Varie, 28 giugno 2005
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Ahmadinejad Mahmud
• Garmsar (Iran) 28 ottobre 1956. Politico. Dal 1986 volontario delle guardie rivoluzionarie nel conflitto Iran-Iraq (1980-88), sindaco di Teheran (2003-2005), nel 2005 è stato eletto presidente della repubblica islamica, primo laico ad assumere la carica. Ultraconservatore, ha dato impulso ai programmi nucleari iraniani e istigato alla distruzione di Israele attirandosi diffidenze nella comunità internazionale e sanzioni dell’Onu (Garzantina Universale 2008). Rieletto nel giugno 2009 (forti proteste dei sostenitori del candidato sconfitto Hossein Moussavi, convinti di esser vittima di brogli) • «[...] “Sono il figlio di un fabbro, combattente della rivoluzione, servo della nazione, povero tra i poveri. [...]” [...] ha stupito tutti con la sua fulminea ascesa. [...] era praticamente uno sconosciuto. Non importa fosse sindaco della capitale. Il Consiglio Comunale che lo nominò nel 2003 era stato votato da un risicato 14% di elettori. Si sapeva solo fosse un fedelissimo della Guida Suprema Ali Khamenei, amico di suo figlio, laico sì ma animato da un fervore religioso, capace di motivare ogni azione [...] è stato Pasdaran, miliziano rivoluzionario, infiltrato oltre le linee nemiche [...] capo dei Basiji, i giovani volontari islamici. Di sicuro un duro. Un militare. [...] dicono di Ahmadinejad: “È stato tra i capi dell’incursione nel dormitorio degli studenti dell’università di Teheran nel 1999. Volontario per eseguire la fatwa di condanna a morte dello scrittore Salman Rushdie. Comandante dei plotoni di esecuzione dei dissidenti”. Calunnie per i suoi portavoce. [...] Da sindaco ha cercato di frenare l’impennata degli affitti e la costruzione di case di lusso. Ha fondato mercatini con prezzi calmierati. Diminuito le spese correnti per concedere “prestiti ai giovani sposi”: mille euro. Forte della sua laurea in ingegneria ha anche cercato di riordinare il caos stradale di Teheran [...]» (Andrea Nicastro, “Corriere della Sera” 26/6/2005) • «[...] si è distinto soprattutto per lo zelo persecutorio dispiegato contro qualsiasi cosa odorasse di nuovo. Secco, magro, bassino, l’abbigliamento dimesso e la barba rada del “mujahed”, Ahmadinejad [...] aveva dato notizia di sè solo [...] con la vittoria alle elezioni comunali [...]. In quell’occasione i biografi avevano scoperto che il nuovo sindaco di Teheran proveniva dalle fila delle Guardie della Rivoluzione e che durante la lunga guerra contro l’Iraq aveva brevemente combattuto per poi collocarsi alla guida di un servizio di informazione. Un profilo piuttosto scarno che però il sindaco aveva provveduto a integrare ben presto dichiarando guerra senza quartiere a qualsiasi iniziativa e pubblicazione sostenuta dal governo riformista. A farne per primo le spese fu il direttore della rivista “Hamshari”, protetta dal governo ma di proprietà del comune cui immediatamente vennero tolte sede, energia elettrica e quant’altro. Dalle costole della pubblicazione era nato un altro giornale, “Sharg”, che significa Est, il quale prima di scomparire fece il tempo a segnalare come sotto l’amministrazione Ahmadinejad da negozi di libri e giocattoli di Teheran fossero scomparse le “Barbie” a favore della saga di Harry Potter, promossa in tutti i modi in quanto meno antislamica. Il sindaco però non si limitava a odiare le “Barbie”, sentimento peraltro nel quale non è proprio isolato: pochi mesi dopo scandalizzò mezza Teheran con una proposta che avrebbe voluto trasformare la metropoli in un’enorme pira funeraria. [...] dopo il crollo del regime di Saddam Hussein i resti di molte migliaia di soldati uccisi negli anni Ottanta lungo lo Shatt al-Arab erano rientrati dal territorio iracheno e il sindaco propose una gigantesca cerimonia di cremazione da compiere nelle maggiori piazze della città. Il portavoce del Parlamento [...] Mehdi Karrubi [...] coprì la proposta di ridicolo definendola “un rito insensato e un insulto ai martiri di quella guerra, che non meritano una simile esposizione a distanza di vent’anni”. Oltre che uomo di grande equilibrio Karrubi è anche membro dell’Assemblea per il Discernimento delle Scelte, il consiglio dei saggi che promana direttamente dalla Guida Suprema e la sua condanna sembrò porre una pietra tombale sulla carriera politica di Mahmoud Ahmadinejad. Invece [...] il sindaco si dimette dalla carica e a fari spenti s’inserisce fra le otto candidature accolte dal Consiglio. Mentre tutti gli altri scatenano campagne elettorali rivolte ai giovani lui continua a lavorare in silenzio, forte dei marciapiede e dei semafori fatti installare a Teheran, dei lavori a cui è stato messo mano nel sud della città ma soprattutto dell’appoggio [...] dell’ intera struttura islamica dei reazionari. [...]» (Giuseppe Zaccaria, “La Stampa” 19/6/2005) • «[...] è un ultraconservatore, leale al Leader Khamenei e al velayat e faqih (il concetto di governo clericale che dà praticamente un potere assoluto al Leader). Era uno sconosciuto prima di diventare sindaco [...] e mentre si può spiegare il suo successo nella capitale, dove come sindaco ha cercato di arrestare la corruzione, ma ha anche imposto regole islamiche più rigorose agli impiegati del Comune e chiuso alcuni caffè frequentati dai giovani nel centri culturali, fuori della capitale nessuno lo conosceva. [...] In un comizio Ahmadinejad aveva perfino annunciato che avrebbe chiuso la Borsa di Teheran perché non gli era chiaro se la Borsa fosse o no qualcosa di corretto dal punto di vista islamico. “Giocare in borsa è praticamente un gioco d’azzardo, e perciò dev’essere abolito”. [...]» (Vanna Vannuccini, “la Repubblica” 26/6/2005) • «Lo “spazzino” gira su un’auto più povera di quella della sua scorta, abita a Narmak in un modesto appartamento della Teheran proletaria, indossa giacche più fruste di quelle dei suoi guardaspalle, porta una barba accuratamente sfoltita per dare l’idea di un malrasato che ha molte cose da fare e ad ogni manifestazione di piazza ama ripetere: “Sono il vostro servo”. Gira a bordo di una vecchia “Peykan”, vettura autarchica e spartana, simbolo di un certo orgoglio nazionale, si veste da netturbino fra i netturbini, da tranviere fra gli addetti al trasporto pubblico, da infermiere se visita gli ospedali anche se quando ritrova i vecchi amici non ha bisogno di cambiare abito per ritrovare lo spirito del «pasdaran”. Era figlio di un fabbro ferraio [...] dalla cittadina di Garmsar si era spostato nella capitale per studiare ingegneria e più ancora per prendere parte alla cacciata dello Shah, l’origine proletaria e la fede islamica gli hanno lasciato stimmate di populista, eppure sarebbe sbagliato misurare l’uomo dalle manifestazioni esteriori e considerarlo solo come personaggio camaleontico dalle idee radicali e dai progetti confusi. Dietro la trasfigurazione di questo sindaco dall’aria dimessa e i milioni di voti che gli sono piovuti addosso ci sono la scelta un’intero blocco di potere, programmazione ferrea, gli interventi decisivi del Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione e molto, molto danaro. Inoltre, in qualche modo Mahmoud lo spazzino può essere ritenuto un autentico continuatore, quasi l’archeologo che si appresta a disseppellire i reperti di una linea sconfitta dalla storia ma che oggi s’intende riproporre in chiave ancora più aggressiva. Dietro la barbetta di questo piccolo uomo c’è il khomeinismo più duro, quello nato nelle moschee di campagna e forgiatosi nella guerra contro l’Iraq. C’è l’obiettivo di rispolverare i fondamenti della rivoluzione islamica del ’79, costretta a iniezioni di realismo per fare i conti con guerre, problemi economici, resistenze sociali. Soprattutto, il progetto di propagandarla nuovamente fra gli sciiti dell’Afghanistan, del Pakistan, del Libano, dell’India, perfino dell’Iraq dove adesso sono al governo. Se alla fine degli Anni Settanta il khomeinismo esprimeva una certa carica rivoluzionaria quello di oggi è solo bruta riaffermazione di un potere retrogrado e risposta nazionalista alla politica americana. [...]» (Giuseppe Zaccaria, “La Stampa” 26/6/2005) • «[...] Da quando [...] ha ricevuto l’investitura presidenziale apparentemente Ahmadinejad è rimasto l’uomo che era, cioè persona piccola dalla barba incolta, spesso vestita con camicia e maglione circondati dallo “shal”, ovvero la sciarpetta di chi ha combattuto con i mujaheddin, e che di preferenza ancora calza quegli stivaletti in similpelle che consentirono oceaniche avanzate delle orde umane che alle armi di Saddam Hussein opponevano la propria carne.[...] Ahmadinejad è il solo presidente dell’Iran che abbia preteso nel suo studio una doppia scrivania. Accanto a lui lavora tutti i giorni Mesbah Jazdi, suo vecchissimo amico personale, già direttore dell’“ufficio per la scelta dei dipendenti” al ministero degli Esteri, anch’egli integralista e fedele agli insegnamenti degli ayatollah di Qom però più colto e preparato, e si direbbe ancora più estremista» (Giuseppe Zaccaria, “La Stampa” 3/11/2005).