17 giugno 2005
Tags : Giovanna. Sicari
Sicari Giovanna
• Nata a Taranto nel 1954, morta il 30 dicembre 2003. Poeta. «[...] Una voce che in tante stagioni aveva attraversato le vie di una Roma irrequieta e spesso non generosa, pronta a relegare - e a separare - i poeti in luoghi delegati, piuttosto che amarli e riconoscerli in vita. [...] i contenuti veri della personalità e del lavoro di Giovanna Sicari: il sorriso guizzante, la via ”obbligata” della poesia, l’avvinghiarsi al presente, il prodigio della metafora, l’accelerazione da vertigine dei nessi tematici e semantici. [...] Principio informatore dei suoi versi, ricorda [...] Milo De Angelis è una sorta di ”ierofonia”: apparizione subitanea, estasi ”in perpetua perdita, un lampo di giornate e di anni che si avvinghiano al presente, lo possiedono” al confine con l’empatia e la scissione. da questo accumulo che nasce la scossa, il soprassalto, il volo aperto. In una parola la sovversione di Giovanna Sicari con i suoi versi a voce alzata, tra l’invettiva e il rimpianto, nel respiro di un fiato a metà. Il fatto è che la sua poesia ”non cerca il simbolo ma il corpo” scrive Eraldo Affinati. Aveva, non a caso intitolato il suo vero e proprio libro dell’89 Sigillo (Crocetti editore), quasi a voler ricordare la materia delle cretule, dei primi codici fatti d’argilla. Una materialità che torna ”sul luogo del delitto” anche nel suo ultimo Epoca immobile (Jaca Book, 2003.) C’era una topografia di questo incedere incessante dei versi che chiedevano ascolto? Sì, era una Roma distratta che si dipanava nel dedalo delle vie più o meno consuete che hanno contrassegnato la sua esistenza. Una Roma essenziale per lei: era la città dell’attesa, dell’epifania, dello scoprire come fosse per la prima volta, quella della plaquette Roma della vigilia (Edizioni Il Labirinto). ”Dopo Monteverde, ancora pulsante della presenza fantasmatica di Pier Paolo Pasolini, furono almeno quattro - scrive ancora Eraldo Affinati - i luoghi che ritmarono la sua vita. La casa di via Prenestina 42, coi piloni rossicci della sopraelevata; quella di via Giolitti, davanti al Tempio di Minerva; l’abitazione dei genitori di Via Nicola Stame, a Spinaceto. Ma soprattutto il penitenziario di Rebibbia dove insegnò per dodici anni con entusiasmo, angoscia passione e sconforto...”, che ritorna devastante nel suono dei suoi versi: ”Un riso isterico felice quando dentro/ è bagnato il lago - c’è un palazzo aperto solo alle lacrime - / Casal dei Pazzi, Roma, ancora Tiburtina/ fumi, vetro negli occhi, fango senza foglie”. In una geografia-strategia di sentimenti spauriti e dal coraggio dell’assalto, in compagnia di un pietas laica disperata ”...nel buio della folla appassionata/ che assetata voleva il nostro sangue/...”. Dove ricorda Luigi Fontanella ”l’autrice non si stanca d’interrogarsi su passato e presente nel quale luoghi, persone e situazioni la videro agire in ’anni imperfetti’ e nel tremore del ’buio ansioso’”. [...]» (Tommaso Di Francesco, ”il manifesto” 16/6/2005).