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 2005  giugno 04 Sabato calendario

Il profeta che lavorava per l’impero di casa. Il Giornale 04/06/2005. Fu Dottor Jekyll e Mister Hyde

Il profeta che lavorava per l’impero di casa. Il Giornale 04/06/2005. Fu Dottor Jekyll e Mister Hyde. Utopista politico, profeta sociale e benefattore, da un lato. Pronto a stringere patti col diavolo per allargare il suo impero, dall’altro. Immaginò l’Europa unita prima di chiunque e in totale controtendenza. Correva il 1916, con le Nazioni del Vecchio Continente impegnate tra loro in una lotta all’ultimo sangue. La proposta del Nostro nacque parlando con un docente di economia, Attilio Cabiati. I colloqui durarono mesi mentre le armi lavoravano instancabili al bilancio finale di 8,5 milioni di morti e 20 milioni di feriti. Degli incontri si ricordò il professore a guerra finita e ne trasse un libro, Federazione Europea. Firmato da entrambi, andò a ruba. «Se si vuole rendere impossibile il ritorno della guerra - questo il nucleo centrale dell’opera e del pensiero del Nostro - una sola via è aperta: la Federazione degli Stati europei. Ogni altra visione più tenue è soltanto un’illusione... Trasformare gli Stati sovrani in province di un unico Stato confederato... l’esempio ci è offerto con la massima chiarezza dalla storia degli Stati Uniti d’America». Ai vantaggi politici, sottolineava il Nostro, corrispondono quelli economici: la caduta delle barriere doganali e la liberalizzazione dei commerci. «Libro opportuno», scrisse il liberista Luigi Einaudi sulla Critica sociale. Ma, come avrebbe sempre fatto nel corso della vita, Mister Hyde smentì coi fatti le belle parole del Dottor Jekyll. Quindici anni dopo, ben ammanicato col duce del fascismo, pretese dazi e dogane a protezione di alcuni suoi commerci. Ottenne così che i prodotti dei concorrenti esteri fossero tassati del 123 per cento. Ciò lo rese monopolista in Italia di quel tipo di manufatto. Con la conseguenza di poterlo vendere al prezzo che voleva e arricchirsi per generazioni. Fu così che il Nostro immise sul mercato a 18 lire il chilo lo stesso oggetto che negli Usa si comprava a sei lire. Pazienza poi se, per godere del privilegio, Mister Hyde era costretto a inneggiare pubblicamente al dittatore che in privato chiamava «il coglione». Disse di lui encomiastico: «Sorse Mussolini, il liberatore e il ricostruttore, e l’Italia fu tutta con lui». Aveva però anche un occhio di riguardo per la socialdemocrazia che nel resto dell’Europa aveva preso piede. Negli stessi anni in cui inneggiava e arricchiva, rilasciò una celebre intervista anticapitalistica all’United Press. Era il 1932, anno clou della Grande depressione. Col giornalista americano, particolarmente sensibile all’argomento, sostenne che la disoccupazione di cui soffriva l’Occidente era dovuta al progresso tecnico e proponeva come rimedio la diminuzione delle ore di lavoro in tutte le aziende. Einaudi questa volta gli si rivoltò contro e ne seguì un’accesa polemica. Il Nostro in ogni caso fece la figura del progressista e antesignano della effettiva diminuzione degli orari introdotta poi nel ’36 dal governo francese del Fronte popolare. Queste dichiarazioni populiste non gli impedivano naturalmente di essere alquanto sparagnino coi propri dipendenti. Al punto che i salari pagati da Mister Hyde erano inferiori di tre volte e mezzo a quelli correnti in Usa nel medesimo comparto. Questo abile barcamenarsi tra ideali e interessi, gli permise di conquistare simpatie a destra come a sinistra. Il colpo da maestro fu di offrire ai suoi dipendenti in sciopero l’ingresso nel CdA e la creazione di una cooperativa di produzione. Né più né meno che il regalo del 50 per cento della sua attività. I sindacati, sbalorditi da tanta generosità, non osarono accettare sia perché si sentivano impreparati, sia perché temevano un inghippo. Questa timidezza fece sfumare un interessante esperimento che coincideva con la dottrina sociale della Chiesa e venne poi realizzato in parte negli anni ’60 in Germania. Ne furono però conquistati due intellettuali di sinistra come Antonio Gramsci e Piero Gobetti che largheggiarono in lodi del Nostro sui loro giornali. «Il più audace e tenace degli eroi del capitalismo moderno», fu la definizione di Gramsci. «L’eroe che sa conquistarsi la simpatia col sorriso», è la descrizione di Gobetti. Nella vita privata fu un uomo di grande discrezione e infelice. Ebbe solo due figli e gli premorirono. La femmina durante l’ennesimo parto. Il maschio in un incidente aereo al largo del golfo di Genova. Usò parte dei suoi mezzi in opere benefiche. A Orbassano costruì un ospedale per feriti di guerra, due tubercolosari in Val di Susa, un ospedale civile in Pinerolo, colonie marine e montane a Marina di Massa e Salice d’Ulzio. Durante il secondo conflitto appoggiò la Repubblica di Salò, finanziando però sottobanco la Resistenza. I rapporti con Mussolini non erano più quelli di un tempo, poiché il Duce mal sopportava il suo potere quasi da antagonista. Lo chiamava «la mucca di Malaparte» ironizzando sul fatto che lo scrittore pretendesse dal magnate continue prebende. A guerra finita, il Nostro fu imputato di fascismo e minacciato di epurazione. Ma si liberò con facilità dell’accusa e morì settantanovenne nel suo letto, tra largo compianto. Chi era? La soluzione: Giovanni Agnelli (1866-1945). Fondò la Fiat a 33 anni lasciando la carrierea militare in cavalleria. Iniziò coi tricicli a motore il cui passeggero stava davanti come un poppante nella culla e il guidatore sul sellino da ciclista. Imboccò subito la via della produzione in serie, contro il gusto del pubblico che preferiva auto costruite a mano. Prese a modello Ford e andò più volte a Detroit. Morto il figlio Edoardo, erede designato, cercò di vivere abbastanza a lungo per formare il nipote Gianni. Non gli riuscì e lasciò la Fiat nelle mani di Vittorio Valletta. Giancarlo Perna