23 giugno 2005
Tags : Georges. Hawi
Hawi Georges
• Nato a Bteghrine (Libano) nel 1938, morto a Beirut (Libano) il 21 giugno 2005. Politico. «[...] ex leader comunista che da alleato della Siria si era trasformato in feroce nemico della sua opprimente tutela sul Paese dei Cedri. Hawi, esponente della comunità cristiano maronita, è stato ucciso da una bomba piazzata sotto il sedile della sua automobile [...] Nel percorso politico di Georges Hawi è racchiusa la storia dell’ultimo, travagliato trentennio di vita del paese. Hawi comandò quella milizia del Partito comunista che durante la guerra civile (1975-1990) diede filo da torcere alle truppe israeliane, fino a costringerle al ritiro nella ”zona di sicurezza” lungo il confine. Nel processo di riconciliazione nazionale, da cui è nata l’alleanza tra le principali forze di opposizione, era passato con Hariri e Jumblatt e negli ultimi mesi aveva più volte chiesto la liberazione del leader delle forze cristiane libanesi, Samir Geagea. [...]» (Pietro Del Re, ”la Repubblica” 22/6/2005). «[...] è stato uno degli artefici, dietro le quinte, del successo elettorale dell’opposizione antisiriana, capeggiata da Saad Hariri, figlio di Rafik, l’ex primo ministro assassinato [...] massiccio cristiano greco ortodosso [...] si era conquistato un posto nella storia libanese guidando le sue milizie a fianco di quelle musulmane contro gli israeliani. Durante la guerra civile aveva affiancato i drusi contro le milizie cristiane e le falangi. Né in quegli anni né dopo la guerra, Hawi era stato un nemico dichiarato della Siria, anzi. Solo negli ultimi anni aveva cominciato a criticare l’ingombrante presenza dei vicini e, dopo l’omicidio di Rafik Hariri, si era schierato risolutamente con la minoranza parlamentare. Si era unito a chi accusava i servizi segreti siriani e libanesi di collusione nella strage, aveva preteso, assieme a un milione di compatrioti in piazza, che il governo di Damasco ritirasse, dopo trent’anni d’occupazione, i suoi soldati e i suoi agenti dal Libano. Poi Georges Hawi ha cominciato a lavorare per unire il fronte dell’opposizione, in vista delle elezioni. Ha contribuito al suo trionfo finale [...] quando la coalizione di Hariri si è assicurata gli ultimi, decisivi 28 seggi per raggiungere la maggioranza assoluta nel nuovo parlamento. La festa è durata una notte soltanto. [...]» (Elisabetta Rosaspina, ”Corriere della Sera” 22/6/2005). «[...] è stato protagonista fin dalla fine degli anni sessanta della vita politica libanese e ha sempre cercato di promuovere riforme democratiche in grado di superare la struttura confessionale e feudale del suo paese - ”la soluzione ai nostri problemi sta nei partiti e non nelle sette o nelle confessioni” [...] e di difendere l’autonomia e la sovranità del Libano invitando però i suoi concittadini a partire dai problemi interni al paese senza scaricare tutte le responsabilità sulle forze esterne al Libano, ”il ritiro della Siria è importante ma non sarà una bacchetta magica che risolverà tutti i nostri problemi” ammoniva [...]. Il comunista George Hawi, ucciso nella zona dove più forte è stato nel passato il suo partito, un’area popolare a maggioranza musulmana ma con una certa presenza cristiana e drusa e dove fortissima era la presenza palestinese, è stata una delle figure più importanti della sinistra libanese sin dal 1968 quando, nel secondo congresso del partito, giocò un ruolo assai importante nel ”rinnovamento” post staliniano dell’organizzazione. Sempre schierato a fianco della resistenza palestinese, venne eletto alla segreteria nel 1979 e dal 1982 fu uno degli animatori della ”Resistenza nazionale” contro l’occupazione israeliana. Fu lui, insieme a Mohsen Ibrahim dell’Organizzazione di Azione comunista, a firmare a casa Jumblatt il manifesto con il quale il 16 settembre del 1982, a poche ore dall’invasione di Beirut ovest da parte dell’esercito di Sharon, si invitava la popolazione a prendere le armi contro gli occupanti.Una resistenza che poi, dopo il taglio di ogni sostegno economico da parte dell’Urss di Gorbaciov (quando l’unica fonte di sostentamento del partito rimase un noto stabilimento balneare con un ottimo risorante di pesce a sud di Beirut) e in seguito alle pressioni di Damasco e di Tehran, sarebbe stata assunta e portata a compimento dal movimento degli Hezbollah. Una resistenza durissima quella portata avanti dal Pcl (alla quale si unirono presto il Partito social nazionale siriano, i nasseriani e il movimento Amal) contro gli occupanti che vide anche alcune operazioni suicide, erroneamente attribuite agli hezbollah: ”un religioso compie un’azione eroica di questo tipo contro gli occupanti - dichiarava George Hawi nel 2002 - sostenuto dall’idea di un posto in paradiso, un laico lo fa per il bene dei suoi concittadini, del suo paese”. Negli ultimi due anni George Hawi si era spostato su posizioni critiche nei confronti della nuova leadership del partito e del segretario Khaled Hdeydi, sostenendo la necessità di un nuovo rinnovamento e di una maggiore apertura, e di una linea più ”nazionale” sia nei confronti degli Usa - ”è suicida pensare che a Washington importi nulla dei cristiani libanesi. A loro interessa solo Israele e il petrolio” - che della Siria e di un rapporto positivo con le varie espressioni politiche della galassia cristiana in vista di una ”riconciliazione nazionale”. Anche grazie a lui il Pcl nel corso della presunta ”primavera dei cedri”, seguita all’uccisione di Hariri [...] ha assunto una posizione intermedia assai favorevole al ritiro delle truppe siriane ma contraria alla loro sostituzione con un nuovo mandato agli Usa e alla Francia. E proprio per la sua convinzione che il ritiro delle truppe di Damasco fosse si centrale, una premessa necessaria, ma non il vero e unico problema del Libano - il confessionalismo istituzionalizzato - e soprattutto che con la Siria occorresse mantenere un rapporto privilegiato, George Hawi non aveva seguito fuori del partito la pattuglia di intellettuali che aveva dato luogo alla ”Sinistra democratica” di Abdel Samad, assai attiva nell’opposizione antisiriana» (Stefano Chiarini, ”il manifesto” 22/6/2005).