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 2005  giugno 04 Sabato calendario

L’arte applicata alle stragi "La scena del delitto parla come un quadro". La Stampa 04/06/2005. Sembra assurdo, irreale, invece è importante sentir parlare d’arte in questo "teatro" - nella palazzina in vetro della Direzione Centrale Anticrimine - dove si analizzano le immagini di gente ammazzata, seviziata, sventrata

L’arte applicata alle stragi "La scena del delitto parla come un quadro". La Stampa 04/06/2005. Sembra assurdo, irreale, invece è importante sentir parlare d’arte in questo "teatro" - nella palazzina in vetro della Direzione Centrale Anticrimine - dove si analizzano le immagini di gente ammazzata, seviziata, sventrata. E i princìpi della critica d’arte enunciati da Carlo Bui, il direttore dell’Unità di Analisi Crimini Violenti, c’entrano eccome. Ernst Gombrich e Giovanni Morelli prima di lui (nell’800) hanno insegnato parecchio sulle caratteristiche di un’opera d’arte, su come ascriverla a un autore per via di un dettaglio e Bui, appassionato d’arte, ne ha fatto tesoro. Di Morelli cita la ricerca dell’espressione più spontanea. Ci si fa imbizzarrire il cervello durante la ricerca di un elemento strano, insolito, particolare. Ma quanto l’espressione più spontanea sia utile nell’identificare un assassino è un attimo non da poco. La scena del delitto parla, come un quadro quando si vuole decidere se è autentico o un falso. Un esempio per tutti: Maurizio Minghella, almeno nove omicidi appurati, prima in Liguria, poi nel Torinese. Se si guarda la scena di delitti compiuti da lui e si fa la comparazione con altri gli si ascriverebbero tutti: viottolo, vegetazione, vittima denudata in un certo modo, posizione identica, stessi segni sul volto e sul corpo, addirittura stessa angolazione del cadavere rispetto agli alberi. Sembrano fotocopie. Ma una di queste immagini, sul monitor, è di troppo: l’assassino, altro da lui, ha confessato. Nelle immagini sue c’è qualcosa che qui non si vede, ma la Scientifica ha appurato: è il colpo che ha atterrato la ragazza. E’ il colpo di un pugile, che all’altra manca. E il colpo da pugile è l’espressione spontanea di Minghella. Lascia stupefatti vedere quello che i computer dall’immensa potenza scaricano su questo monitor che vale 700 mila euro (ce ne sono soltanto due simili, uno a Quantico, Fbi, l’altro in Germania): è l’analisi della scena del crimine più minuziosa che si possa fare, con comparazioni che non hanno date, scadenze, con dettagli tanto atroci quanto importanti. Con recupero della memoria da parte dei testimoni, che vedono la stanza, il luogo in tridimensionale, possono toccare. E’ vero, spiega Bui, che non puoi ragionare con la tua testa, ma è da sfatare che devi metterti in quella dell’omicida: "Gli porteresti parte di te". Allora qui si analizza la scena partendo dall’ovvio, dal normale. E’ quello che si studia e si scarta. Tre donne uccise in un monolocale, tre donne strozzate e legate con il filo della lampada da tavolo, tre donne prone sul letto, nella stessa posizione. Unica mano? Fesserie. "In un locale dove non c’è altro da utilizzare, prendi il cavo del telefono o quello della lampada. In quei tre casi non c’era telefono perché usavano i cellulari. L’unica corda è quel cavo. Tre assassini diversi hanno usato l’unico strumento a portata di mano". E’ vero dunque che l’omicida incide sulla scena del delitto, ma è altrettanto vero che l’ambiente incide sui comportamenti dell’omicida, li condiziona, li guida. Allora si rimane oggettivi, si esamina quello che era "inevitabile" e si va a cercare che altro ci colpisce. Si entra nella caccia alla "firma", come l’oggetto abbandonato sul corpo, piantato per spregio in esso (una biro, un ramo). E si passa a un profilo psicologico minuzioso. Nei macchinari di questa sala ci sono migliaia di casi. Ne hai uno nuovo e chiedi al computer di tirarti fuori tutti quelli dove è stato trovato un mozzicone di sigaretta della stessa marca: esamini, confronti, trovi il Dna di un indagato precedente, fai la ricerca del Dna del nuovo caso. Per un briciolo di Dna su un banale cavo elettrico si è bloccato un uomo già al secondo omicidio. E’ così per le impronte digitali, è così per i proiettili o i loro frammenti. E’ la scienza al servizio della psicologia criminale. Che, dice Bui, non scende dall’alto e non va per ipotesi, viaggia per lettura di dati certi, prima di qualsiasi interpretazione. Come garantisce il prefetto Nicola Cavaliere: "Noi non attribuiamo delitti a persone. Noi prendiamo atto e studiamo delitti per trovarne gli autori". Marco Neirotti