n, 14 giugno 2005
Tags : Eugénio De Andrade
DE ANDRADE Eugénio (José Fontinhas). Nato a Póvoa de Atalaia (Portogallo) il 19 gennaio 1923, morto a Porto (Portogallo) il 13 giugno 2005
DE ANDRADE Eugénio (José Fontinhas). Nato a Póvoa de Atalaia (Portogallo) il 19 gennaio 1923, morto a Porto (Portogallo) il 13 giugno 2005. Poeta. «[...] il poeta portoghese più famoso del XX secolo e più tradotto nel mondo. Con buona pace, naturalmente, di Fernando Pessoa, che, nato nel 1888 e morto nel 1935, appartiene forse lui pure a quel Novecento che ci dimentichiamo a volte di considerare finito. Ma anche se la poesia di Eugénio de Andrade, ben noto anche in Italia per le traduzioni di Carlo Vittorio Cattaneo (Ostinato rigore, Abete, 1975; Vigilia dell’acqua, Empiria, 1990) e di Emma Scoles [...] non ha avuto tra noi la diffusione riservata a Pessoa, è un fatto che la fortuna mondiale di questo eterno adolescente, legato visceralmente alla madre fino alla morte di lei, nel 1959, è il segno della solarità di versi affidati essenzialmente alla Parola, al culto della brevità, alla poetica dell’istante e alla trasparenza, in un secolo affascinato dall’esigenza di oscurità e in una tradizione come la portoghese di viscerale concettismo e di costante tentazione barocca. I primi riconoscimenti critici vengono a Eugenio de Andrade nel 1948, quando si pubblica quello che ancora oggi è forse il suo libro più noto, Le mani e i frutti. Fra le raccolte che seguono, ricordiamo Até Amanha, 1956; Branco no Branco,1984; Os sulcos da Sede, 2001. E ancora del 2001 è il Premio Camoes, massimo riconoscimento per gli scrittori di lingua portoghese. [...] Era un bellissimo uomo, atletico nella camicia bianca aperta, col volto serio, quasi corrucciato, ma sempre gentile e riservato, timido nel suo ”ostinato rigore” (in italiano sempre, anche per lui, grande musicologo) di difendere il proprio privato. [...] Ha scritto Eduardo Lourenço: ”Nell’esatto momento in cui la poesia portoghese si rivede con compiacenza nei testi di Pessoa, il poeta di Le mani e i frutti riporta lentamente, ma con fermezza, la coscienza poetica delle ’idee e dei problemi’ alle ’parole’, come doppio magico e immediato del mondo”» (Luciana Stegagno Picchio, ”la Repubblica” 14/6/2005). «Nel 1994 la città di Oporto gli volle regalare una casa sul mare, che è diventata anche la sede della fondazione a lui intitolata. Eugenio De Andrade viveva al piano superiore, mentre i locali più in basso erano dedicati a riunioni, letture, esposizioni di libri. Fu quello il decisivo omaggio al poeta portoghese forse più amato in patria e più tradotto all’estero, almeno dopo Pessoa, un poeta di cui José Saramago era grande ammiratore, tanto da definirlo tra i più importanti di tutti i tempi nella letteratura del suo paese. E per lui Marguerite Yourcenar aveva trovato la definizione, forse un po’ leziosa, di ”clavicembalo ben temperato”. [...] faceva parte di quella che in Spagna viene ricordata come la ”generazione del ’27”: Luis Cernuda, Vicente Aleixandre e soprattutto García Lorca, di cui fu traduttore e amico. La sua poesia, sensuale, delicata, con un occhio al magistero di Rilke e un altro alla classicità greca - ma andrà ricordato anche che una
sorta di eroe personale fu per lui Walt Whitman - ne ha fatto, a partire dagli anni Quaranta, una voce sempre più influente non solo nella lirica portoghese, tradotto in molti paesi tra cui l’Italia, anche se mai in modo organico. Nel ’90 l’editore romano Empiria ha pubblicato la raccolta Vigilia dell’acqua. ”Parole...dove un grido / basterebbe c’è la grassezza / delle parole. Parole, / quando appetiscono chiarità improvvise, / il succo schietto, la punta estrema / del tuo corpo, arco, freccia, / corolla di acqua aperta / al fuoco a piombo del mio corpo”, leggiamo in una delle prime versioni giunte in Italia, negli anni Settanta, della sua poesia. Le opere più famose, come Gli amanti senza denaro, Le parole proibite, Mare di settembre hanno svolto una sorta di lungo dialogo, non privo di chiusure e rifiuti, con la modernità che si andava imponendo. Gli piaceva dire no al computer, ma anche a un banale registratore. La sua posizione geograficamente marginale, in un Portogallo a lungo arretrato, è stata tuttavia per lui qualcosa di più che una possibilità di affinamento dello sguardo. ”Tutta la scienza è qui, nel modo in cui questa donna / dei dintorni di Canton, / o delle campagne di Alpedrinha, / traccia quattro o cinque solchi / di cavoli: mano ferma / con l’acqua, / intimità con la terra, / impegno del cuore. / Così la fa la
poesia”, leggiamo ancora in L’arte di far versi. A De Andrade sono stati consegnati molti riconoscimenti letterari tra cui il premio Camoes nel 2001. Fra una apparente semplicità e un’apertura pagana sulla natura, è il corpo il protagonista della sua lunga riflessione poetica. Il corpo, secondo le sue parole, come ”metafora dell’Universo”» (Mario Baudino, ”La Stampa” 14/6/2005).