Corriere della Sera 11/06/2005, pag.27 Massimo Gaggi, 11 giugno 2005
De Benedetti: dopo Ghidella il declino dell’auto. L’Avvocato? Non gli piacevano le scelte drastiche
De Benedetti: dopo Ghidella il declino dell’auto. L’Avvocato? Non gli piacevano le scelte drastiche. Corriere della Sera 11 giugno 2005. Roma. La Fiat Auto da sola non ce la farà: la salvezza può venire solo dalla Cina. Siglando, cinque anni fa, l’accordo con la General Motors, Giovanni Agnelli fece un ottimo affare sul piano finanziario, ma scelse il partner industriale sbagliato. La Fiat oggi paga la sua incapacità di produrre dirigenti di spicco. E l’errore di aver allontanato l’unico manager capace di fare automobili, Vittorio Ghidella. I giudizi di Carlo De Benedetti si susseguono taglienti, mentre le telecamere vagano tra le statue dell’antichità romana, le turbine e i giganteschi motori diesel, reliquie di archeologia industriale della centrale elettrica Montemartini ( un vecchio impianto dell’Acea trasformato in museo), che fanno da sfondo a un’intervista televisiva per RaiSat Extra. Carlo De Benedetti ripercorre i 50 anni della sua esperienza imprenditoriale spesso in conflitto con l’establishment economico, analizza le cause della crisi del sistema produttivo italiano, propone la sua ricetta contro il declino. a Torino. Una storia di rapporti personali, ma anche di rivalità. Cosa la spinse a tentare, a metà degli anni ’ 70, l’avventura alla Fiat? « Il mio arrivo in Fiat nacque da una richiesta fatta, insieme, dall’Avvocato e da Umberto Agnelli. Decisi di andare per debolezza, per vanità e anche per una sottovalutazione da parte mia. Ma lei capisce: se uno è nato a Torino, vive a Torino, fa il fornitore della Fiat e, a 40 anni, il re lo chiama e gli dice " vuoi venire a fare l’amministratore delegato della Fiat?", beh, lei capisce... Io comunque posi una condizione: vengo ma come azionista: vendo la mia azienda alla Fiat e col ricavato compro il 5% della Casa torinese. Ecco, quello fu l’errore: mi illusi di essere un co padrone » . Le cose non andarono come lei aveva immaginato. Si rese conto che di padrone ce n’era uno solo e dopo pochi mesi lasciò l’azienda. Da allora i suoi giudizi sulla Fiat sono sempre stati critici. A guardare la situazione odierna si direbbe che lei abbia visto lontano. In realtà la Fiat in quegli anni, sotto la gestione Romiti, ebbe anche periodi di grande successo: a un certo punto diventò il primo produttore europeo di auto... « La Fiat tornò ad essere grande grazie a Ghidella, l’uomo della Uno, un manager che veniva dalla Riv Skf. Proposi io ad Agnelli di assumerlo al posto di Tufarelli. E, quando se ne andò, iniziò il decli no industriale del gruppo. Che però ha sempre avuto un problema gestionale legato all’incapacità dell’Avvocato di fare scelte drastiche. Poco dopo il mio arrivo in azienda andai da lui e gli dissi: qui bisogna mandare via 25 mila persone subito. E lui: ma dove sono? Gli risposi: non so dove, ma ci sono: sono nei bilanci, nei numeri. Ci volle riflettere. Venne a Roma, tornò il giorno dopo e mi disse: non si può fare. Sa, Agnelli prendeva la vita con molta più " souplesse", aveva molto più senso dell’estetica che della fatica. Ed era molto sensibile alla politica. A parole la dileggiava, ma ne aveva anche grande paura » . Rispetto o paura? « No, rispetto no. Salvo che per Ugo La Malfa. E poi tenga conto che l’unica cosa che veramente contava per l’Avvocato era la cura della sua immagine. Per lui era la cosa che veniva prima di tutto, an che prima dell’azienda. Pensi alla sua immagine politica di " liberal": in realtà Agnelli era un profondo conservatore che però riteneva che fosse molto più chic comportarsi da progressista. Ricordo ad esempio che nel suo studio a Villa Frescot teneva una fotografia di una carica della polizia polacca contro gli operai, credo negli anni ’ 30. Gli chiesi: ma perché? E lui: in questa carica ci trovo una forza straordinaria. Ecco, di nuovo il suo senso dell’estetica. Intendiamoci: l’Avvocato è stato un grande simbolo, un grande personaggio e, sul piano umano, una persona irripetibile. Ha avuto anche grandi intuizioni finanziarie. Ma era un pessimo gestore. Lui stesso mi ha detto tante volte: se mi dessero un’edicola da gestire, la farei fallire in 36 ore » . Interesse per la politica lo aveva Umberto Agnelli che per una breve stagione scese anche in campo, con la Dc. « Ero alla Fiat in quel periodo ed ero presente quando Umberto – una persona molto migliore di quella che è stata la sua immagine, un grande lavoratore con un forte impegno anche morale – ci disse che si sarebbe candidato. Restammo tutti allibiti. Non ne sapeva nulla nemmeno l’Avvocato, che ci aveva appena comunicato la sua decisione di non entrare in politica. Ma fu un errore: la Dc sfruttò il suo nome e non gli consentì nemmeno di entrare in lista a Torino. Dopo pochi mesi Umberto prese atto della realtà e abbandonò la politica » . Torniamo all’industria: avesse fatto alleanze industriali diverse, la Fiat oggi sarebbe in salvo? « Io so solo che scegliere come partner General Motors è stato un errore. E anche su questo ha avuto un peso il senso dell’estetica dell’Avvocato. Le racconto un aneddoto. A Sankt Moritz eravamo vicini di casa. L’Avvocato chiamava spesso, invitandomi a fare due chiacchiere. Una mattina, appena entrato a casa sua, mi disse a bruciapelo: " Senta, io vorrei capire da lei se è meglio fare un accordo con la Daimler Chrysler o con la Gene ral Motors". Gli risposi che doveva scegliere Daimler Chrysler che, con la Mercedes, fa modelli di alta gamma, mentre la GM in Europa ha la Opel: cioè un doppione della Fiat. Agnelli scosse la testa: " Ma io non so il tedesco. No, preferisco gli americani". Così fece un accordo industrialmente sbagliato, ma finanziariamente fantastico: vendette un pezzo di un’azienda già in crisi profonda ottenendo una valutazione di 20 miliardi di dollari, un prezzo stratosferico. Furono bravissimi lui e l’allora presidente Fresco. E furono un po’ con l’anello al naso gli americani » . Ma la Fiat di oggi può ancora farcela? De Benedetti sostiene che da sola l’azienda non è in grado di risalire la china. Ed è anche difficile trovare un acquirente. « Toyota non ha mai comprato nulla, fa tutto da sola. Peugeot ha prodotti che si sovrappongono » . L’unica possibilità è un costruttore cinese interessato a rilevare un marchio che comunque copre una fetta del mercato europeo: «I cinesi, d’altronde, ci hanno già provato adesso con la Rover» Massimo Gaggi