La Repubblica 02/06/2005, pag.1-16 Giuseppe D’Avanzo, 2 giugno 2005
Magliana, la saga del crimine. Repubblica 02/06/2005. Nomi da «ragazzi di vita». Memorabili. Er Pantera, er Catena, er Pugile, il Tronco, il Vòto, il Coniglio, il Roscio, il Sorcio, er Cane, er Palletta, er Negro, er Zanzarone, Crispino, Dracula, Palle d´Oro, Righetto, Operaietto, Orazietto, l´Accattone, Marcellone, la Scimmia, il Piscione, er Pescetto
Magliana, la saga del crimine. Repubblica 02/06/2005. Nomi da «ragazzi di vita». Memorabili. Er Pantera, er Catena, er Pugile, il Tronco, il Vòto, il Coniglio, il Roscio, il Sorcio, er Cane, er Palletta, er Negro, er Zanzarone, Crispino, Dracula, Palle d´Oro, Righetto, Operaietto, Orazietto, l´Accattone, Marcellone, la Scimmia, il Piscione, er Pescetto... Gente così, gente della Magliana, del Tufello e dell´Alberone, di Acilia, Vitinia, Ostia, gente di Testaccio e di Trastevere, gente che «all´anagrafe segnano con la matita» perché presto hanno da cancellarla dal libro dei vivi, che quelli – è certo – non si vedranno allo specchio coi capelli bianchi. Schifo per schifo, decidono di giocare il numero pieno. Alla grande. Vogliono tutto, e subito è già tardi. Il Rolex d´oro, l´anello di brillanti, la Bmw 323 o 320, la Kawasaki 900, la villa a Casalpalocco e champagne e pupe e il naso infarinato di cocaina e la paura negli occhi degli altri. Vogliono prendersi tutto. Bische e scommesse clandestine, usura, estorsioni, i bordelli e la droga. Tutta la droga della città: la si divide per zone, «ogni zona, due o tre quartieri. Ogni quartiere un sei-sette formiche e un cavallo a capo. Le formiche rispondono ai cavalli, e i cavalli a noi...». Poi vogliono prendersi anche la città, naturalmente. Tutta la città, quella Roma capoccia dove «non c´è mai stato un gruppo più forte di un altro, dove le bande nascono e muoiono nello spazio di un mattino, dove i patti non reggono al primo soffio di ponentino, dove si odiano tutti... Per questo a Roma chi vuole viene e si fa i cazzi sua: sardi, marsigliesi, calabresi, pugliesi, persino ciociari come quelli di Lallo lo Zoppo, uno che le sue vittime le dava a mangiare ai maiali» (Giancarlo De Cataldo, Romanzo criminale). La Banda della Magliana è un sogno collettivo di pezzenti, è il delirio di onnipotenza di pitocchi che giocano forte al tavolo della vita. Pensano di potercela fare perché hanno già perso e non hanno nulla da perdere. Perché sono tosti. Perché hanno in mano una pistola o un M12... non sono mica i primi ad avere l´allucinazione di «prendersi la città» come fosse un frutto succoso appeso all´albero di nessuno. Che cosa c´è al fondo nel "raccolto rosso" di Scampia, a Napoli, se non la furia dei giovani fratelli Di Lauro di «prendersi tutto»? Oggi come ieri. Negli stessi anni della Magliana, a Milano, Francis Turatello e, dopo di lui, Angiolino Epaminonda "il Tebano" vogliono prendersi tutto, anche loro. E ancora a Napoli, fine anni settanta, non era quella - "prendersi tutto" - la voglia di Raffaele Cutolo? Giusto il «professore» della Nuova Camorra Organizzata (Nco) combina l´idea nella testa dei ragazzi della Magliana. Che ha pensato quel Cutolo lì? Ha raccolto dal marciapiede disperati senza futuro, depressi senza utilità e gli ha dato orgoglio e un´identità in quel deserto di munnezza e case, case e munnezza della periferia sgarrupata che, da Napoli, va a Salerno; dal mare, al Vesuvio. Da quelle parti, un "guaglione" dice «sono cumpariello della Nco» e gli altri lo rispettano. ’O guaglione ha diritto a uno stipendio mensile, a una fetta della torta divisa in parti uguali con gli altri, piccoli o grandi che siano; e l´avvocato migliore se le cose si mettono male e, se si mettono malissimo, la famiglia è «a posto» perché la Nco non dimentica nessuno, morto o in galera che sia. Nicolino Selis a spiegare a quelli della Magliana il congegno del «professore» (era con Cutolo al manicomio criminale di Aversa) e quelli decidono di fare come i «napoletani». «Stecca para». Il bottino si divide in parti uguali. Una parte, «a settimana», finisce in tasca subito - per la Kawa e l´amante e la "farina" - il resto è "cagnotta". Sta tutta insieme. Più capitale, più affari. Non solo la droga e lo strozzo e l´azzardo e il sesso, ma gli investimenti puliti: i ristoranti, i bar, le discoteche, i palazzi, i nuovi quartieri. Enrico Nicoletti è il mago della finanza. Per una grassa commissione, sa come manipolare e moltiplicare il danaro. C´è posto per tutti i gruppi della città dall´Alberone a Ostia, se vogliono... E se non vogliono? Si ritrovano una palla in testa, come niente. Accade a Maurizio, Fernando, Mario, Enrico, Mariano Proietti, i "pesciaroli" di San Giovanni di Dio. Già, ma per cominciare bisogna avere «il capitale» e non bastano le rapinette o una corsa addomesticata a Tor di Valle. Occorre un bel gruzzolo. Per raggranellare il primo miliardo e mezzo (servirà poi per acquistare, in autonomia, la prima partita di brown sugar e cocaina), Franco Giuseppucci "er Negro" organizza il sequestro del duca Massimilano Grazioli Lante della Rovere. Lo prendono alle 18,30 di lunedì 7 novembre 1977 alla tenuta della Marcigliana. Il nobile non tornerà più a casa. La storia della banda della Magliana comincia così, «al buio, in un allevamento di cavalli dalle parti di Settebagni» (Giovanni Bianconi, Ragazzi di malavita). una storia disgraziata, tragica, patetica, comica, commovente che si spegnerà soltanto negli anni novanta quando i ragazzi di vita, come sempre capita, si scannano tra loro senza rimorsi, e si capisce che piace a chi deve fare un film perché ogni cosa, parola, dialogo, amore, conflitto, odio, illusione, ambizione, passione e "ammazzatina" è «film» (epopea) nella favola nera della "banda della Magliana". già nelle sale «I fatti della banda della Magliana», film diretto da Daniele Costantini e Michele Placido ha appena terminato le riprese del suo, tratto dalle 600 (e passa) pagine di «Romanzo criminale» di Giancarlo De Cataldo, e, si sa, che quella storia di ragazzi di vita «sciocchi, presuntuosi, vanitosi, cattivi» ossessiona Marco Tullio Giordana da prima che pensasse a «La meglio gioventù». Perché, se la parabola dei ragazzi di vita della Magliana ha la stessa natura e prospettive di altre allegorie dell´Italia criminale? Perché, se sono storie che si possono raccogliere, come a Milano e Napoli, a Torino (la gang dei Catanesi), a Gela (gli Stiddari), a Venezia (giostrai del Brenta)? Perché farsi addirittura ossessionare dai «testaccini» o dai borgatari della Magliana? La ragione dell´unicità di quelli della Magliana non la si afferra "dentro" la banda. sciagurato fermarsi all´antropologia dei suoi gangster. Quella storia è unica perché, ripercorrendo l´avventura di quei delinquenti comuni, si può scorgere, dal vivo, il sordo conflitto tra i poteri invisibili (in realtà, visibilissimi) dell´Italia dei Palazzi. Di un Paese oscuro alle prese con una crisi strutturale dello Stato, con una patologica espansione dell´illegalità nella vita pubblica, dove a un disperato che chiamano l´Accattone è assegnato l´essenziale lavoro di sfondamento che acconcia un equilibrio «politico» edificato su minacce, ricatti, stragi, assassinii. Raccontata così, dal "cerchio esterno", dagli uomini e dagli interessi che vi ruotano intorno, la storia della banda della Magliana è un capitolo (tra i più trasparenti) della debolezza della nostra democrazia, se «è promessa della democrazia l´eliminazione dei poteri invisibili» (Norberto Bobbio). L´intera gamma dei poteri invisibili d´Italia (massoneria storta, finanza sporca, mafia invasiva, camorra prepotente, spioni fuori controllo, terroristi protetti dagli spioni) si stringono intorno a quei ragazzi di vita che vogliono «prendersi» Roma. Loro ci stanno, naturalmente. Accettano di trafficare con chiunque possa offrire loro protezione e potere; un nuovo quartiere della città; un altro traffico miliardario; la complicità di un poliziotto che chiude gli occhi; l´impunità del giudice che scarcera e assolve; le opportunità di una "barbafinta" che soffia una buona informazione; la disponibilità del professorone che manipola le perizie psichiatriche o le analisi balistiche; l´attenzione della politica che conta, non si sa mai. In cambio, da «bravi ragazzi», quel che devono fare, fanno. Devono trovare la prigione di Aldo Moro e loro cominciano a lavorare. Hanno o no la città «in mano»? Non se ne fa nulla, però. Dopo qualche giorno, anche a loro della Magliana (come ai mafiosi di Palermo), arriva la notizia che è meglio lasciar perdere perché «c´è chi in alto, quell´uomo, lo vuole morto». I ragazzi di vita hanno un arsenale di armi nascosto in uno scantinato del Ministero della Sanità. Via Liszt 34, all´Eur. Santabarbara con i fiocchi. Una calibro 38 e altre diciotto pistole e revolver, un fucile a pompa, una carabina, una machine pistole M12, un mitra Mab 38/42, un mitragliatore Schmeisser Mp40, uno Sten Mk II, una bomba a mano tipo ananas, giubbotti antiproiettile, miccia, munizioni e proiettili anche inusuali come quelli marca Jevelot, polvere esplosiva... Queste armi, con il tempo, diventano la mappa dei legami della banda, le direzioni della sua attività, la geografia della sua integrazione nel sottosuolo dei poteri. La calibro 38 l´usano i "neri" dei Nar, da Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. I "neri" (Alessandro Alibrandi, Massimo Carminati) si lasciano finanziare da er Negro della Magliana (Franco Giuseppucci). I "neri" danno a er Negro il denaro della rapine. Giuseppucci lo presta a usura. Alla fine di ogni mese, i "neri" intascano gli interessi. Un proiettile Jevelot non si trova all´angolo delle strade. In pochi ne hanno una partita. Di quella stessa partita della Magliana fa parte l´Jevelot che scoppia nella testa del giornalista Mino Pecorelli. Quando esplode la bomba alla stazione di Bologna (2 agosto 1980, 85 morti) le indagini muovono verso "i neri" (saranno condannati Mambro e Fioravanti). Licio Gelli, maestro venerabile, indica invece la pista internazionale come - chissà perché - il Sismi del generale piduista Giuseppe Santovito. Gli spioni segnalano «qualcosa di strano» sul treno Taranto-Milano fermo alla stazione di Bologna. In seconda classe, su una reticella, la polizia trova una valigia. Dentro, otto barattoli pieno di «esplosivo gelatinoso», giornali francesi e tedeschi e un Mab 38/42 che ha appena lasciato la santarbara di via Liszt, all´Eur. Era dei ragazzi della Magliana. Gli ambiziosi pitocchi di borgata attraversano con il naso incipriato di cocaina le tappe sepolcrali della storia italiana. Il sequestro di Aldo Moro «che nessuno vuole vivo». Il terrorismo nero e con licenza d´uccidere. La morte di Mino Pecorelli accoppato perché sapeva troppo. I Servizi segretamente disposti a protezione del crimine e dell´eversione. La massoneria piduista, fangosa e nericcia. La strage degli innocenti a Bologna. Se l´intreccio fosse inventato, sarebbe una pappa indigeribile perché troppo bizzarra e greve. Non lo è. Soprattutto, non è tutto. un "testaccino", Danilo Abbruciati, a sparare il 27 aprile del 1982 a Roberto Rosone, vicepresidente del Banco Ambrosiano. Rosone l´obiettivo di Abbruciati, magari perché intralcia le manovre finali del presidente dell´Ambrosiano, Roberto Calvi? O quello sparo è un "avvertimento" a Calvi? Abbruciati non avrà modo di raccontarlo. La guardia del corpo di Rosone lo "frega" per sempre con una 357 Magnum. Con Abbrucciati si spegne una delle poche opportunità di comprendere il verso giusto dei legacci che stringono la "Magliana" alla mafia dei Corleonesi attraverso Pippo Calò e, attraverso Flavio Carboni, a Calvi e Francesco Pazienza (Sismi e P2). Un triangolo - Cosa Nostra, Magliana, P2 - di cui non si è venuto a capo, se si escludono ipotesi e suggestioni. ancora un mistero, dopo un quarto di secolo, che cosa abbiano da discutere nell´estate del 1981 nella villa di Carboni a Porto Rotondo, Abbruciati, Calvi, Pazienza, Calò, «Memmo» Balducci, er Cravattaro (prima di Nicoletti il riciclatore della banda della Magliana; i testaccini lo faranno secco «per fare un favore a Pippo Calò a cui doveva dei soldi»). Nelle sue affinità e dipendenze, la storia criminale della Banda è danza macabra e caleidoscopio. Nelle vite maledette dei «ragazzi di vita» dai nomi memorabili, se si vuole, si possono catturare le immagini sfuggenti di quell´infra-stato clandestino che per decenni ha avuto propri comportamenti, codici, regole e centri di potere in contrasto con tutti i principi della democrazia. molto italiano (se tipicamente italiano è l´intrigo sotto banco e il compromesso indecente) che il potere che si occulta, che occulta, che si nasconde nascondendo, tagli come un´ombra scura i giorni di Er Pantera, er Catena, er Pugile, Crispino. un bel film. Un film molto italiano. Non racconta del bene e del male, ma dell´apparente incapacità nazionale di avere una coscienza dell´uno e dell´altro. Giuseppe D’Avanzo