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 2005  giugno 20 Lunedì calendario

Corriere della Sera, lunedì 20 giugno La politica economica dei prossimi anni, chiunque vinca le elezioni, si giocherà tutta sul tavolo delle tasse

Corriere della Sera, lunedì 20 giugno La politica economica dei prossimi anni, chiunque vinca le elezioni, si giocherà tutta sul tavolo delle tasse. Non sulla loro riduzione, perché è ormai evidente che gli italiani non sono pronti ad accettare le conseguenze di un taglio delle tasse, ma sulla redistribuzione dell’onere fiscale tra diversi gruppi di contribuenti. Il ministro dell’Economia, Domenico Siniscalco, ha il merito di aver aperto il dibattito su questo tema, anche se la proposta di redistribuzione che la scorsa settimana ha portato in Consiglio dei ministri è stata bocciata. Come nel caso dei tentativi di introdurre un po’ più di concorrenza nella nostra società, così ogni progetto che si proponga di distribuire in modo meno distorsivo l’onere fiscale si scontra con l’opposizione di gruppi agguerriti, ciascuno impegnato a difendere una particolare categoria di contribuenti. E la politica, anziché far prevalere l’interesse generale, è paralizzata da questi interessi contrapposti. La nostra pubblica amministrazione spende ogni anno, esclusi gli interessi sul debito, circa 600 miliardi di euro: 90 per la sanità, 160 per gli stipendi dei dipendenti pubblici, 240 per pensioni e sussidi vari, 60 per investimenti, 50 per far funzionare l’Amministrazione centrale dello Stato (polizia, missioni militari all’estero, gestione dei ministeri...). Ridurre queste spese pare impossibile. Berlusconi lo aveva promesso: in quattro anni la spesa corrente al netto degli interessi è cresciuta di circa un punto, dal 38 al 39% del prodotto interno. Negli Usa raggiunge il 28. La verità è che gli italiani vogliono più, non meno sanità pubblica, protestano quando le Regioni propongono di chiudere i piccoli ospedali locali, non vogliono i ticket sulle medicine, chiedono, giustamente, scuole pubbliche efficienti, pensioni dignitose, si oppongono all’eliminazione delle pensioni di vecchiaia e di anzianità; e ogni contributo dello Stato alle imprese (sono oltre 25 miliardi) è evidentemente vitale. Insomma nessuno è disposto ad accettare i tagli che una riduzione delle imposte richiederebbe. E la politica registra i desideri degli elettori. Il centrodestra tuona contro gli sprechi, ma poi lascia che la spesa cresca. Il centrosinistra, più sinceramente, ammette che la spesa può certamente essere resa più efficiente ma è difficilmente comprimibile e quindi le tasse non si possono ridurre. Oggi il nostro gettito fiscale proviene per un terzo dall’ Iva (200 miliardi), un terzo circa dai contributi sociali, un terzo dalla somma di Irap (30 miliardi) più le imposte sul reddito delle persone e delle società. La tassazione sulle rendite finanziarie è una voce marginale. Il risultato è che un lavoratore costa all’azienda il 45% in più del salario netto che percepisce, e questo senza tener conto del 4,25% di aliquota Irap che incide anch’essa sul costo del lavoro. Non dobbiamo poi sorprenderci se tra gli uomini adulti ( in età fra i 15 e i 64 anni) meno di 6 su 10 lavorano: in Germania lavorano in 7. La differenza fra le donne è ancor più grande: 4,3 in Italia, 6 in Francia. Combattere l’evasione, tassare le rendite, cominciando dal privilegio dell’aliquota del 12,5% sui Bot, è certamente equo, ma non basta. L’imposta meno distorsiva è quella sui consumi: negli Usa qualcuno pensa seriamente di spostare l’intero onere fiscale su questa imposta. Un provvedimento tanto radicale eliminerebbe la progressività, ma questo non significa che sia l’Irap, sia una parte dei contributi sociali non possano essere spostati sull’Iva. Ma provate a spiegarlo a Sergio Billè, presidente dei commercianti, o al ministro Calderoli che taglia corto: «Per noi non ha alcun senso diminuire qui e aumentare là, la copertura si deve trovare altrove». Francesco Giavazzi