L’Espresso 23/06/2005, Enrico Arosio, 23 giugno 2005
Medea abita qui. L’Espresso 23 giugno 2005. Si chiama J. "Dentro cuore/ ho una spada che fa male "
Medea abita qui. L’Espresso 23 giugno 2005. Si chiama J. "Dentro cuore/ ho una spada che fa male ". Così scrive J., che ha ucciso un figlio e non sa perché, in una poesia che colpisce anche grazie alla sua lieve imperfezione. J. viene dalla ex Jugoslavia, ha problemi di salute mentale, è affidata ai servizi psichiatrici in attesa di giudizio. "Nelle vene circola sangue nero / o Dio aiutami / a sopportare questo dolore ". J. non l’abbiamo incontrata, non ci è stato permesso. Le sue poesie sono edite con quelle di altre compagne e compagni di sventura, grazie ai volontari dell’associazione La Luna, dall’Ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere. L’Opg è tornato in prima pagina. Vi è stata ricoverata ai primi di giugno la giovane Maria Patrizio detta Mery, protagonista di una storia in cui è tutto sballato, dalla "e" nel nome alla ”k” del marito Kristian al fatto, e questo non è un dettaglio di sociologia suburbana, che la Mery per qualche oscura pulsione un giorno di maggio ha annegato nella vaschetta il suo bambino Mirko di cinque mesi appena. Maria Patrizio, 29 anni, minuta, carina, forse annoiata, viveva col marito, un operaio, in una frazione di Casatenovo, in quella stessa terra inconoscibile, la Brianza degli spettri velleitari, che già nel 1963 atterrrì il Carlo Emilio Gadda della "Cognizione del dolore". La ragazza Mery sognava Canale 5 ed è finita all’Opg tra i "matti", come non si può più dire. Ora studieranno il suo caso. Questo è l’unico Opg d’Italia con una sezione femminile. Accoglie, tra le 80 donne su 180 internati, una quindicina di infelici come lei che hanno commesso il delitto più atroce: l’uccisione di un figlio. Sindrome di Medea, la chiamano. Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova, arriva d’improvviso, venendo da Desenzano del Garda, in un paesaggio mosso dai verdi campi di granturco. Un panorama ordinato che poco si associa ai crimini più atroci, come quelli di Ludwig, al secolo Wolfgang Abel e Marco Furlan, i due ragazzi della Verona bene autori di alcuni omicidi punitivi di marca neonazista che qui furono colti in flagrante nel 1984 mentre spargevano benzina intorno alla discoteca Melamara. L’Opg, color giallo ocra, è in fondo a un parco in uso alla Croce Rossa che vi ha montato decine di tende da campo. Il direttore, Antonino Calogero, è gentile ma fermo: niente foto né interviste alle internate. un siciliano di Ragusa. Ha studiato a Catania, si è specializzato in psichiatria a Milano, si è formato in psicoanalisi e vive qui dal 1977, acquistando in precisione senza perdere in cortesia. Castiglione è l’unico istituto su sei in Italia che non dipende dal ministero della Giustizia ma da un’azienda ospedaliera, la Carlo Poma di Mantova. Opera in regime di convenzione, il ministero paga una retta. " Non abbiamo agenti di polizia penitenziaria", spiega il dottor Calogero: "Solo infermieri ". Ne incrociamo un paio, cordiali marcantoni che nessuno sfiderebbe a cuor leggero. "Non siamo sovraffollati", aggiunge il direttore: "Ospitiamo 180 persone su 223 posti disponibili". Poi le statistiche: l’età media delle donne è sui 40-45 anni. La durata delle misure di sicurezza (tutte sono qui per aver commesso un reato) si divide in tre fasce: due anni (per furto, ad esempio), cinque (tentato omicidio) e dieci anni (ornicidio), ma senza una regola fissa. Ognuna è un dramma a sé, e sono drammi veri: il 40 per cento è qui per omicidio, il 25 per tentato omicidio. Le diagnosi? Per il 55 per cento schizofrenie, per il 20 depressioni psicotiche. In quale casella finirà Maria Patrizio? "Se il paziente è pronto al rinserimento prima del tempo" dice il direttore, "si può fare istanza per la revoca anticipata. Un mese prima della scadenza vi è il riesame della pericolosità. Si lavora in rete con i dipartimenti di salute mentale. Ma se l’internato può essere inserito in una struttura protetta, una comunità, non è detto che avvenga subito". Attese anche lunghe, malintesi, burocrazia. 0 i familiari che non intendono riprendersi l’omicida risanata, che la vogliono cancellare dalla propria vita. Dietro alla palazzina principale c’è un pezzo di parco. I parenti in visita qui hanno libero accesso. Non fosse per l’alta recinzione a punte di lancia, i tratti di reticolato, le inferriate alle finestre, parrebbe un ospedale con giardino. I reparti femminili sono due su quattro. Quello delle donne che il giudice ha inviate in osservazione perché incompatibili col regime carcerario ha il cortile chiuso da una rete: in un intero pomeriggio, i cronisti de "L’espresso" si sono presi male parole da una sola detenuta, una donna campana spettinata, inviata da un carcere dove sta per storie di droga. Anche tra quelli con le facce più torte o l’andatura più malcerta, c’è chi saluta e chi si fa i fatti suoi dietro a qualche privato fantasma. Al bar c’è un clima familiare come in tanti bar di provincia. Solo che chi beve un’aranciata magari ha fatto secco il padre e non ricorda come. Nell’altro reparto femminile c’è una signora ungherese, K., in abito rosso fiamma, occhi azzurri, ben pettinata, scarpe vezzose, autrice anni fa di un delitto molto grave, ora in recupero, che acconsente a farsi fotografare mentre legge sul letto nella stanza piena di pupazzi. E quando lodiamo la bellezza di Budapest si rischiara in un sorriso grato. Come si gestisce il senso di colpa, la vergogna, il rimorso? Calogero: "Chi ha ucciso il proprio figlio e ha rimosso il fatto, nel vederlo riaffiorare dopo lunga terapia può ripiombare in crisi lancinanti. I punti in comune sono due. Una maternità vissuta in maniera inadeguata, per i più vari motivi, la modificazione fisica del proprio corpo, la paura dell’abbandono del partner. E poi la psicosi, la regressione a strati più antichi dell’Io". Racconta l’unico psicologo e psicoterapeuta della struttura, Filippo Nocini, in Lacoste azzurra: "Non sempre è facile capire a che punto è la loro elaborazione. C’è la donna che per mesi ricorda solo se stessa col coltello in mano. Poi, di colpo, riemerge la scena al completo, lei che usa il coltello per uccidere. Ed è una crisi nuova e drammatica. O c’è quella che risente d’improvviso le voci, le voci che le ordinano qualcosa e da cui credeva di essersi liberata per sempre ". Lo psichiatra Enrico Vernizzi parla di "risposta policentrica". Cioè? " il lavoro di équipe che coinvolge medici, psicologi, educatori, assistenti sociali e infermieri. Alla farmacoterapia, che riguarda quasi tutti, si affianca una forte attività riabilitativa. E quella ludica e ricreativa, molto importante". La giornata-tipo di una infanticida? Sveglia alle 7, colloquio di psicoterapia, poi servizi di riabilitazione, dalle 10 attività di ricamo, taglio e cucito, oppure stampa, pittura, studio. A pranzo uomini e donne insieme, i più progrediti possono cucinare da soli. Si può fare un riposino, ma è vietato oziare a letto, fumare in camera. "Se nascono simpatie, amori", racconta Nocini, "li possiamo assecondare, nei limiti delle regole". L’incontro sessuale non è previsto. A volte c’è attrazione per il medico. Sono situazioni delicate. Due onlus operano all’Opg: Alce in Rosso gestisce l’atelier di pittura, e i dipinti prodotti si possono ritrovare in rassegne europee di art brut; La Luna insegna a scrivere poesie o a stampare a mano in linoleurn o a incidere in rame. Il dottor Calogero parla di attività utili a generare "stimolazioni narcisistiche controllate ". Ecco la stamperia. Intorno giacciono riproduzioni di Michelangelo, del ciclo giottesco della Cappella degli Scrovegni, della mitologia. Nella sala cucito, decorazioni alle pareti, e una serie di macchine Singer da sartoria. La piscina di pomeriggio è in pieno sole. Il prato verde curato, le sdraio, il brusio tranquillo, due infermieri-bagnini in t-shirt bianca. Un clima da casa di riposo, non da "manicomio criminale", come a volte si è scritto. Per esempio a gennaio, quando in seguito all’interrogazione parlamentare di una deputata di Rifondazione che ce l’aveva col ministro Castelli è stata chiusa una piccola sezione sperimentale per minori. La sera si cena presto. C’è la sala tv. Alle 23 la maggior parte dorme. "Sono pazienti sedati", ricorda il direttore: "Pochissimi, malgrado i farmaci, non riescono a prender sonno". I casi di violenza, autolesionismo? "Rari". L’uItimo suicidio è del ’99, sei anni fa. Il dottor Nocini ha già conosciuto Maria Patrizio che ha affogato il bambino: fedele alla consegna non rivela nulla, né conferma la voce che sia stata tolta dal carcere perché rifiutava il cibo. Sta sulle generali: " Le donne, rispetto agli uomini, chiedono. Chiedono perché hanno commesso il reato. Si può dire che in loro la domanda di terapia sia già presente". Commenta Gianfranco Rivellini, medico veronese laureato a Roma, specializzato in psichiatria e criminologia, molto attivo anche con i volontari: "Bisogna andar cauti con le categorie diagnostiche. Quante volte nei media si abusa della depressione post parto. Ma la fase depressiva è legata a fattori fisiologici, non c’è per forza una patologia. Ci può essere un momento particolare che si sovrappone a una psicosi latente. Depressione è un concetto-passepartout: può nascondere una borderline che uccide il figlio per colpire il marito o vendicarsi della madre". A volte capita che un percorso di cura si concluda con successo anzitempo. Due storie. La prima: F., sulla quarantina, settentrionale, diplomata, buon linguaggio. Ha ucciso il figlio per strangolamento. Il fatto è stato ricostruito identificando un concetto primario collegato alla figura paterna e alla propria infanzia. uscita dopo cinque anni, sui dieci richiesti. La seconda: M., 35 anni, ceto medio di provincia. Infanticida, aveva avuto gravi problemi con la propria madre (anche lei con disturbi psichiatrici, poi suicida). Iscritta dall’Opg a una scuola professionale, dapprima rifiutava l’insegnante (le ricordava la madre), poi ne è diventata grande amica. Anche lei è fuori. Sono storie che danno speranza a molte. La parola finale a J.: "Mi metterò ali di falco / e volerò verso la casa mia". Enrico Arosio