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 2005  giugno 12 Domenica calendario

Boringhieri Paolo

• Nato a Torino il 4 luglio 1921, morto il 16 agosto 2006. Editore. «[...] Famiglia di origine svizzero tedesca (i Bohring), un padre fabbricante di birra a Torino per una antica tradizione familiare. Un fratello maggiore, Gustavo, che frequenta i ”ragazzi” del liceo D’Azeglio, i vari Bobbio e Mila. così che nel ’49 [...] grazie a una ”indiretta raccomandazione”, Boringhieri viene assunto prima all’ufficio stampa poi nella redazione dello Struzzo, dopo aver lavorato in un’industria meccanica. Nel giro di un paio d’anni, Giulio Einaudi gli affida la collana scientifica avviata ancora prima della guerra. un incarico che a Boringhieri piace molto, per un suo vecchio pallino legato alla cultura scientifica. Sarebbe stato quello il primo nucleo della futura casa editrice di Sigmund Freud, ma questo nessuno poteva ancora saperlo. Boringhieri doveva sapere invece, nel ’49, che c’era, all’interno della casa editrice, una lunga storia rimasta in sospeso e che riguardava la Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici, meglio nota come ”Collana viola”. Responsabilità di Cesare Pavese e di Ernesto De Martino come consulente. Una collana che, lo intuì presto Pavese, minacciava di ”diventare il cancro della casa e paralizzare e mangiarsi tutto il resto”. [...] ”La Viola fu un’idea di Pavese, il quale convinse Giulio ad aprire una collana in cui mettere i libri che piacevano a lui, gli studi religiosi soprattutto. La scelta dei titoli era frutto dello scambio di opinioni con De Martino, anche se in realtà avevano interessi differenti”. Come si sa, quella collezione provoca molti dissensi ”politici” all’interno della casa editrice. Da Roma, Muscetta non esita a esprimere la propria ostilità. Intanto Pavese muore, nell’agosto del ’50. Giulio decide di affidarne proprio a Boringhieri l’organizzazione: ”Avevo già un certo interesse per la psicologia ed Einaudi lo sapeva: voleva inserire lì anche testi psicologici. Per esempio Jung, che era certamente più ’pavesiano’, cioè più umanista di Freud, considerato da Cesare uno scienziato. Ciò dimostra la visione chiara che aveva Pavese: inseguiva aperture verso il mondo dell’etnologia, delle mentalità e delle religioni dei popoli primitivi... A suo modo la Viola era una collana d’avanguardia, troppo raffinata per trovare un vasto pubblico in Italia”. Del resto, anche Calvino aveva espresso qualche dubbio. Parlò di ”etnologia dei negretti”. ”Forse pensava a Frobenius. Ma la grande pietra dello scandalo fu Kerény: De Martino lo considerava troppo spiritualista, mentre a Pavese piaceva molto”. Boringhieri gode, all’interno della casa editrice, dell’amicizia antica con Felice Balbo: ”Fu lui ad ammaestrarmi al lavoro editoriale e aveva una piccola schiera di discepoli, con Pavese era tra i più ascoltati da Giulio, erano loro lo zoccolo originario della casa editrice. Si era tuffato nella politica in Albania ed era tornato al cattolicesimo, ma era un cattolico al di fuori della cultura ufficiale, direi un cattocomunista”. Muscetta lo definiva un po’ spregiativamente il ”lavoratore cristiano”: ”Io appartenevo alla schiera di Balbo, la mia famiglia era protestante e io condividevo l’idea che per essere di sinistra non ci fosse bisogno di professare una filosofia”. Dunque, la Viola finisce nelle mani di Boringhieri: ”Pavese era una persona formidabile, uno spirito libero e un grande intellettuale, il vero numero due della casa editrice. Mentre io non ero nessuno, venivo ammesso alle riunioni del mercoledì pur non essendo un letterato”. Le preoccupazioni di Giulio Einaudi non erano solo di carattere commerciale, ma anche di opportunità politica: ”La Viola era un corpo estraneo rispetto alla casa editrice, dove primeggiava l’interesse politico. Allora quello religioso e quello etnografico erano campi del sapere considerati con sospetto dalla cultura italiana e soprattutto Muscetta, per dirla in volgare, era un po’ un trinariciuto”. E Giulio, da che parte stava? ”Giulio era un togliattiano, ma al fondo era un liberale figlio di suo padre, non so come mai a un certo punto volesse cedere all’idea di tradurre Lysenko, il biologo ufficiale di Stalin”. Il peso della politica: ”E beh, sì, la politica fino all’Ungheria si sentiva, ma non come un peso, era un’utopia accettata con entusiasmo da molti”. Anche da Boringhieri? ”Mah, io ero più cauto, come Luciano Foà”. Il quale poi avrebbe fondato l’Adelphi. ”Foà accarezzò più volte il progetto di fondere l’Adelphi e la Boringhieri. In effetti forse la cosa sarebbe venuta bene...”. Calasso nega che l’Adelphi sia nata come una costola della Einaudi: ”Ma secondo me l’einaudiano Pavese sarebbe stato perfetto per l’Adelphi”. L’incontro con Giorgio Colli risale a diversi anni prima: ”Colli, come Luciano Foà, era un mio amico di gioventù, si sentiva un figlio spirituale di Nietzsche, ne parlava come di un collega vivente, l’aveva scoperto al liceo. Se la rideva del fatto che Nietzsche fosse stato inglobato nel nazi smo, ci rideva sopra e non se la prendeva per niente. Giulio Einaudi lo proteggeva, aveva fatto un contratto con lui per la traduzione dell’Organon di Aristotele, un contratto molto gravoso che suscitò diversi malumori. Ma Giulio non cedette”. I malumori venivano, come sempre, da Roma. [...] Nel ’55, con la prima crisi economica, Einaudi decide, su consiglio del banchiere Raffaele Mattioli, di cedere una serie di titoli alla Mondadori. E propone a Boringhieri di rilevare le Edizioni Scientifiche. il primo nucleo di una casa editrice autonoma: ”Giulio mise insieme così un po’ di liquidità. Allora era al culmine della sua gloria, il re dei re anche all’estero. Gli editori americani venivano a Torino apposta per lui. Solo che aveva fatto il passo più lungo della gamba, ma secondo me era geniale anche sul piano finanziario. Un altro al suo posto sarebbe naufragato prima. Sapeva come muoversi. Nell’83 rimasi incredulo, non mi aspettavo quel pasticcio, non aveva capito che doveva fare un passo indietro e consolidare la casa editrice”. Quando nel ’57 Boringhieri decide di lasciare lo Struzzo, Einaudi ci resta male: ”Ci tenevo a dimostrare che si poteva avviare un’editoria scientifica, mettendo insieme scienze della natura, matematica e scienze umane. Così, saltai il fosso. Come Edizioni Boringhieri comprai l’opera di Freud, c’era un’ottima edizione inglese, con apparati critici migliori dell’edizione tedesca”. [...] quando Boringhieri si mise in proprio, fu Bollati a proporgli il logo del cielo stellato, traendolo da un antico manoscritto francese. ”Non posso dire che avevo con lui un’amicizia fraterna, però lo stimavo molto”. Nell’87, quando Bollati unisce il suo nome a quello di Boringhieri, le premesse sono chiare: ”La Boringhieri era una piccola casa di nicchia, ma con un marchio forte, purtroppo non era più in grado di investire. Dunque, l’aiuto di Romilda, la sorella di Giulio Bollati, avrebbe garantito la sopravvivenza”. Le cose vanno così così e nel ’93 il sodalizio finisce: ”Bollati si mise a rifare, in piccolo, l’Einaudi, abbandonando il concetto di nicchia e aprendo molto alla letteratura, ma senza ottenere grandi rafforzamenti: la sorella a un certo punto gli disse che così non si poteva andare avanti. Ne venne fuori un pasticcetto. Oggi non è più la mia casa editrice e l’editoria non è più la mia editoria artigianale”. [...]» (Paolo Di Stefano, ”Corriere della Sera” 12/6/2005).