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 2005  giugno 10 Venerdì calendario

Ogni anno in Italia si usano 10 miliardi di sacchetti di plastica. Poiché una volta dispersi nell’ambiente possono impiegare anche quattro secoli prima di scomparire, la Coop (250 milioni di buste l’anno) è pronta ad usarne un nuovo tipo biodegradabile al 100% in massimo tre anni (più alta è la temperatura meno tempo ci vuole)

Ogni anno in Italia si usano 10 miliardi di sacchetti di plastica. Poiché una volta dispersi nell’ambiente possono impiegare anche quattro secoli prima di scomparire, la Coop (250 milioni di buste l’anno) è pronta ad usarne un nuovo tipo biodegradabile al 100% in massimo tre anni (più alta è la temperatura meno tempo ci vuole). Maurizio Zucchi, responsabile qualità delle Coop. «I nostri shopper sono stati certificati dall’università Blaise Pascal di Clermont Ferrand, dall’università di Pisa e da due laboratori in Austria e in Belgio». Gli ambientalisti però dicono che quelle buste inquinano addirittura più delle altre. Roberto Ferrigno, responsabile delle campagne di Greenpeace: «Nel 1990 Greenpeace, assieme all’ecologo americano Barry Commoner, ha pubblicato un libro per denunciare l’imbroglio del polietilene che veniva spacciato per degradabile e invece si divideva in una pioggia di frammenti mischiati a metalli pesanti. E ora si ripropone lo stesso scenario: i 250 milioni di pezzi prodotti ogni anno dalle Coop contengono 410 chili di cobalto, un elemento radioattivo sospetto cancerogeno, 1.050 chili di rame, 327 di zinco, 287 di magnesio, 175 di ferro. Questi shopper si disgregheranno prima degli altri, ma tutto ciò non fa certo bene all’ambiente. La strada maestra è quella imboccata dal Sudafrica e dalla Corsica, che li hanno vietati, o dall’Irlanda, che ha imposto una tassa di 15 centesimi facendo sì che il mercato diminuisse in un anno del 90 per cento. Anche grandi catene di distribuzione come Albert Hein, in Olanda, e Colruyt, in Belgio, li hanno aboliti. Bisogna fare lo stesso in Italia: eliminare tutti i sacchetti di plastica». Lucia Venturi di Legambiente: «Quei sacchetti che chiamano biodegradabili in realtà si degradano grazie all’aggiunta di additivi, cioè di metalli che alla fine si disperdono nei prati e nell’acqua andando ad aggravare l’impatto ambientale. Il rischio è che i consumatori facciano confusione e, pensando che il sacchetto sia degradabile, lo abbandonino dopo il pic nic». Lamentele anche da un’azienda del settore, la Novamont. Marco Versari, responsabile marketing: «Noi produciamo la mater B, la plastica totalmente biodegradabile che nasce dal mais. un prodotto che costa leggermente di più ma è ecologicamente corretto. Se ora il termine degradabile viene usato al di fuori del significato che gli danno le direttive europee, diventa difficile continuare a investire in tecnologie d’avanguardia».