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 2005  giugno 16 Giovedì calendario

Pascale Ernesto

• Roma 14 gennnaio 1934, 15 giugno 2005. Boiardo • «[...] l’ultimo dei boiardi di Stato. [...] se non era proprio l’ultimo, era tra i pochi veri. [...] Titolo riservato ai nobili dell’aristocrazia bulgara, latifondisti e generali di truppe, i boiardi furono i puntelli dell’Impero russo fino a Ivan il Terribile e a Pietro Il Grande, che, infine, se ne liberarono. Perché quei nobili avevano ormai troppo potere e offuscavano la potenza degli zar. Pascale fu il boiardo più intrinseco e forse il più duraturo nell´Italia dell’impresa pubblica asservita alla politica, che tanti meriti ha avuto nello sviluppo di questo Paese e tante colpe nell’affossamento di un capitalismo avanzato, liberale, fondato sul mercato libero, sui meriti, sulla capacità imprenditoriale. Tutti lo chiamavano ingegnere, ma non lo era. Era alto due metri, gli dicevano Ernestone o “sor’Ernè”, visto che, romanesco, citava sempre il Belli. Fu per anni il capo della Stet, che era la più potente finanziaria dell’Iri, quella che determinava gli assetti di potere, sceglieva i ministri, finanziava i partiti della prima repubblica. E forse di un pezzo della seconda? Alto due metri, somigliava a John Wayne, ma era tutt’altro che un cow-boy nella vita privata, perché, con lo pseudonimo di Paracelso, il medico che nel 1500 voleva fondere esperienza e filosofia, dipingeva “Volto di donna” o “Angelo in giardino”. Omaggio all’uomo dovuto. Ma Pascale era anche l’uomo di potere che, attraverso la finanziaria pubblica delle telecomunicazioni, prima di Mani pulite gestiva come se fossero suoi gli spiccioli della spesa per gratificare le correnti politiche amiche del momento.Enrico Mattei aveva fatto scuola. Così è toccato alla Dc, quando la Dc era al potere, poi quando fu la destra, nel 1994, Pascale slittò su Alleanza nazionale. Si narra che il mazzo di fiori più cospicuo arrivato nell’ufficio del segretario di An, Gianfranco Fini, dopo la vittoria elettorale del 1994 fu proprio quello di Pascale che aveva ammirato Antonio Gava, capo della “corrente del Golfo”, e litigato quasi sempre con Romano Prodi, allora presidente dell´Iri, che peraltro, a ogni piè sospinto, avrebbe voluto sostituire l’ingegnere con Tomaso Tommasi di Vignano. Il John Wayne delle telecomunicazioni aveva un buon rapporto con Lamberto Dini, ma nell´ultimo decennio si ritrovava soprattutto con Cesare Previti, il volto più inquietante di Forza Italia. Giuliano Amato, da presidente dell’Antitrust, in linea con il commissario europeo Karel Van Miert, criticava il monopolio della Stet senza dire, come avrebbe potuto, di tutti i rapporti finanziari discutibili della finanziaria di Stato. Beppe Grillo aveva capito benissimo chi fosse Pascale e quanto fosse tosto quando, di fronte a una sua provocazione, il capo della Stet, finaziaria pubblica ben nota per finanziare i partiti, replicò: “Siamo indifferenti a un signore che guarda il mondo con aristocratico distacco dalle alture di Nervi”. Grillo, per una volta, fu colpito e affondato. Ma l’ingegner Pascale, fu pensionato dalla prima e dalla seconda repubblica, mentre gli ex funzionari democratici dell’Iri, la holding cui teoricamente faceva capo la Stet, hanno riconquistato la loro dignità e in un seminario di alto livello capeggiato da Carlo Troilo hanno rivendicato qualche lustro dopo: “Noi eravamo professionisti, poi c’erano pochi boiardi, come i capi delle finanziarie più potenti”. Come Ernesto Pascale» (Alberto Statera, “la Repubblica” 16/6/2005). «Anche i suoi avversari glielo hanno sempre riconosciuto. Ernesto Pascale è stato un combattivo valorizzatore delle aziende pubbliche che gli sono state affidate: prima Italcable, poi Sip, poi Stet. Un monopolista forte in un Paese di regolatori e capitalisti deboli, le cui scelte hanno portato a Telecom Italia alcuni vantaggi di cui l’azienda di Tronchetti Provera ancor oggi gode. Primo, il controllo indiscusso ed esclusivo della rete d’accesso, tesoro reso più prezioso dallo sviluppo dell’Adsl. Chi non ricorda la battaglia combattuta da Pascale – il discusso piano Socrate – per la cablatura di 10 milioni di case? Era il settembre del ’95, un’ora fatale per le telecomunicazioni italiane. L’Adsl – cioè la multimedialità fornita attraverso i normali cavi telefonici – era ancora una tecnologia promettente nei laboratori di Bell Atlantic. Un bel sogno d’élite. La fibra ottica – sosteneva Pascale – avrebbe fatto compiere un salto al sistema Paese. No, semmai un passo indietro alla concorrenza, ridotta ai confini della realtà, replicavano gli avversari, tra i quali, agguerritissimo e lucido, Franco Debenedetti. La verità vera probabilmente sta in una frase che, uscendo dal Dorchester di Londra, in quei giorni circondato come un maniero dagli scavi degli avversari di Bt, Pascale disse a un suo stretto collaboratore: “Se non ci muoviamo per primi succederà lo stesso in Italia”. Per Umberto De Julio, oggi venture capitalist con Elserino Piol, la battaglia per la cablatura fu un esempio dell’“occhio lungo” di Pascale. (Resta da dimostrare se sia stato un bene anche per i consumatori). E un altro esempio, sempre secondo l’ex direttore generale Stet, fu la strategia internazionale. In quei mesi impazzavano gli accordi cross border (come si dice oggi) per la fornitura di servizi globali alle multinazionali: fiorivano i memorandum of understanding. Stet fu accusata di non avere un partner. L’accusa non era infondata, si badi, ma trascurava il fatto che molti di quegli accordi non funzionavano, erano più facili da dirsi che da mettere in pratica (come anche oggi). “Pascale puntò sull’America Latina ed ebbe ragione – dice ancora De Julio – e, anche in questo caso, i benefici si vedono”. In azienda Pascale era molto rispettato, perché, ricorda un altro ex stretto collaboratore, Dario Faggioni, “era bravo e difendeva la sua squadra”. Garantista convinto e convinto dell’innocenza del suo numero due (che poi sarebbe stata riconosciuta), difese Vito Gamberale nei giorni bui del suo arresto e, contro il parere di alcuni all’interno dell’azienda, lo confermò al suo posto. Quanto alle sue origini, Pascale, come si dice, “nacque” nelle telecomunicazioni e arrivò al vertice pur non essendo un tecnico di formazione (o forse proprio per questo). Dal 1994, quando fu messo a capo della capogruppo Stet, gestì una delle ultime fasi del monopolio e – importante – l’avvio della concorrenza sui nuovi mercati, dalla telefonia mobile agli albori della multimedialità. Uomo di ampie relazioni, curioso della politica, ebbe autorevolissimi avversari, all’estero e in patria: dall’ex commissario europeo alla Concorrenza Karel Van Miert, con cui ebbe scontri memorabili al tempo della nascita di Omnitel, a Romano Prodi, che nel ’97 lo estromise dalla Stet per insediarvi Tomaso Tommasi di Vignano. E la persona? Celebri le partite a carte con il gruppo di amici a casa sua o, durante le trasferte internazionali, sull’aereo privato che trasportava il vertice aziendale. Anomalo sia nello stile (non vestiva “da manager”) che nelle frequentazioni: per esempio non era impossibile, camminando con lui per le strade di Roma, vederlo fermarsi a chiacchierare con artisti di sua conoscenza, tra lo stupore del seguito. Pascale – che non sopportava la definizione di “boiardo”, distribuita a suo parere secondo impar condicio – era uomo abituato a guardare il mondo dall’alto in basso: dall’alto del suo ufficio all’ultimo piano della sede Stet di corso d’Italia, dall’attico della sua bella casa romana o dall’alto dei suoi quasi due metri di statura. Ma i suoi modi non erano da boss: era cortese e sapeva ascoltare. A suo agio con tutti, raramente alzava la voce, al massimo inarcava il sopracciglio alla Robert Mitchum. Quando era già uscito dall’azienda e qualcuno gli riferì le roboanti dichiarazioni di un successore, commentò sospirando: “Speriamo bene. Questo è un campo in cui le cavolate di oggi si vedono cinque o dieci anni dopo”» (Edoardo Segantini, “Corriere della Sera” 16/6/2005).