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 2005  giugno 23 Giovedì calendario

Selvaggi in gabbia, da guardare. Panorama 23/06/2005. Nel 1881 al Jardin d’acclimatation sono esposti 11 indigeni della Terra del Fuoco, 4 uomini, 4 donne e 3 bambini

Selvaggi in gabbia, da guardare. Panorama 23/06/2005. Nel 1881 al Jardin d’acclimatation sono esposti 11 indigeni della Terra del Fuoco, 4 uomini, 4 donne e 3 bambini. Gli scienziati parigini sono entusiasti di poterli studiare con tutto agio. Oddio, sono pur sempre dei selvaggi. Non riescono a capire il vantaggio di farsi ispezionare gli organi genitali. Il giovane Gustave Le Bon, che 14 anni dopo diventerà famoso ("meritatamente", secondo Sigmund Freud) per la Psicologia delle folle, sperimenta sui fuegini, che non vogliono saperne di restare immobili davanti al fotografo, nuove procedure secche al gelatino-bromuro, che consentono di rubare pose naturali. Fa piangere un bambino, e ha tutto il tempo di riprenderlo in lacrime. Ha applicato al braccio dei selvaggi una piccola scala al decimetro, così, per la precisione. L’accademico Topinard però diffida: meglio le misurazioni classiche dei crani, che però riescono meglio sui cadaveri. Lo studioso più tenace è M.L.Manouvrier. Si fa come con gli animali: peraltro il Jardin è anche uno zoo. Il pasto, l’abbeveraggio. Manouvrier deplora che quei selvaggi "se ne fregano di noi". Cerca di cattivarli porgendo braccialetti e collanine. Niente. Cerca di conversare a gesti, e niente. Sono abulici, per giunta sfiniti dal vaccino antivaioloso, e spaventati dalle pustole che ha prodotto. Gli antropologi riescono tutt’al più a constatare la colorazione della pelle, la foggia delle capigliature. Con qualche ridondanza: i capelli cadono fino alle sopracciglia, anzi le sostituiscono (!), Una delle donne, "se fosse stata vestita e pettinata, avrebbe potuto essere scambiata per un’europea, salvo il colore rossastro della pelle". I denti li hanno bellissirni ma molto logorati, forse per la sabbia contenuta nei mitili, che li scartavetra. Manouvrier li ha visti "mangiarli crudi e senza ripulirli" (come un parigino con le ostriche). Ai fuegini vengono dati dei nomi, o quasi: il più anziano è Il Capitano, un altro "il guerriero della banda". Perché guerriero? Boh. Le guardie gli portano un giavellotto e lui lo lancia su un sacco di trucioli. Mai che lo andasse a riprendere, lamentano i guardiani: bisogna sempre riportarglielo. Poi c’è la Moglie del Capitano. Le guardie chiamano le altre Caterina, Petite Mére e, la bella, Lisa. Le guardie insegnano pazientemente alla Petite Mère a dire: "merci". Lei ripete rassegnata: "merci" (viene in mente il significato originario: abbiate pietà. Viene in mente che i francesi di Bougainville avevano chiamato i fuegini pecherais, da una loro esclamazione ripetuta, sicché si persuasero che fosse il loro nome. La parola così equivocata da Bougainville e i suoi voleva dire: abbiate pietà). "Non era facile farli sorridere" annota Manouvrier: e vorrei vedere. I primi giorni non stavano in piedi per la febbre della vaccinazione. Una volta sfebbrati, bisognò riprendere loro tutta la cinquantina di misure raccomandate dalla Società di antropologia. "La sola cosa che non potemmo ottenere fu di esaminare e misurare gli organi genitali... Quando cercammo di agire di sorpresa abbassandogli il calzone di cui erano vestiti, si coprirono vivacemente con le mani per impedircelo". Manouvrier doveva aver perso l’ironia in qualche incidente accademico. Vedete la scena: i professori (se ne vedano le barbe e gli occhialetti, le redingote e i distintivi) rincorrono nella gabbia fuegine e fuegini mirando a calargli di soppiatto le mutande. Disappunto: non può essere pudore, dice quell’antirelativista di Manouvrier, a meno che glielo abbiano instillato i guardiani. Però durante il trambusto il professor Goldstein riesce a recidere due mèche di capelli alle selvagge, per il laboratorio. Il pubblico passa e getta nastrini e campanelle, da cui non sono attratti. Apprezzano invece coltelli e bicchieri. Il resoconto si era aperto descrivendo i selvaggi che si abbeveravano alla fontana "come cani". "Una femmina mi ha fatto capire che non desiderava un braccialetto, né catenine, ma un paniere e un bicchiere. Un’altra ha chiesto un pettine ". I bicchieri, precisa serio Manouvrier, "li usavano per bere". Buttavano via i soldi. "Ho mostrato alla più anziana il modo di servirsi degli aghi e del filo, e immediatamente ha cucito davanti a me, ma facendo un nodo dopo ogni punto". La Società dedica tre sessioni alla discussione. La cosa più avvilente, dice Topinard, è "la mancanza di curiosità". Eppure, è lui a riferire che l’amministrazione del Jardin un giorno li ha portati al Circo: i selvaggi hanno riso molto dei clown, e hanno avuto paura dei cavalli. Più o meno, come Topinard da bambino. E comunque sono nudi. Cioè, al loro paese si coprono con una pelle di guanaco. Però i bravi salesiani e gli altri civilizzati non riescono a convincerli a indossarla col pelo dentro, che tiene più caldo. Anche il guanaco, rispondono duri, la porta col pelo fuori. Nella seduta della Società c’è un dottor Nicolas che concede una frase indulgente: "Je comprends la nostalgie, méme chez les Fuegiens", io comprendo la nostalgia, anche fra i fuegini. Chiusi nella gabbia al Jardin, che si abbeverano alla vaschetta, braccati dal pubblico e dai professori. Nel primo tomo dell’81 del Bulletin della Società sono pubblicate in antiporta le fotografie seppiate di due femmine fuegine, ornate di una chincaglieria di collanucce e a seno nudo: una era la ragazza Lisa, l’altra aveva al petto un piccolo, e la didascalia la chiamava Petite Mère. Stettero in Europa un anno, esposti ad Amburgo, Parigi, Berlino, Monaco in Baviera, Stoccarda, Norimberga e Zurigo. Di quei rapiti, tornarono nella Terra del Fuoco in quattro: gli altri morirono di morbillo, tubercolosi, dissenteria, sifilide. O di nostalgia. Adriano Sofri