La Stampa 05/06/2005, pag.25 Mario Baudino, 5 giugno 2005
Il riconosciuto talento degli ebrei centroeuropei in una ricerca americana che ne rileva radici sociali e biologiche
Il riconosciuto talento degli ebrei centroeuropei in una ricerca americana che ne rileva radici sociali e biologiche. La Stampa 05/06/2005. Una famosa battuta di Woody Allen dice che "la psicanalisi è un mito tenuto in vita dall’industria dei divani", e nella sua autoironia è universalmente considerata un tipico esempio di umorismo ebraico; come l’altra, altrettanto celebre, in cui l’attore e regista americano affronta un tema scottante: "Dio ha detto agli ebrei: Voi siete il popolo eletto... A mio parere, c’è bisogno di un ballottaggio". Ora però dall’Università dello Utah arriva una ricerca di taglio genetico che in qualche modo prende molto sul serio la faccenda, almeno a proposito degli askenaziti, e cioè quelle comunità ebraiche che nell’ambito della diaspora si installarono soprattutto nell’Europa centrale. Hanno prodotto una impressionante serie di personaggi geniali, soprattutto nella modernità: da Sigmund Freud a Albert Einstein, a Gustav Mahler, e si è sempre pensato che ciò sia avvenuto per ragioni storico-sociali evidenti. Ma proprio a questo proposito il professor Gregory Cochran, genetista spesso al centro di polemiche, lancia ora una nuova teoria, che dopo polemiche e rifiuti da parte di altre riviste scientifiche verrà pubblicata sul Journal of Biosocial Science.Sostiene che gli ebrei non solo, ed è un luogo comune, rappresentano da sempre una comunità molto intelligente, ma proprio gli askenaziti superano per intelligenza gli altri, i sefarditi, che si stanziarono storicamente sulle coste del Mediterraneo. E questo per una ragione inscritta nel loro dna. Senza saperlo, gli askenaziti avrebbero, nei secoli, messo in atto un esperimento di eugenetica, costruendo per sé e per i propri discendenti una intelligenza superiore, accompagnata però da una serie di malattie ereditarie. I due aspetti della questione sono stati rilevati separatamente da tempo: per esempio da un lato il quoziente intellettuale molto alto (12-15 punti in più rispetto alle media), dall’altro certi mali terribili, come la sindrome di Tay Sachs - che attacca il cervello e produce danni gravissimi, dalla cecità alla demenza - e il cancro al seno. La novità è che Cochran e i suoi collaboratori li pongono in stretta correlazione.La loro ricerca apre uno scenario storico-genetico: in tanti secoli, a partire almeno dal medioevo, gli ebrei askenaziti, isolati nel mondo cristiano e costretti per sopravvivere ai pochi lavori loro concessi, che richiedevano tutti un alto grado di agilità mentale essendo relativi al commercio o alla finanza, svilupparono una sorta di selezione naturale, con matrimoni ovviamente interni ai loro gruppi dove più o meno incosciamente si privilegiavano i partner più intelligenti. Ciò ha prodotto un crescente successo, che consentiva ai più fortunati negli affari, già nel medioevo, di portare più figli alla piena maturità, a differenza di chi restava povero e doveva scontare quindi anche una maggiore mortalità infantile. Il "gene dell’intelligenza" si diffondeva così in misura sempre maggiore, da una generazione all’altra, all’interno delle comunità askenazite. C’è però il risvolto cupo: il gene, quando è presente in una sola coppia (cioè viene da uno solo dei genitori), produrrebbe infatti intelligenza. Quando però è in doppia coppia determina le gravi malattie neurologiche. E un primato intellettuale diventa una "tara".Lo studio ha suscitato, prima ancora di essere pubblicato (ma il testo è già disponibile su Internet) un ovvio clamore. Il New York Times e l’Economist ne hanno parlato con toni che variano dallo stupore alla preoccupazione. Da Venezia Riccardo Calimani, studioso di storia ebraica che ha dedicato fra l’altro un importante volume proprio ai Destini e avventure dell’intellettuale ebreo (Mondadori), è ad esempio molto diffidente. Anzi, ritiene che la genetica non c’entri per nulla col fatto che "la cultura europea è stata creata in gran parte da intellettuali ebrei assimilati". E visto che si partiva da Freud, torniamo a Vienna. "Alla fine dell’800 nei licei il 70 per cento dei ragazzi erano ebrei, come l’80 per cento dei medici, avvocati, giornalisti, benché gli ebrei rappresentassero il 10 per cento della popolazione; ma non per un fattore genetico. C’erano precisi motivi storico sociali". Calimani porta altri esempi, alcuni persino sconcertanti: come il condominio di Budapest abitato da ebrei da cui partono, fra gli altri, per lasciare l’Ungheria, Von Neumann (l’inventore del computer), Edward Teller (l’inventore della bomba a idrogeno) e Norbert Wiener (l’inventore della cibernetica). O gli ebrei alsaziani che fanno rotta su Parigi: Emile Durkheim, il grande psicologo, e anche Marcell Mauss (il grande antropologo, nipote del primo) senza dimenticare Raymond Aron (cugino del secondo).Si potrebbe continuare ancora per molto: tutto questo secondo Calimani non dà tuttavia ragione a Cochran. E’ una storia che viene sì da lontano, ma da una lontananza rappresentata da comunità ebraiche che hanno sempre praticato la lettura e la scrittura in un mondo di analfabeti, che erano marginalizzate e non organizzate gerarchicamente, quindi "libere di pensiero". Sarà pure nozione comune che gli ebrei siano molto intelligenti. E che poi all’interno delle comunità esista una diffusa convinzione secondo cui gli askenaziti lo siano più dei sefarditi - con profluvio di battute e barzellette al proposito. Tuttavia "queste interpretazioni genetiche finiscono per riproporre l’aberrazione delle idee di razza". Ogni tanto, aggiunge, ne spuntano qui e là, anche se non durano molto: per esempio ci ricorda un libro di Tudor Parfitt, direttore del "Center for Jewish Studies" della scuola di Studi orientali e africani, a Londra, che identificava nei Cohen, discendenza sacerdotale, un particolare cromosoma in uno studio dedicato alle Tribù perdute d’israele (tradotto in italiano da Newton Compton). "Una eminente sciocchezza", commenta lo scrittore veneziano. Che lo sia anche la ricerca di Cochran?Sul New York Times qualche scienziato americano - come Steven Pinker, dell’Università di Harvard -, commenta che la teoria è molto ben argomentata, e non può certo essere liquidata con un’alzata di spalle. Dall’Italia un genetista di fama mondiale come Alberto Piazza è molto più cauto. Intanto, ci spiega, il test sul quoziente d’intelligenza, che è il cardine del ragionamento, è ormai piuttosto screditato, e soprattutto suscita molte perplessità se viene preso come indicatore della "superiorità" d’un gruppo umano su un altro. "La tradizione del test ci dice ad esempio che il quoziente dei neri è più basso di quello dei bianchi", osserva il professore. E questo puzza di razzismo, perché ovviamente non tiene conto delle condizioni sociali. "E’ vero invece che una decina di malattie che danneggiano il sistema neurologico sono più presenti negli askenaziti che in chiunque altro, sefarditi compresi. In genere si tende a interpretare questo fenomeno come "deriva genetica" o "effetto del fondatore": quando una popolazione si riduce o vive isolata alcune malattie si diffondono più di altre all’interno di essa". Però non scompaiono, perché i loro geni possono avere, quando non siano in doppia coppia, e quindi presenti in "portatori sani" effetti benefici: per esempio chi "eredita" la talassemia da un solo genitore resiste meglio agli ambienti malarici.Di qui a mettere insieme geni e intelligenza negli askenaziti - o in chiunque altro - il passo è però lungo e arrischiato. Sarebbe troppo facile: un po’, osserva il professor Piazza, come quando si sostiene che la procreazione assistita permetterebbe di selezionare i caratteri, insomma di fare dell’eugenetica. "Non c’è nessuna capacità di previsione in questo campo. Il fratello di una persona molto dotata può non esserlo per nulla". E poi, che intelligenza andiamo a cercare, nei nostri laboratori, posto che "non abbiamo ancora criteri per misurarla" in assoluto, fra molte intelligenze diverse? Tanto vale tornare a Woody Allen. Che tra le sue frasi celebri, ne ha una molto utile in questo caso, poco scientifica ma molto pratica: "Il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l’imbecille, mentre il contrario è del tutto impossibile". Mario Baudino