Pierangelo Sapegno, La Stampa 26/6/2005, 26 giugno 2005
Stampa Articolo 26 Giugno 2005 personaggio Pierangelo Sapegno inviato a GENOVA JOCKER, lo chiamano
Stampa Articolo 26 Giugno 2005 personaggio Pierangelo Sapegno inviato a GENOVA JOCKER, lo chiamano. Mica come a Como, il Prez, sputato con molta antipatia. Il Como ha i libri in tribunale: fallimento. Del Genoa c’è lui in tribunale, Enrico Preziosi. Ma la città rossoblù è ancora tutta dalla sua parte, perché li ha riportati in serie A e perché dev’essere uno che fa a pugni, e allora lui col suo completo scuro e la cravatta larga può sparare tranquillamente che «se ci mandano in serie B, c’è il rischio che succeda un altro G8». Poi si fa ancora più serio, «ma se vola anche solo una mosca, io lascio tutto». Ormai ha sempre quell’aria accigliata, che non se la leva più, con quel sorriso storto e gli occhi ingrugniti, come se gli avessero appena rubato il portafogli da sotto il naso. E ce l’aveva pure il giorno del trionfo, questa mutria, dopo quel maledetto Genoa-Venezia, quando faceva il giro del campo assieme a Cosmi. Era il sabato della serie A. Adesso sono i giorni dell’inchiesta, delle partite combinate, dei guai e della retrocessione. In mezzo c’è lui, ed è lo stesso Preziosi a dirlo: «E’ chiaro che il Genoa non c’entra. Questo è un attacco a Enrico Preziosi». Lo dice perché non riesce a capire le accuse, perché saltano fuori «un mucchio di telefonate che io non ho mai fatto». Eppure il quadro accusatorio non sembra tanto campato in aria. Ci sarebbero le scommesse sulle partite di alcuni dirigenti del Genoa. Poi si arriva a Piacenza-Genoa, quando tutto comincia a precipitare. Nel suo ufficio di Cogliate, in Brianza, Preziosi avrebbe scoperto una cimice: l’aveva pure fotografata col telefonino per fare una denuncia. Quella cimice registra però una chiamata prima della partita col Piacenza. Qualcuno chiama un giocatore emiliano e gli dice: «Se perdete la partita vi diamo 200 mila euro in contanti». Quello risponde di no. Però, forse ci sono altri abboccamenti, se è vero che all’intervallo, Iachini, l’allenatore del Piacenza, affronta a muso duro la sua squadra: «Avete un tempo ancora per dimostrare a me, alla gente, e a voi stessi se siete una squadra di venduti. Se non volete finire male, vi resta una sola cosa da fare: tirare fuori i coglioni». I giocatori obbediscono. Finisce 2 a 2. E la volta dopo per il Venezia, sulla carta una partita molto più semplice, il prezzo stranamente si alza e Pino Pagliara viene beccato con 250 mila euro nella valigetta. Ma se questo è il quadro, Preziosi può essere considerato una vittima? Lui insiste che sì, è così. E chi è il nemico? «Non stiamo a cercare queste cose. Anch’io non lo so chi è il nemico». Dice: «Sono serenamente incavolato. C’è un attacco mediatico senza garanzie». Aspettando tempi migliori, resta questa immagine un po’ così, del grande giocattolaio che si è fatto da solo, con la terza media e una valigia in spalla, da Avellino a Milano, e che adesso vede rotolare tutto. Il gruppo Giochi Preziosi aveva 393 milioni di debiti al 31 agosto 2004 (ripianati dalle banche). E il Genoa deve al Fisco per imposte non pagate 16,4 milioni di euro contro mezzi propri per 9,8 milioni. Il presidente ha dovuto impegnarsi a coprire un buco di quasi 6 milioni di euro entro la fine di questo mese. L’uomo, però, non è da sottovalutare. Prima di salire dove è arrivato ha fatto l’operaio, il magazziniere, lo scaricatore, l’impiegato, l’agente di commercio. Giorni duri, e dure anche le notti passate nei letti della Caritas. Gli andava male ogni volta e lui tutte le volte ripartiva. Anche l’ultima gli era andata male: assieme a un socio si era tuffato nel business delle audiofiabe. L’impresa era fallita. Solo che il Prez era riuscito a vendere ai negozi i giocattoli di supporto, dalla bambola cinese al fucile col tappo, ed era partito da lì per fondare i Giochi Preziosi. Un impero: nel ’94 fattura 100 miliardi e tiene 200 dipendenti. Poi si butta nel calcio. Prima il Saronno, che porta dai dilettanti alla C1. Dopo il Como, dalla C alla serie A. Sempre con quell’aria lì, con quella sua mutria un po’ sussiegosa, come se ce l’avesse con il mondo: «Sono passati 6 anni da quando sono qui, eppure a Como non saprei dove andare a bere un caffè», diceva. Quando lui lascia, il Saronno fallisce e il Como pure. Cerca di prendere il Toro, la Sampdoria, il Napoli. Alla fine si becca il Genoa: luglio 2003. Sono passati due anni e siamo qui. Nel frattempo, lui è rimasto lo stesso. Il calcio forse anche. Ma quello che succede gli sta spazzando via un mondo di certezze. Dice: «Se osano toccare il Genoa e anche i miei figli... Perché mettono di mezzo anche Matteo? Loro ce l’hanno con me. Che c’entra lui?». Eppure, secondo gli inquirenti c’entra. La guardia di finanza sta indagando sui conti e la sua disponibilità economica. Il fatto è che cercando in questo pantano, non c’è solo il Prez che rischia di affogare. In questi lunghi anni, s’è fatto una bella schiera di nemici, Carraro in testa, che lui chiama «l’uomo nero». Anche amici, per fortuna, tra il calcio e fuori. Uno è Silvio Berlusconi, che non finisce mai di ringraziare: «Senza di lui non sarei così ricco. I pastrocchi industriali più scandalosi in Italia li ho visti fare solo alla sinistra». E poi Stefano Ricucci, con il quale divide lo stesso consulente fiscale, lo studio Severgnini, e che con la società immobiliare Magiste diventò lo sponsor del Como nel 2001. Ma alla fine fanno più storia le sue liti. Cosmi, l’allenatore che ha portato il Genoa in serie A, l’ha fatto subito fuori, dicendo che finalmente non vedrà più tra i piedi «uno che cerca di mettersi in mostra vantandosi d’incarnare lo spirito di qualcuno». Cosmi avrebbe fatto una litigata furiosa con Matteo Preziosi, il figlio del Prez, dopo un Genoa-Arezzo. Da quel momento finirono i loro rapporti. Oggi però Cosmi dice che non serba rancore: «Mi dispiace solo che uno lavora, fatica e gioisce e poi finisce tutto dal giudice». Preziosi invece sembra di un’altra idea: «Noto con piacere che qui non c’è più. E sono contento. Io non auguro niente a Cosmi. Non lo ricordo neanche più». Stampa Articolo