella marcia verso la rivoluzione". E Matjuscenko, inutile dirlo, assentiva entusiasta. Seguiva il resto. La scena della carne brulicante di vermi che i marinai rifiutavano di mangiare (didascalia: "Basta con la carne marcia"), la discussione con il medico di bordo, l´ammutinamento. Gli ufficiali scaraventati in mare, la morte di Vakulenciuk per mano del perfido comandante Giljarovskij (didascalia: "Lui che fu il primo a lanciare il grido della ribellione, fu la prima vittima del boia"), sinché i rivoltosi s´impadronivano della corazzata. A questo punto nella sala del cineclub, puntualmente avviati dai giovani comunisti, scrosciavano gli applausi. E altri applausi si sarebbero ripetuti più volte, sino alla famosa sequenza della truppa zarista che scende la scalinata del porto sparando sulla folla e travolgendo l´altrettanto famosa carrozzina. Sì, Spriano ha descritto molto bene quel che era successo in quegli anni: l´imporsi, cioè, d´una "concezione generale che aveva il suo punto fermo nell´Urss di Stalin". Io stesso, del resto, dovevo ormai partecipare di quella "concezione". Altrimenti perché sarei restato a guardare le facce del marinaio Vakulenciuk e del fellone Giljarovskij, quando a pochi passi c´erano cinematografi con film meravigliosi, i film con Gary Cooper, Misha Auer, Hedy Lamarr e Cary Grant? Com´era più istruttivo del cinema sovietico, infatti, il cinema americano. In Scandalo a Filadelfia avevamo imparato, seguendo i gesti del padre di Katherine Hepburn, a preparare un Martini. Nella Signora Miniver, Walter Pidgeon indossava giacche stupende che studiavamo con attenzione spasmodica, nei pochi secondi in cui passavano sullo schermo, per poi farle riprodurre dai nostri sarti di provincia. Il gessato grigio-chiaro di Cary Grant in Sospetto ci aveva insegnato una volta per tutte come dovesse essere un abito da mattina. Ancora in Scandalo a Filadelfia, avevamo stabilito che cosa fosse il paradiso: ballare una notte con una ragazza elegante e un po´ sbronza sul bordo d´una piscina, come facevano James Stewart e la Hepburn. Queste sì, erano iniziazioni. Questo avrebbe contato, nella vita, assai più della "concezione generale che aveva il suo discrimine nell´Urss di Stalin". Ma gli amici, i discorsi più frequenti e accalorati tra coetanei - per esempio i dibattiti che seguivano le proiezioni della Corazzata Potemkin - era sempre da quella parte che tiravano. Ed era lì, verso l´arsenale ideologico del partito comunista, che tiravano anche le conversazioni con gli assistenti universitari all´università, con gli intellettuali e i letterati (gli "ingegneri dell´anima", come li chiamava il loro adorato Stalin) che cominciavamo a frequentare. Dalla parte cioè della gloriosa rivoluzione d´ottobre, di Stalin che s´ergeva a baluardo dei dannati della terra contro lo sfruttamento colonial-capitalista, dell´Urss che ci difendeva dalle bombe atomiche degli americani. A me piacevano i romanzi, soprattutto quelli d´amore e morte: ma c´era sempre un devoto di Stalin che alzava il dito per ammonire che sì, d´accordo la letteratura, purché secondo il principio Na literaturnom postu. Il giovane stalinista diceva proprio così, lo diceva in russo: Na literaturnom postu, che significa "al posto di guardia letterario". E così, tra l´eroico marinaio Vakulenciuk e il "posto di guardia letterario", tra Fadeev, Kataev e Il placido Don, si perdevano una quantità di occasioni preziose: un film con Carol Lombard, La bandera con Gabin e Viviane Romance, tanti bei libri di D´Annunzio, Morand, Maugham e Lucio d´Ambra. Perciò mi viene da ridere ogni volta che si riattizza la polemica sulla "egemonia culturale" del Pci. Ogni volta che saltano su quelli che negano ci sia stata un´egemonia, e lo negano argomentando che nessuno fu obbligato con la forza a incensare Stalin e Togliatti. Costoro dovrebbero spiegare come mai, allora, si fosse andata formando la "concezione generale" descritta da Spriano. Come si fosse potuto imporre quello che Furet chiamava "il fascino universale dell´Ottobre". E perché mai io mi facessi strappare a Ginger Rogers e Fred Astaire per sedere dinanzi ai plumbei, sonniferi primi piani della carne marcia nella cambusa del Potemkin. E un´ultima cosa. Adesso che so un po´ di storia, che non confondo più come allora il 1905 col Glorioso Ottobre e Odessa con Kronstadt, mi piacerebbe incontrare uno di quegli "ingegneri dell´anima" che orchestravano il dibattito dopo le proiezioni. Lo inviterei a riflettere sul fatto che dopo la rivolta della Potemkin la Russia ebbe un libero parlamento (zoppicante, è vero, un po´ aperto e un po´ chiuso), mentre dopo il ’17, quando vinsero i Vakulenciuk e i Matjuscenko, la Russia restò muta e tremante per settant´anni. Sandro Viola