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 2005  giugno 09 Giovedì calendario

Strani criteri con cui gli americani fissano la nazionalità delle banche Sanpaolo e Intesa per la Fed non sono italiane

Strani criteri con cui gli americani fissano la nazionalità delle banche Sanpaolo e Intesa per la Fed non sono italiane. Il Sole 24 Ore 09/06/2005. New York. La Federal Reserve ha stabilito che due importanti banche italiane, Banca Intesa e Sanpaolo-Imi, sono dal punto di vista della legge americana sotto il controllo di due banche straniere, rispettivamente la francese Credit Agricole (Sas Rue la Boetie) e la spagnola Banco Santander. Anche una terza banca italiana, la Bnl, è stata considerata dalle autorità preposte alla regolamentazione bancaria americana sotto il controllo della spagnola Banco di Bilbao, ancora in regime pre-Opa. Ma l’interpretazione potrebbe essere estesa anche a Capitalia, presente negli Stati Uniti e con una struttura di patto di sindacato simile a quella di Banca Intesa e Sanpaolo-Imi. Nel caso dell’istituto di credito romano la posizione di maggioranza nel patto di sindacato appartiene alla olandese Abn Amro. Per ciò che riguarda Banca Intesa, il riferimento a un controllo straniero nell’interpretazione della Banca Centrale americana è già avvenuto: a pagina due della prima parte del rapporto della Fed del dicembre 2004 sulla struttura proprietaria delle banche straniere operanti negli Stati Uniti, alla voce Banca Intesa Spa si legge che il "family name", e dunque il gruppo di riferimento per il controllo dell’istituto, è riconducibile a "Sas Rue de la Boetie", la controllante formale del Credit Agricole. L’identificazione viene ripetuta a pagine sette della seconda parte dello stesso rapporto. Questo significa che se Banca Intesa dovesse chiedere il permesso di intraprendere nuove attività o procedere con un’acquisizione negli Stati Uniti, la richiesta formale, con i conseguenti obblighi legali, dovrebbe essere fatta direttamente da Credit Agricole o, quanto meno, dalle due banche in forma congiunta. Le ramificazioni di questa complessa contrapposizione di due sistemi giuridici, quello europeo che consente e incoraggia la costituzione di partecipazioni incrociate, e quello americano, che le scoraggia, quanto meno a partire da una soglia superiore al 5% di un pacchetto azionario, sono di varia natura. Vi è intanto l’imbarazzo di immagine per una banca che opera a tutti gli effetti in modo autonomo, ma viene poi identificata pubblicamente dalla più importante Banca Centrale del mondo con un altro istituto di credito. Ma vi è anche la possibile riserva dell’ipotetico controllante: chi viene identificato dalla Fed, di diritto se non di fatto, come azionista di riferimento, rischia di trovarsi con una serie di obblighi legali e contabili su cui non ha necessariamente possibilità di verifica o di influenza. Vi è poi un problema di consolidamento di bilancio tra controllante e controllata: secondo le autorità americane è necessario, ma in pratica è impossibile secondo gli attuali assetti giuridici europei. Uno dei timori principali delle banche, infatti, è quello di trovarsi costrette a violare le norme di riservatezza vigenti in Europa. Il paradosso è che se, come potrebbe chiedere la Fed, una istituzione come Banca Intesa dovesse dare informazioni privilegiate al Credit Agricole, dovrebbe darle automaticamente al mercato, per evitare le asimmetrie informative. Vi sono poi rischi di violazione della legge americana che impedisce il superamento della soglia del 25% da parte di una banca in un gruppo industriale presente anche negli Stati Uniti. Ad esempio, se una banca italiana dovesse entrare in possesso di un pacchetto superiore al 5% di un gruppo industriale presente in America e se quella banca fosse considerata sotto il controllo di una terza banca si verrebbe a creare il paradosso che la banca controllante rischia di essere in aperta violazione della legge americana. Emerge infine dirompente la diversa percezione tra Stati Uniti ed Europa di una struttura come il patto di sindacato, giudicata "pesante" e di difficle comprensione tecnica in America in contrapposizione a strutture di partecipazioni azionarie più leggere, di semplice portafoglio. In America ad esempio, nessuna delle grandi banche statunitensi ha un azionista con un pacchetto superiore al 3%. E anche quando l’azionista arriva al 3% si tratta in genere di grandi fondi pensioni che garantiscono sia la totale autonomia del management sia che operazioni finanziarie contabili o di acquisizione riflettano l’interesse della totalità degli azionisti. Di certo, questa dicotomia preoccupa le istituzioni bancarie europee che si sentono esposte al rischio di un’ingerenza extraterritoriale della Federal Reserve: impedire un’agevole attività nel mercato finanziario più importante del mondo per differenze di regole in apparenza irriconciliabili è certamente un problema serio. In questa fase gli istituti italiani si trovano esposti per la questione del patto di sindacato, ma a livello europeo vie è almeno un’altra banca che si trova in difficoltà analoghe: la tedesca West lb, infatti, controllo più del 25% della Hsa Northbank in modo diretto. Questo ha impedito in passato di soddisfare a certe richieste della Fed e di procedere con operazioni in territorio americano. Anche per questo, a Il Sole 24 Ore risulta che l’Institute for International Bankers (Iib) e la Commissione Europea si sono mobilitati per interloquire a livello istituzionale con la Federal Reserve e trovare soluzioni che non vadano a violare lo spirito della legge. La legge è la Banking Holding Company Act del 1956, pensata quando un’economia globale come la conosciamo oggi non era neppure immaginabile. Non risulta invece che le autorità bancarie centrali o la Banca d’Italia in particolare abbiano avviato una consultazione formale con la Federal Reserve per cercare una soluzione. In un incontro di routine avvenuto in Italia tra la Banca d’Italia e la Federal Reserve tra il 18 e il 20 di aprile scorso ad esempio le nostre autorità non avrebbero sollevato dubbi sull’approccio americano che di fatto mette in mano degli stranieri una larga parte del nostro sistema bancario nazionale. Queste rivelazioni sono il risultato di una inchiesta di alcuni mesi condotta da il Sole 24 Ore, da quando sul sito Internet della Federal Reserve è apparsa una lettera dello studio legale di Washington Arnold & Porter (si veda la riproduzione in pagina) in data 31 gennaio 2005 che offre commenti sulle "proposte di revisione del rapporto annuale per l’organizzazione di una banca estera sul formulario FR Y-7" e risponde alle obiezioni sollevate dalla Fed in base appunto al Bank Holding Company Act del 1956 (Bhca). Le legge fu formulata per garantire che non vi fossero intrusioni di gruppi industriali nel sistema bancario. Stabilì che già al 5% vi è una presunzione di controllo se viene dimostrato altrimenti. Quando però la soglia arriva almeno al 25% di maggioranza relativa, per la legge l’azionista è irrevocabilmente in posizione di controllo. La lettera di Arnold and Porter, successivamente rimossa dalla Fed dal suo sito Internet, ma pur sempre disponibile a chi la richiede, è lunga 6 pagine è indirizzata al consiglio dei Governatori della Federal Reserve, illustra il rapporto con Credit Agricole, spiega che il concetto di controllo richiederebbe anche l’approvazione preventiva di Banca d’Italia e della Banca di Francia che non si è mai verificata proprio per la mancanza di controllo. Al comma quattro della lettera si sottolinea che l’assenza di controllo è ulteriormente confermata: "dal fatto che l’investimento di Intesa in Credit Agricole viene contabilizzato secondo il metodo del patrimonio netto piuttosto che secondo quello del consolidamento...Credit Agricole dunque non è una parent company". La Fed è aperta al dialogo, ad esempio ha recepito che le comunicazioni di dati finanziari per ciò che riguarda Banca Intesa possono per il momento avvenire in modo diretto. La Banca centrale americana però insiste sulla questione del controllo. Fonti vicine alla Fed interpellate da Il Sole 24 Ore, hanno spiegato che la sezione due A del Bank Holding Company Act: "è molto chiara: stabilisce i meccanismi per identificare il controllo di una banca nella soglia del 25%. Se una banca è sotto il controllo di un patto di sindacato allora dobbiamo risalire a chi è in controllo di quel patto di sindacato e se il soggetto lo è con una percentuale superiore al 25% allora per noi non vi sono dubbi. Perchè si rinunci a questa interpretazione vi sono due possibilità o una modifica staturaria della legge, alquanto difficile, o perseguendo una via più semplice e che cioè il patto di sindacato scenda al di sotto del 25%". Il patto di sindacato di Intesa controlla circa il 45% del pacchetto azionario totale, Credit Agricole dispone del 18,04% del pacchetto azionario azionario e partecipa al sindacato di controllo con il 14,81% delle azioni. Il 14,81% all’interno del 45% è dunque superiore al 25% di soglia massima identificato dalla Fed. Lo stesso vale per San Paolo Imi. Il patto di sindacato è pari a circa il 29% del pacchetto azionario e di questo il 10% è in mano del Banco Santander, di nuovo con una maggioranza relativa superiore al 25% nel gruppo di controllo. Sia Banca Intesa che San Paolo Imi, interpellati da il Sole 24 Ore, hanno ammesso l’esistenza di questa diversa interpretazione e di avere un dialogo aperto e construttivo con la Fed per risolvere il problema. Il Sole ha appreso che nel caso di San Paolo Imi lo studio legale Oliver and Cromwell sta cercando di far prevalere la tesi che il patto di sindacato è in realtà un semplice "patto di consultazione" e che dunque non offre al Banco Santander quella posizione di priviliegio e di controllo identificata dalla Fed. Per tutte e tre le banche italiane coinvolte in questo dibattito con la Fed il problema è sorto in modo casuale. Un’ispezione di routine condotta dalla Fed su Credit Agricole ha rivelato la struttura di patto di sindacato con Banca Intesa. Nel caso di San Paolo Imi è stata invece la banca italiana ad aver avviato le procedure per costituire una financial holding company, una società finanziaria a tutto campo che avrebbe consentito di allargare le operazioni di brokeraggio e di investment banking dell’Imi senza dover passare per altri intermediari autorizzati. Secondo la Fed però, appurato che dal punto di vista americano la struttura proprietaria fa riferimento a un altro gruppo, la richiesta doveva pervenire direttamente dal Banco Santander. Non solo, tutte le controllate di Santander dovevano rispondere ai requisiti di trasparenza manageriale e di parametri di capitale necessari per ottenere il permesso della Fed richiesto dal San Paolo Imi. La complicazione tecnica per ora ha ritardato l’approvazione della richiesta di San Paolo Imi a tempo indeterminato, anche per le preoccupazioni del Santander di dover apparire in prima persona in un affare che riguarda un’altra banca. A Il Sole 24 Ore risulta che il Presidente di San Paolo Imi Enrico Salza abbia affrontato l’argomento con la Fed nel corso di un incontro avvenuto lo scorso ottobre. Ma da allora a oggi la Fed non si è ancora pronunciata formalmente. Nel caso della Bnl, il ritardo c’è stato per la "controllante". La Bbva aveva richiesto molto tempo fa l’autorizzazione per acquistare una banca texana, la Laredo National Bancshares e le sue controllate. Durante l’analisi dei documenti è emersa la posizione di controllo della Bbva su Bnl secondo l’interpretazione americana e l’operazione ha subito un ritardo di quasi un anno. Alla fine il 30 marzo l’operazione è stata approvata. Per Capitalia ancora non vi sono state rilevazioni dirette da parte della Fed, anche perchè non sono state avviate procedure particolari con la banca centrale americana: "non ci facciamo parte attiva - dichiara una fonte vicina alla Fed - ma nel caso dovessero esserci delle richieste particolari da parte di una banca, se rileviamo che la Bhca è stata violata agiamo di conseguenza". Mario Platero