Varie, 12 giugno 2005
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JARRAH Ziad Al Marj (Libano) 11 maggio 1975, 11 settembre 2001. Terrorista. Uno dei kamikaze dell’11 settembre • «Una notte di febbraio del 2000, in un appartamento di Bochum, in Germania, Aysel Sengun, una giovane donna di origine turca, resa insonne dai tormenti, aspettò che il marito si addormentasse, poi, silenziosamente, sollevò le lenzuola e, centimetro per centimetro, ne esaminò il corpo
JARRAH Ziad Al Marj (Libano) 11 maggio 1975, 11 settembre 2001. Terrorista. Uno dei kamikaze dell’11 settembre • «Una notte di febbraio del 2000, in un appartamento di Bochum, in Germania, Aysel Sengun, una giovane donna di origine turca, resa insonne dai tormenti, aspettò che il marito si addormentasse, poi, silenziosamente, sollevò le lenzuola e, centimetro per centimetro, ne esaminò il corpo. Cercava una ferita, una cicatrice, un qualunque segno che le potesse dire da dove, realmente, era venuto e dove sarebbe andato. Ziad Jarrah si era ripresentato alla sua porta dopo mesi con un vestito elegante, il volto rasato e due sporte del duty free di Dubai piene di regali: gioielli, miele, un paio di scarpe e, quel che più contava, una gonna. Finì l’esplorazione senza risultato: la pelle di quell’estraneo che era suo marito non le aveva detto nulla di più di quanto avesse fatto la sua bocca. Si ridistese con gli occhi sbarrati al soffitto. Raccontò poi che in quel momento decise di mentire a se stessa, di dirsi che tutto sarebbe andato bene, lui era tornato, l’amava, voleva un figlio, avrebbero vissuto felici e contenti. Ma una voce continuava a chiederle: ”Chi è veramente quest´uomo che ti dorme a fianco?”. E lei non conosceva la risposta. Scriverà il ”Boston Globe” sette mesi più tardi: ”Di tutti i misteri che circondano l’attentato dell’11 settembre, la vita del presunto dirottatore libanese Ziad Jarrah è uno dei più fitti”. Radunate un comitato di esperti e chiedete loro di tracciare il profilo psicologico di un kamikaze fondamentalista islamico. Concedete qualche variante, allargate il ventaglio a dieci, cento, mille possibilità: non una volta verrà fuori l’identikit di Ziad Jarrah, l’uomo che non doveva esserci. Al punto che qualcuno trova argomenti per dire che proprio non c’era, o, se c’era ”dormiva”, era un qualunque passeggero, non il dirottatore seduto ai comandi nella cabina di pilotaggio del volo 93 della United Airlines diretto da Newark a San Francisco, non quello che, come da registrazione, segue il suggerimento di un compagno e schianta l’aereo in un campo. S’inganna chi pensa così, ma s’ingannano anche tutti quelli che, nell’identikit di un kamikaze, alla voce segni particolari mettono: fanatico religioso, in cerca di una vendetta politica, disperato. Se Ziad Jarrah era su quell’aereo, bisogna lasciare spazio a qualche altra caratteristica, più spaventosa perché universale. Per arrivarci ripercorriamo i tratti salienti, in quanto anomali, della vita dell’uomo che non doveva esserci. Ziad nasce da una famiglia musulmana sunnita, ma assolutamente laica. Il padre, pubblico ufficiale, e la madre, insegnante, non gli danno alcuna educazione religiosa. Suo zio Jamal scoprirà solo in età matura di non essere cristiano: da piccolo la madre lo affidava a un’amica protestante che lo portava con sé a messa. Nel quartiere di Beirut dove Ziad cresce usi e, soprattutto, costumi non sono rigorosi. Le donne vanno alla spiaggia in bikini, gli uomini bevono alcool. Lui frequenta, come ogni giovane libanese che possa permetterselo, una scuola cattolica. Impara a parlare correntemente inglese e francese, nuota e gioca a basket, indossando una maglietta con l’emblema di una squadra dell’Nba americana. Presta servizio in una comunità che aiuta i disabili e gli ex tossicodipendenti. Si diploma a fatica. In famiglia notano che ”è più interessato alle ragazze che alla geometria”. Gli chiedono che cosa intende fare da grande. Ziad risponde: ”Pilotare aerei”. Con genitoriale istinto il padre inorridito dice: ”Per carità! pericoloso, potresti schiantarti!”. Gli propongono di studiare all’estero, gli offrono due città dove hanno parenti: Toronto, Canada, o l’oscura Greifswald, Germania. Il poco avventuroso Ziad sceglie la seconda perché è più vicina a casa. Finisce in un borgo medievale pullulante di neo nazisti con il cranio rasato. Abituato agli sfarzi di Beirut si considera in una sorta di arretrato terzo mondo. Una notte (inevitabilmente) al ”Fly In Disco” popolato di giovani fuori moda lo demoralizza. Si fidanza. Lei è Aysel, una ragazza turca che studia da dentista. A parte, bisognerebbe analizzare l’attrazione che le dentiste esercitano sui kamikaze. Khalid Sheikh Muhammad, una delle menti dell’attentato alle Torri, quando viveva a Manila frequentando bar e bordelli, fece squillare un giorno il cellulare della dottoressa Mosquero nel suo ambulatorio. ”Guarda alla finestra”, le disse. Il terrorista era lì, faceva ciao da un elicottero che trascinava lo striscione: ”I love you”. Ziad ama Aysel. Entrambi sono, o amano definirsi, ”alberi senza radici”. Estraniati, alienati, in cerca di un senso che lei sembra trovare nel loro incontro, lui meno. Vuole una missione, una causa. Frequenta altri giovani di origine araba e si avvicina a una moschea. I precetti dell’Islam sembrano fare breccia, ma non vanno molto al di là della superficie. Chiede a Aysel di portare il velo. Regolarizza la loro unione sposandola segretamente, o non ufficialmente, a seconda delle versioni. Comincia a parlare di jihad, a mostrarsi aggressivo. I due si lasciano e si riprendono come trapezisti. Lei gli scrive lunghe lettere d´amore e riconciliazione (’Mi manchi. Miao. Vorrei coccolarti. Ti amo”). Lui è più conciso, ma conclude con ”Goodbyeeeeeeee!”. Appare, come molti, un uomo diviso tra una scelta familiare e un’altra vita che tiene nascosta alla moglie e ai parenti. Scompare per lunghi periodi: va in Pakistan, va in America a prendere lezioni di volo. Fa un viaggio alle Bahamas con i compagni del corso, tutti americani. Ride e scherza con loro. Telefona continuamente alla famiglia in Libano. Nel gennaio 2001, quando il padre si ammala (o finge, per rivederlo), accorre. Nella circostanza partecipa a un matrimonio. Un video lo mostra mentre danza felice. Mohammed Atta ascoltava solo canti religiosi. I due si conoscono poco e non si piacciono. Atta è il volto che corrisponde all’identikit, Jarrah no. Minaccia, lo rivelano gli atti della commissione d’indagine, di tirarsi indietro. L’uomo che non doveva esserci è, anche, quello che non voleva più esserci. Khalid Sheikh Mohammed, l’innamorato respinto dalla dentista, ordina di fare pace tra i due. Atta, soldato perfetto, piega il capo. A Ziad non resta che prenderne atto. La notte tra il 10 e l’11 settembre in una camera del Day’s Inn di Newark scrive a Aysel una lettera che verrà ritrovata in circostanze sospette: sbaglia l’indirizzo, per cui torna al mittente. Prendiamola per buona. Dice tra l’altro: ”Sono quello che desideravi, ma purtroppo dovrai attendere per rivedermi... allora vivremo una vita stupenda ed eterna, in castelli di oro e d’argento”. Si firma: tuo per sempre, Ziad Jarrah, 11 settembre 2001. Dall’aeroporto di Newark, prima di prendere il volo 93 e dirottarlo, Ziad chiama Aysel. prestissimo. Lei è semi addormentata. Lui dice tre volte ”I love you”. Poi: ”Goodbyeeeeee!!!!”. Riappende e va. Ziad non era un fanatico religioso. Ha incontrato qualcuno che lo era e ci ha giocato insieme. Era un ragazzo sperduto in una terra straniera, poco amichevole e per nulla attraente. Cercava una ragione per quella vita e per tutta la sua vita. Come quasi tutti gli uomini nella storia dell’umanità era scisso tra prospettiva del focolare e quella del fuoco, tra la donna che contraddittoriamente amava e le compagnie maschili. Che queste non gli proponessero allegri svaghi, ma il loro contrario, è stato solo un accidente della storia. Albero sradicato, Ziad ha ritrovato fondamenta in quel legame maschile che sta alla base di una qualunque banda e del suo, spesso insano, progetto. In quel consesso ha seguito i miraggi della forza, del coraggio, di una ragione superiore che non avvistava dentro la propria anima. Ha ceduto alle regole del gruppo e le regole prevedevano che non fosse possibile tornare indietro senza perdere la stima di sé e dell’esistenza tutta. andato perciò avanti, anche quando non voleva più, anche se forse non ha davvero voluto mai. C’è, nel gruppo dell’11 settembre, un poco investigato lato animale maschile, una logica da branco che prepara lo stupro di gruppo (gli aerei dentro le Torri, la spada dell’Islam che penetra l’America). Nell’eccitazione della vigilia i terroristi sauditi a Boston chiamano diversi servizi di squillo (ma rinunciano per l’eccesso della richiesta economica). Fuori dal contesto, ma suo prigioniero, Ziad scrive parole d’amore eterno alla moglie. Muore portando con sé il proprio mistero. Lascia aperta la porta al dubbio. La famiglia non ottiene l’esame del Dna sui resti. Il suo cadavere è classificato come appartenente a ”John Doe”, formula americana per dire ”uno sconosciuto qualunque”. Proprio questo ci dovrebbe spaventare: né fanatismo né ideologia politica. Era uno qualunque» (Gabriele Romagnoli, ”la Repubblica” 12/6/2005).