Corriere della Sera 12/06/2005, pag.16 Armando Torno, 12 giugno 2005
«Danzavo per Stalin al Cremlino» La ballerina che incantò Mosca. Corriere della Sera 12/06/2005. Mosca
«Danzavo per Stalin al Cremlino» La ballerina che incantò Mosca. Corriere della Sera 12/06/2005. Mosca. Stalin andava quasi ogni sera al Bolscioi, percorrendo un corridoio sotterraneo segreto. Sovente gli artisti ricambiavano la cortesia e si recavano al Cremlino, dove intrattenevano il Politburo e il « Piccolo Padre ». Tra essi una donna ebbe un ruolo privilegiato, confidenziale, unico con il dittatore: Olga Lepeshinskaya. Nata nel 1916, prima ballerina a Mosca dal 1933 al 1963, vive ancora nella capitale russa. Ha accettato di incontrarci per parlare della sua vita, dei suoi ricordi. Confessiamo che per vederla abbiamo provato un doppio brivido. Uno a causa dell’emozione; l’altro perché abbiamo raggiunto la sua abitazione percorrendo il giardino che sta davanti alla casa dove morì Gogol, sul boulevard Nikitskij, uno spazio verde in cui soffia un vento freddo anche nei rarissimi giorni in cui a Mosca fa caldo. Tra le piante c’è la statua del grande scrittore, una scultura di Nikolai Andreyev carica d’ironia, quasi accovacciata: se ne sta qui dal 1951, anno in cui Stalin la fece spostare dal luogo d’origine, presso la piazza Arbat, per sostituirla con un’opera più ottimista. O meglio con un lavoro del realista e cortigiano Nikolai Tomskij, che concepì un Gogol eretto e fiducioso che mira sereno l’avvenire. Insomma, ancor oggi non è facile incontrare Olga Lepeshinskaya evitando la presenza di Stalin. Ma quando si arriva a varcare la soglia in cui vi sono più ricordi che in un archivio, l’ingombrante amico si dimentica. La casa è signorile, piena di rose; alle pareti troppi quadri perché l’occhio possa scrutarli attentamente. Non sfugge però una natura morta di Falk, pittore del periodo sovietico non allineato con l’arte ufficiale, che è come una bandierina di libertà fatta sventolare fra immagini opache. La voce di Olga è calda, suadente; il suo francese è sorboniano e quando le sfugge qualche termine inglese, ci si accorge che l’accento è americano. « Sì, me lo insegnò l’ambasciatore degli Usa, Bullit, che nel 1934 aprì la sede diplomatica a Mosca » . Poi ci offre un « capucino » , che corregge con un liquore all’amaretto. « L’ho portata io a Mosca – ricorda la signora – questa bevanda italiana. Era il 1964, forse gli inizi del ’ 65... E sa chi mi fece scoprire in Italia il " capucino"? » . Dinanzi al nostro secco dubbio ci rivela il nome: « Indro Montanelli » . « Montanelli? » , le chiediamo stupiti. « Sì – replica Olga – , nel 1963 venni a Milano per curarmi la vista. La persi sulla piazza Rossa durante le esequie del mio secondo marito, il generale Aleksei Antonov, comandante militare del Patto di Varsavia, con cui vissi sette anni. Mentre stavano tumulando le sue ceneri nelle mura del Cremlino, il sole divenne nero, e io non vidi più nulla » . Prosegue calma, controllando le sillabe: « Per questo mi feci curare in Italia e lì conobbi Montanelli » . La curiosità sale. La incalziamo con dei « come? » , dei « quando? » , ma la Lepeshinskaya ha vissuto troppo per offrirci una risposta banale: « Deve essere stato alla Scala. Feci, dopo le cure alla vista, un paio di serate e lui venne in camerino con delle rose. possibile non sorridere a un mazzo di fiori? » . La risposta la lasciamo al lettore, anche perché – aggiunge con uno sguardo che sembra sorreggere le parole – « Stalin mi portava sempre delle rose nel camerino al Bolscioi » . Con una certa spudoratezza tentiamo un azzardo e le chiediamo se gliele portò anche una sera dell’agosto 1939, quando nel teatro di Mosca il « Piccolo Padre » assistette allo spettacolo a fianco di von Ribbentrop, giunto in Urss per firmare il patto russo tedesco con cui cominciò di fatto la Seconda guerra mondiale. « No, quella volta andai io stessa nel palco degli zar, dove Stalin sedeva sempre. Anzi, in quell’occasione fu scattata una foto che mi ritraeva tra i due personaggi » . Con un pizzico di curiosità ci scappa un « c’è ancora? » , al quale segue una risposta da manuale: « Forse, in qualche archivio, chissà... Se ha pazienza qui a Mosca si trova tutto. Ma la copia che avevo è stata sequestrata dagli uomini di Beria insieme a un’altra istantanea che mi fecero con Stalin » . Dopo una pausa che riempie con un sorriso venato di tristezza, prosegue: « Quell’irruzione in casa mia è legata a un brut to ricordo. Avevano arrestato il mio primo marito. Poco dopo vennero e mi portarono di forza da Beria ( mentre altri frugarono ovunque). Mi ricevette nella sua biblioteca, mi fece sedere e cominciò a camminare dietro le mie spalle; lo vede vo soltanto per il riflesso nella vetrata. Poi il capo della Nkvd ( la polizia politica) mi disse che gli era stata riportata una mia protesta » . Due o tre secondi di interminabile silenzio, poi continua: « Mi voltai e lo guardai negli occhi. Ebbi la fer mezza di rivolgermi a lui con queste parole: " Se mio marito è colpevole, allora punitelo. Se non lo è, lasciatelo andare in pace" » . Passò un anno prima della liberazione e la sua « pena » la scontò nella prigione interna della Lubjanka. « Quando uscì – ricorda Olga – chiese il divorzio per non rovinare la mia carriera di prima ballerina al Bolscioi. Lo rividi solo poco prima della sua morte e ci scambiammo parole di perdono » . Anche Beria, comunque, fu attento con una donna come la Lepeshinskaya. « Premio Stalin » per ben quattro volte ( nel 1941, nel ’ 46, nel ’ 47 e nel ’ 50: un caso unico), « Artista emerita dell’Urss » nel ’ 42, « Artista del popolo » nel ’ 47, membro del Soviet supremo, il suo nome fu segnalato dallo stesso Stalin, anzi « lo scrisse con la matita blu nell’elenco che gli sottoposero » . Con il « Piccolo Padre » cenava sovente al Cremlino. « Mi faceva danzare – ci confida – su un palcoscenico che veniva allestito appositamente nella sala di San Giorgio. Davanti era seduto tutto il Politburo e Stalin stava in una posizione privilegiata. Sui tavoli il miglior caviale, vivande rare, vini pregiatissimi » . Le chiediamo di rivelarci una confidenza. Sorride con grazia e aggiunge: « Una volta Stalin mi sussurrò: " Perché balli con il tutù? una formalità da gran teatro... Qui, tra gli amici, conviene un vestitino leggero, più..." » . Un sospiro e ancora: « Ai ricevimenti del Cremlino da quel giorno ballai sempre con un vestitino leggero, confezionato dai migliori stilisti di Mosca dell’atelier della grande sarta Lamanova. Se Stalin diceva vestitino, doveva essere vestitino... » . Cerchiamo di non interrompere il filo dei ricordi e le chiediamo cosa accadeva durante le cene con il « Piccolo Padre » , quel che mangiava, cosa facesse. « Era taciturno – prosegue – e i cibi preferiti erano quelli pepati e profumati della cucina georgiana. Aveva però un forte senso dell’umorismo e del sottinteso: erano due armi che usava con maestria » . A questo punto i ricordi di Olga si concretizzano: « Stalin amava più di ogni altro il film Volga Volga , una commedia musicale del 1938 del regista Aleksandrov. In esso si racconta lo scontro tra Byvalov, un’incarnazione satirica del burocrate comunista, e Strelka, una ragazza briosa del Komsomol ( la gioventù del partito, ndr ) che canta e guarda avanti... Lo fece proiettare per anni come dessert ai suoi ospiti » . Ma non è tutto: « In molte occasioni Stalin interpretava Byvalov e io facevo la parte di Strelka. Non sbagliava mai una battuta e recitava benissimo. Lì ho capito che era un grande attore... Era talmente entusiasta di questo film che dopo la battaglia di Stalingrado ne inviò una copia a Roosevelt. Il presidente americano cercò di interpretare il gesto riunendo i migliori cervelli. Siccome nel film c’era un piroscafo americano, dono degli Usa al popolo russo, che dopo aver navigato sul Mississippi si trovava sul Volga e perdeva continuamente i pezzi a causa del clima ( tanto che alla fine una nave sovietica intervenne per portare in salvo i passeggeri), credettero che fosse un gentile richiamo per aprire il secondo fronte. Ma Stalin voleva soltanto divertire l’alleato... » . Le chiediamo ancora qualcosa del « Piccolo Padre » , magari un particolare, un cenno, forse influenzati dall’aver letto nel saggio di Donald Rayfield Stalin e i suoi boia ( appena uscito da Garzanti) che « era uno psicopatico » e che si circondò di « una corte spietata » , o meglio di « sadici assetati di sangue » . Le chiediamo conferma se è vero che desiderasse catturare Hitler vivo per esporlo in una gabbia sulla piazza Rossa. Con una grazia antica la Lepeshinskaya ricorda soltanto che « fu un uomo vendicativo e cattivo, come tutti gli orientali » . E dopo questa battuta, che ci ha lasciato come viatico, ci siamo accomiatati da lei. Nel baciarle la mano l’abbiamo guardata per un secondo interminabile negli occhi, protetti dagli occhiali e da un gioco sapiente delle palpebre. Ma è bastato un istante per vedere una cascata di blu con scintille color smeraldo. E dietro quei colori ci sono ancora infiniti segreti e alcuni dettagli che saprebbero riscrivere pagine di storia. Armando Torno