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 2005  giugno 05 Domenica calendario

La lira svenduta a condizioni capestro. Libero 5 giugno 2005. L’Italia per entrare nell’euro accettò un tasso di conversione molto deprezzato rispetto al reale valore della lira e soprattutto della sua economia

La lira svenduta a condizioni capestro. Libero 5 giugno 2005. L’Italia per entrare nell’euro accettò un tasso di conversione molto deprezzato rispetto al reale valore della lira e soprattutto della sua economia. Non si tratta di un’affermazione politica, lanciata facilmente sulla scia della polemica innescata dalla doppia bocciatura, francese e olandese, della Costituzione europea. Si tratta, bensì, di una verità matematico-economica con la quale si può dimostrare che il rapporto di cambio non valeva un euro contro 1936,27 lire, ma avrebbe potuto valere di più se l’Italia di allora avesse difeso le sue posizioni economico monetarie. Il valore dell’euro fu fissato nel ’98, all’epoca del governo Prodi. Il valore di quella che sarebbe stata la futura moneta europea era pari a quello dell’Ecu (European currency unit), che non era una vera e propria moneta ma un paniere, una sorta di contenitore di 15 monete che, con pesi e percentuali diverse, componevano questa unità di conto europea. I tassi di conversione delle varie monete nazionali, dunque della nostra lira, sono stati fissati in una trattativa che partiva dal valore dell’Ecu. noto che la Germania, di fronte a una reticenza dell’opinione pubblica tedesca ad abbandonare una moneta forte e affidabile come il marco, ottenne un cambio favorevolissimo: 1,95583 per un marco. Basta leggere i giornali dell’epoca per ricordarlo bene. Fu deciso che un marco valeva più di un euro , che circa 6 franchi francesi (6,55957) valevano un euro , che ben 2 fiorini olandesi (2,20371) facevano un euro. Per capire la perdita della lira, al momento fatale in cui vennero fissati i tassi di conversione basta un’operazione molto semplice, consultare gli ultimi valori di cambio fra la moneta italiana e le altre divise europee che sarebbero entrate nell’euro. Si verificherà la perdita della lira nella stretta finale. Ma per comprendere a fondo la dinamica bisogna andare ancora indietro. Agli inizi del maggio ’98 vennero individuati i cosiddetti ”Paesi In”, quelli che avrebbero partecipato alla prima fase dell’Unione monetaria, e furono fissate le parità bilaterali delle 11 monete europee (Gran Bretagna, Svezia, Danimarca si tennero fuori, mentre la posizione della Grecia fu sospesa), in altre parole il cambio fisso tra lira e marco, lira e franco, lira e peseta, e così via. In quella stessa occasione fu dato il via alla costituzione della Banca Centrale Europea, l’organismo di governo della politica monetaria dell’eurozona con sede a Francoforte, a cui fu affiancato il Sebc (il Sistema europeo delle banche centrali). Il sospetto, suffragato da più di un elemento, e che l’Italia pur di conseguire quello che allora appariva come uno storico traguardo, enfatizzato da tutta la retorica europeista, accettò condizioni ”capestro”, imposte dall’asse franco-tedesco, che deprezzarono il valore della sua moneta e soprattutto della sua economia. Si ricordino le dichiarazioni del governatore della Bundesbank, l’arcigno Hans Tietmeyer, che non voleva accogliere l’Italia nell’euro. Di qui la decisione, dettata più dalla brama di poter portare l’Italia nella moneta unica che da effettive convenienze economiche, di accettare le imposizioni dei ”padroni” di Bruxelles. La lira fu deprezzata e soprattutto non fu considerato il valore complessivo dell’economia italiana, in cui il sommerso pesa non poco. In verità, tra il ’98 e il ’99, le voci dissenzienti furono pochissime. A giocare un ruolo non furono solo le imposizioni franco-tedesche ma anche ”l’euroeuforia” italiana, quella voglia di esserci a tutti i costi, quella propensione a prendere per oro colato tutto quanto viene dall’Europa. Si aggiunga che il centrosinistra già stava dando i primi segnali di crisi che avrebbe condotto alla sconfitta del 2001, per cui occorreva un risultato politico, l’euro appunto, con cui incantare gli italiani. L’euro , sarebbe ingeneroso non ammetterlo, non ha significato solo lacrime e disastri, ha conferito stabilità, messo al riparo da speculazioni, frenato l’inflazione. Ma le economie europee, a eccezione dell’Inghilterra che s’è tenuta fuori dall’euro , non crescono, sono ferme, avanzano recessione e disoccupazione. Basta rileggere i giornali tedeschi dell’epoca per constatare il dibattito che si sviluppò tra gli industriali e i banchieri tedeschi: i primi premettero perché l’Italia entrasse comunque nell’euro poiché restando con la lira avrebbe ottenuto un forte vantaggio commerciale e produttivo nel piazzare le sue merci sui mercati globali. Gennaro Sangiuliano