Massimo Numa, La Stampa, 23/6/2005, 23 giugno 2005
La Stampa, giovedì 23 giugno Torino. Guarda il display dell’orologio e dice: «Erano esattamente le 12,47, ho guardato il quadrante perché volevo vedere, laggiù, spuntare l’auto di mia moglie che era un po’ in ritardo»
La Stampa, giovedì 23 giugno Torino. Guarda il display dell’orologio e dice: «Erano esattamente le 12,47, ho guardato il quadrante perché volevo vedere, laggiù, spuntare l’auto di mia moglie che era un po’ in ritardo». Laggiù è un angolo di asfalto rovente, oltre la linea dei furgoni e dei rimorchi colorati degli ambulanti. Lì ci sono i due cadaveri. Emilio Ellena ha visto tutto, e la voce adesso trema di paura. La camicia fradicia di sudore. L’inizio di quel tratto di controviale, corso Cincinnato, è quasi nascosto da un vecchio furgone rosso, un Ducato. Alle 12,47 - tra le bancarelle del mercato - è sbucato all’improvviso uno scooter, un Malaguti 50 Phantom, turchese. Alla guida c’è un uomo che indossa un casco bianco. Pochi minuti prima, alle spalle del furgone rosso, c’è Fabrizio Natale, 41 anni, e, seduta nella cabina polverosa, piena di giornali e di bottiglie di plastica d’acqua minerale, Maria Marando, 23 anni. stanca. Fa caldo. Giornata di lavoro iniziata alle sei, come tutti i mercoledì. Fabrizio sta rimettendo a posto i vestiti made in China, i cartelli con su i prezzi, le «offerte dell’estate». Il banco è già quasi vuoto, non resta che smontarlo. Poi raggiunge il posto di guida. L’uomo arriva in quell’istante. Movimenti rapidi, precisi, meditati, forse provati e riprovati. Il volto coperto dal casco integrale; estrae una pistola a tamburo, una 38 special canna lunga, probabilmente rubata, e spara quattro dei sei proiettili inseriti nel tamburo. Tre vanno a segno. Uno per Maria, che muore sul colpo; due per Fabrizio, che respira ancora per qualche minuto. Gli operatori del 118 tenteranno invano di rianimarlo. L’ultimo va ad infrangersi su una colonna. Centrati nell’addome, non c’è scampo. L’assassino è Paolo Genco, 31 anni, un tipo dall’aria anonima, piuttosto esile. Prima aveva i capelli castano chiari lunghi, gli occhialini da miope; adesso ha la testa rasata. Del suo passato, si sa poco o nulla. L’ultima residenza è in via Sansovino 66 dove abita il fratello Davide. Invece ora fa casa con due amici, secondo piano, in un condominio popolare di corso Molise 18 bis. Con Maria, quattro anni di fidanzamento, tre anni di amore disperatissimo. Poi lei, che aveva iniziato la relazione quando aveva appena 15 anni, lo molla e dopo un po’ si mette assieme a Fabrizio. Una bella storia, raccontano gli amici, vissuta con molta tenerezza e tanta dedizione reciproca. Fabrizio, ieri mattina, è andato a prendersi il caffè ed era sereno e tranquillo come al solito. Polo chiara, pantaloni rossi al ginocchio, scarpe da ginnastica. Una l’ha persa, pochi istanti prima di essere ucciso. Alle 12,47, dunque, Paolo Genco chiude il suo conto, e ha pure un breve scambio di battute con Fabrizio che cerca di disarmarlo. Allunga un braccio, ultimo gesto cosciente. «Adesso ti ammazzo, è finita». Gesticola, Paolo, e il revolver esplode altre lingue di fuoco, in rapida sequenza. Fabrizio muore, supino, proprio di fronte al banco della frutta; Maria non ha avuto alcuna chance. Gli occhi verdi sono spalancati nel vuoto, i capelli schiacciati per terra, le mani aperte e abbandonate ai fianchi. Qualcuno ha lasciato cadere la borsa per terra, frutta e ortaggi rotolano lontano, sfiorano i cadaveri. Macchie di rosso. La gente non ha neppure il tempo di fuggire. Molti scambiano i colpi di pistola per l’esplosione di petardi. Il killer non fa un solo gesto che sia di troppo. Il suo è un piano meditato da chissà quanto tempo. Lo aveva detto a tutti, persino ai familiari di Maria, che l’avrebbe ammazzata. La sua fuga è di quelle inutili. Una non-fuga, diviso tra l’idea di uccidersi o di sparire nel nulla. Confuso, in preda allo choc. Una volante del 113 lo intercetta in corso Regina. Lo scooter va avanti zigzagando impazzito, i poliziotti del vicequestore Giorgio Pasqua perdono il contatto. Brusca virata in via Milano. Si infila nel cortile dell’assessorato al Commercio, via Garibaldi 23. Un custode osserva la scena, fa per intervenire; Paolo Genco gli fa segno di tacere. Posa il revolver su un gradino. Riprende la non-fuga. Una pattuglia della squadra mobile lo sorprende, in stato confusionale, in corso Vercelli. Nessuna resistenza. Forse, per lui, è quasi una liberazione. In corso Cincinnato i familiari di Maria e Fabrizio si disperano. Urla, pianti, maledizioni. Sotto gli occhi dei capo della Mobile, il dirigente Sergio Molino e il capo della Omicidi, Marco Basile. Promettono: «Lo prenderemo». Sei ore dopo Paolo Genco è già in questura, di fronte al pm Dionigi Tibone. Massimo Numa SUICIDI Pieropan Silvana, di anni 61 o forse 64. Agli agenti che erano andati a notificarle la condanna a tre anni, cinque mesi e un giorno, conseguenza di un tentativo di sequestro del 1995 ai danni di Fernando Thiella, ha gridato che piuttosto si sarebbe data fuoco ed effettivamente i poliziotti, che erano subito fuggiti dabbasso per tranquillizzarla («ce ne andiamo, ce ne andiamo»), l’hanno poi vista alla finestra rovesciarsi addosso una tanica di benzina e darsi fuoco con la punta della sigaretta. Contorsioni sul letto e morte in pochi minuti. Vedova, due figlie di 35 e 40 anni, una delle quali in stato interessante. In Brendola, provincia di Vicenza, la mattina di martedì scorso.