Il Messaggero 21/06/2005, pag.13 Roberto Gervaso, 21 giugno 2005
Federico II. Il Messaggero 21/06/2005. Caro Signor Gervaso, sono un vecchio pensionato che ama molto la storia
Federico II. Il Messaggero 21/06/2005. Caro Signor Gervaso, sono un vecchio pensionato che ama molto la storia. Ho appena finito di leggere una biografia di Federico II di Prussia in cui si accenna a una visita di Giacomo Casanova a questo grande e discusso imperatore, amico-nemico di Voltaire. Mi piacerebbe sapere come e quando l’avventuriero veneziano e l’Hohenzollern s’incontrarono e, se possibile, che cosa si dissero. Un’ultima curiosità: cosa rendeva l’avventuriero Casanova così interessante? Edgardo Grandi - Latina Nel 1764 Giacomo Casanova arrivò a Berlino, dove sperava di entrare al servizio del grande Federico. La sua prima visita fu per il lord maresciallo George Keith, vecchia conoscenza parigina, amico e confidente dell’imperatore. Giacomo gli spiegò il motivo della visita e il maresciallo gli consigliò di farsi ricevere da Federico, che non rifiutava udienza ad alcuno. Due giorni dopo, il sovrano convocò Casanova nel parco di Sans-Souci. Il veneziano giunse in anticipo e dovette aspettare che il monarca finisse il quotidiano concertino di flauto. Alle quattro del pomeriggio, ora fissata per l’appuntamento, Federico gli andò incontro scortato dal lettore Cat e dall’inseparabile cagnetta spagnola. Era un uomo nato per comandare e farsi ubbidire. Sempre in divisa, non se la toglieva nemmeno a letto (aborriva gli abiti civili). Maniaco dell’ordine e della puntualità, sdegnava ogni comfort, viveva frugalmente, mangiava poco, dormiva su una specie di pagliericcio, aveva la passione delle armi e della guerra, si vantava di possedere - e possedeva - l’esercito più potente d’Europa. Da giovane gli erano piaciute le donne ma, dopo una disavventura con Barberina Campanini, era diventato impotente e gay. Aveva un debole per i granatieri, ma anche i paggi non gli dispiacevano. Fra un consiglio dei ministri e una campagna militare, fra un concerto e un amorazzo, trovava il tempo di leggere e scrivere libri, intrattenere una fitta corrispondenza con gli illuministi, discutere e litigare con Voltaire, che idolatrava e di cui conosceva a menadito le opere. Chiamò Casanova per nome, si tolse il cappello e rudemente, com’era sua abitudine, cominciò a tempestarlo di domande. Gli chiese chi fosse il suo eroe preferito e alla risposta: "Attilio Regolo", replicò che Silla era superiore. Giacomo tentò di contraddirlo, ma lui cambiò discorso e gli domandò quanti vascelli da guerra, in caso di conflitto, Venezia potesse mettere in mare. "Glielo dissi - leggiamo nelle "Memorie" di Casanova - ma il sovrano ribatté che mi sbagliavo. Quando, però, si accorse che, cifre alla mano, avrei potuto confutarlo, mi chiese cosa pensassi delle imposte. Parlai per qualche minuto, poi m’interruppe informandomi che il suo giardino non poteva ricevere le acque della Sprea né quelle dell’Oder. Già mi accingevo a discutere di architettura idraulica quando, improvvisamente, mi congedò, rimandandomi al maresciallo Keith". Le continue divagazioni dell’imperatore, lì per lì, sconcertarono Giacomo, il quale, poi, capì che cambiare argomento era un modo come un altro di arrendersi. Ciononostante l’impressione che ricavò dal colloquio fu forte. Era la prima volta che l’avventuriero si trovava a tu per tu con un re: "Facendo attenzione al suo stile, ai suoi rapidi salti, credetti di essere chiamato a rappresentare una parte di commedia italiana improvvisata dove, se l’attore resta a corto, la platea lo fischia. Risposi dunque a questo fiero sovrano prendendo la boria del finanziere e assumendone la grinta". E fece un’ottima figura, anche perché era un gran bell’uomo. Federico gli offrì un posto di precettore in un nuovo corpo di cadetti, con un ottimo stipendio. Prima di accettare, il veneziano volle visitare l’alloggiamento, ma vi trovò un tale disordine e una tale sporcizia che rifiutò l’impiego: non si vuotavano nemmeno i vasi da notte. Alla fine della lettera, lei mi chiede cosa rendesse Casanova così interessante. Era un uomo eccezionale, che biografi astiosi e bigotti hanno liquidato come uno sparviero di alcove, un maratoneta dell’eros, un macho latino che amava solo le donne e la dolce vita. Giacomo amava, riamato, le donne e la dolce vita, ma era anche un fior d’intellettuale e un meraviglioso scrittore. Dalla sua penna uscirono più di quaranta opere, fra cui la "Storia della mia vita", meglio nota come "Memorie", il più bell’arazzo letterario del Settecento. Casanova non ebbe mai, e mai cercò, se non nell’ultimo periodo della vita, un posto fisso, pervicacemente allergico, com’era, a sistemazioni definitive. Il mondo era la sua ribalta e il suo salotto, e quando questo mondo, con la rivoluzione francese, entrò in crisi, preferì ritirarsi a Dux, dove passò gli ultimi tredici anni, bibliotecario del conte di Waldstein. Un crepuscolo malinconico, che fece scoprire al veneziano la sua migliore vena: quella del memorialista. Il suo capolavoro nacque in quel plumbeo ritiro. Senza Dux, non lo avremmo, forse, mai letto. Roberto Gervaso