Corriere della Sera 04/06/2005, pag.19 Arturo Carlo Quintavalle, 4 giugno 2005
La Porta del Paradiso torna d’oro. Ma resta il mistero della fusione. Corriere della Sera 04/06/2005
La Porta del Paradiso torna d’oro. Ma resta il mistero della fusione. Corriere della Sera 04/06/2005. «Il 24 giugno, giorno dedicato a San Giovanni, la lastra con Storie di Giosuè della Porta del Paradiso verrà aggiunta alle altre otto già restaurate e presentata al pubblico nel museo dell’Opera del Duomo», dice con un sorriso Cristina Acidini Luchinat, soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze: dunque un’impresa complessa, i cui problemi e le cui tappe si raccontano qui sotto, si avvia ormai alla conclusione. Ma perché questo evento è importante, che cosa significa nella storia della scultura in Italia e in Europa nel secondo quarto del ’ 400 e precisamente fra il 1425, data della commissione, e il 1452 quando la porta, alla fine, viene dorata? Per capire osserviamo questa lastra e dopo, solo dopo, l’insieme della porta. In alto la scritta in capitali romane « Mira arte fabricavit » che sta a livello occhio, quindi in posizione eminente insieme alla firma ed al ritratto dello stesso Lorenzo Ghiberti, il volto segnato dalle rughe, capelli a corona, sporgente a tutto tondo sulla cornice interna. Il tema della lastra è Giosuè e la città al fondo è Gerico attorno alla quale i suonatori di trombe girano mentre le torri e le mura iniziano a crollare. Dunque Ghiberti condensa decine di figure e la scena, divisa in tre livelli, propone un asse centrale: la strada che divide le figure in primo piano, costeggia le tende dense nei loro volumi puri per giungere al fondo, alla processione che gira attorno alla città. Ghiberti usa un repertorio all’antica: cita sculture di epoca augustea ad esempio nelle figure in alto e in quelle in primo piano e così segna una prima differenza rispetto a Donatello. Quest’ultimo infatti adesso, dopo aver avuto attenzioni precise all’arte gotica, cita la scultura ellenistica dissolvendo le forme in uno spazio mobile, traversato da riflessi e scansioni luminose. Ghiberti no, cerca l’esattezza analitica, il disegno, la definizione quasi aristotelica del reale. Vediamo adesso l’insieme della porta: la inquadra una cornice composta da nuclei naturalistici di frutti e fiori degna di un erbario del primo quattrocento, dunque non un tralcio come negli stipiti delle porte romane; all’interno una seconda cornice, composta da nicchie con dentro figure a tutto tondo su piedistallo, come oratori di un foro antico, e protomi sporgenti fuse a parte entro clipei come sugli archi di trionfo, inventa uno spazio che dialoga direttamente con lo spettatore. Dentro questa ricca cornice affondano le loro prospettive complesse dei dieci pannelli sovrapposti con scene del Vecchio Testamento. Dunque, al di là dello spessore eccezionale della fusione in un solo getto dei pannelli, Ghiberti propone un sistema di scatole prospettiche che dimostrano il suo costante dialogo con Brunelleschi e con Alberti. Del re sto nel pannello di Isacco l’architettura è quella rinascimentale di Brunelleschi e Michelozzo, e così accade ancora, nel pannello simmetrico di Giuseppe, posto pure al terzo livello, dominato da un moderno edificio pianta centrale. In basso poi l’invenzione chiave nel pannello con Salomone e la Regina di Saba è l’evocazione dell’interno di Santa Maria del Fiore e insieme simbolo del Concilio per la riunificazione delle chiese di Oriente e Occidente, come suggeriva R. Krauthei mer, ma una Santa Maria del Fiore con un frontone rinascimentale. E’ come se Ghiberti volesse dire: la mia sintesi è di radici gotiche e di lingua moderna. Del resto proprio Brunelleschi propone lo stesso modello completando Arnolfo con una cupola costolanata a doppia calotta, al centro di una raggiera di strade polo del sistema urbano di Firenze. Ma da dove muove l’invenzione di Ghiberti? Rispetto alla formella del 1401, quella per il concorso per la prima porta del Battistero di Firenze, concorso da lui vinto su Brunelleschi ed altri scultori, Ghiberti è diverso, lo hanno trasformato 50 anni di dialogo con l’arte a Firenze e fuori. Ghiberti certo non si interessa alla evocazione dell’arte romana repubblicana di Nanni di Banco, e neppure allo stile neo ellenistico di Donatello e forse nelle sue vedute urbane della Porta del Paradiso è la chiave per capire il suo dialogo con la storia; così la sua Gerusalemme delle storie di David è Roma, mentre la sua Gerico della lastra di Giosuè sembra citare le architetture di una Firenze antica e nuova, dentro le mura arnolfiane. Ma allora dove, quando e come Ghiberti avrà potuto pensare alla invenzione di queste porte il cui telaio, con i pannelli retrostanti e i clipei, viene fuso in un solo getto, con una perizia tecnica incredibile, quella stessa che gli permette di fondere in un solo pezzo i dieci specchi del suo grandioso racconto? Probabilmente Ghiberti ha conosciuto i prodigi della fusione a partire da quelli della Germania ottoniana, per venire poi al tempo degli Hohenstaufen e infine del tempo gotico; diciamo dunque che deve avere visto le grandi fusioni in bronzo in Germania dalle porte di Hildesheim (1015) in avanti, esse pure fuse in un solo getto. Ghiberti propone dunque un altro Rinascimento, non meno importante di quello brunelleschiano e masaccesco, quello che apparenta l’evocazione del mondo romano e romanico con quello gotico, lo stesso atteggiamento che cogliamo in Leon Battista Alberti e negli spazi intensi e vibranti di Masolino o di Paolo Uccello. Arturo Carlo Quintavalle