Varie, 24 giugno 2005
Tags : Ratko Mladic
Mladic Ratko
• Kalinovik (Bosnia) 12 marzo 1943 (secondo le Nazioni Unite, secondo la Cnn 1942). Criminale di guerra. Noto come “il boia di Srebrenica”, latitante per 16 anni, fu catturato a Lazarevo il 26 maggio 2011 • «[...] il criminale di guerra serbo che massacrò almeno 8.106 bosgnacchi a Srebrenica e si macchiò d’eccidi vari in Bosnia [...]» (Francesco Battistini, “Corriere della Sera” 24/6/2005). «[...] Cresciuto nella Jugoslavia di Tito, nel maggio ‘92 è nominato generale dell’esercito serbo-bosniaco appena costituito. Con il leader politico Radovan Karadzic, è ricercato, tra l’altro, per la strage di Srebrenica (luglio ‘95). In cinque giorni il suo esercito trucidò 7.500 musulmani rifugiati nella cittadina della Bosnia del sud: la maggiore strage in Europa dalla Seconda guerra mondiale. Mladic, latitante, è ricercato per essere giudicato dal tribunale delle Nazioni Unite. L’accusa principale: genocidio» (“Corriere della Sera” 29/7/2005) • «La Bosnia ha prodotto una nuova definizione di crimine di guerra: la pulizia etnica. Per la storia, e presto per il tribunale, quel crimine è associato a due nomi, Ratko Mladic e Radovan Karadzic. E quei nomi alla colpa collettiva di un popolo rimasto in testa nella gerarchia del male nella ex Jugoslavia: i serbo-bosniaci, appendice particolare e montanara del sogno della Grande Serbia. È in Bosnia che vengono perpetrati i crimini efferati e simbolici della [...]tragedia, l’assedio di Sarajevo (dal 1992 al 1995) e il massacro di Srebrenica (luglio 1995). La guerra di Bosnia fu anche guerra civile. Serbi, croati, musulmani bosniaci: gli uni contro gli altri, a volte alleati a coppia contro il nemico più debole del momento. Ma le migliaia di morti di Sarajevo e i settemila uomini musulmani di Srebrenica, per lo più combattenti separati dalle famiglie e trucidati nei boschi, restano sul conto dei serbi. Crimini organizzati e ordinati da Karadzic e da Mladic, il presidente della Repubblica dei serbi di Bosnia e il suo braccio armato, il generale comandante dell’esercito serbo-bosniaco. [...] Il generale Mladic è rimasto sempre un militare. È l’esecutore fino alle estreme conseguenze di un disegno politico, di un ordine superiore e persino l’agente di un clima culturale che affonda nella storia della ex Jugoslavia e dei Balcani. La prima divisa che ha indossato—quella dell’esercito della Federazione jugoslava — lo colloca fra i generali che guidano le truppe federali contro i secessionisti della Croazia. La seconda, quella dell’esercito serbo-bosniaco, lo colloca alle dipendenze di Karadzic, sia pure con un ruolo non subalterno. Le due divise — indossate senza dubbi e senza tentennamenti — lo distanziano dalle truppe paramilitari che probabilmente aiutò sul piano logistico e dal fanatismo degli ideologi ai quali pure obbedì. Le due divise—soprattutto la prima—lo collocano nel circolo dei generali di Belgrado, lo stesso circolo di alcuni degli ufficiali finiti sotto processo all’Aja, lo stesso circolo che in molte circostanze rispose soltanto a Milosevic. [...] Certo che i paramilitari di Arkan arrivavano da Belgrado, ma partirono come volontari della causa serba. Certo che i cugini bosniaci andavano aiutati e magari armati, ma queste cose le faceva anche Tudjman per sostenere i croati dell’Erzegovina. Le ambiguità in sospeso potrebbero venire finalmente chiarite con Mladic dietro le sbarre. Ecco perché il suo arresto, forse meno simbolico rispetto a quello di Karadzic, può essere decisivo per l’esito del processo all’Aja. Nonostante la divisa, potrebbe aver voglia di parlare. Almeno per difendersi dallo scaricabarile su Srebrenica e magari per chiarire la sua posizione rispetto a Belgrado. [...] Il pazzo criminale della compagnia, il fanatico, era Karadzic, non Mladic. Anche la biografia aiuta a comprendere il personaggio e la divisa che indossò. Ratko Mladic nasce all’inizio della Seconda guerra mondiale (1941) da una famiglia serba dell’Erzegovina, dove la maggioranza della popolazione è croata. Suo padre, partigiano comunista, viene ucciso dagli ustascia croati alleati dei nazisti. Più tardi, sua figlia, a Belgrado, si fidanza con un musulmano e si suicida, pare per l’opposizione del padre al matrimonio. Secondo una tesi mai accertata, per la vergogna dopo Srebrenica. “La differenza fra serbi e croati? Siamo la stessa merda calpestata dal carro della Storia”, è l’immagine di uno scrittore. L’album di famiglia non spiega da solo convinzioni e adesione entusiastica al disegno dei suoi referenti politici. Il militare tutto di un pezzo avrebbe potuto prendere strade diverse, scegliere quella del cuore e della ragione, come fece il suo collega di corso, il generale serbo Divjak, che decise di difendere Sarajevo. A Srebrenica, Mladic si trovò di fronte un valoroso combattente bosniaco, Naser Horic, finito anche lui all’Aja per crimini commessi ai danni dei serbi prima dell’assedio finale. Naser Horic, musulmano, al tempo della federazione jugoslava, lavorava a Belgrado, come guardia del corpo di Milosevic. La strada della verità sul grande massacro non porta dunque soltanto a Mladic. Ci furono precedenti stragi a danno dei serbi, l’indifferenza internazionale, l’imbelle difesa del battaglione dei caschi blu olandesi che avrebbero dovuto “tenere” l’enclave o almeno ottenere l’aiuto di truppe internazionali, l’abbandono da parte del comando centrale musulmano. Prima del massacro, Mladic ha di fronte un parigrado: il generale dei caschi blu francesi, Morrillon. [...]» (Massimo Nava, “Corriere della Sera” 22/2/2006).