6 giugno 2005
Tags : Alfredo. Jarr
Jarr Alfredo
• Nato a Santiago del Cile (Cile) nel 1956. Artista. «[...] vive a New York, ha studiato architettura e cinema, ma è stato il primo artista di tutta l’America Latina a sbarcare nelle grandi rassegne internazionali (Biennale di Venezia 1986, Documenta 1987-2002) e uno dei pochissimi al mondo (Italia compresa) che ha letto tutto Gramsci. Anzi gli ha dedicato una trilogia che direttamente e indirettamente coinvolge anche Pasolini, visto che un’opera delle tre si chiama appunto Le ceneri di Gramsci. Cosa singolare soprattutto perché Alfredo Jarr non ha niente a che vedere col realismo socialista, e tutto sommato poco anche con il politically correct più modaiolo. Ha invece molto a che vedere con l’idea che l’arte sia uno strumento di riflessione e che l’artista abbia il dovere di fare i conti con la propria coscienza e la propria responsabilità civile. [...] Ma perché un artista cileno che vive a New York si sente tanto coinvolto dalla storia della sinistra italiana? Probabilmente perché pensa che questo appartenga alle nostre radici, che sia parte integrante della nostra memoria. ”Ogni mio progetto parte da uno studio [...] da un dialogo con la comunità in cui vado a operare. un aspetto fondamentale del mio lavoro. Lavoro sullo spazio che per me è spazio geografico, politico, sociale, fisico. Leggo la letteratura, la storia, la poesia dell’area in cui mi trovo a intervenire. Prendo informazioni dai loro giornali e parlo con moltissime persone. Questo è quanto mi hanno insegnato i miei studi di architettura è quello che gli architetti chiamano programma e che io ho trasportato nel lavoro artistico”. In Jarr è sempre così: fatti e non opinioni. Come nel suo Project Rwanda del 1994, un lavoro complesso, durato anni, fatto di tante tappe e tante diverse forme. In una (tra le più spietate) la cronaca del genocidio è riassunta settimana dopo settimana in gelide didascalie bianche su fondo nero accanto a coeve copertine di ”Newsweek” che parlano sempre d’altro: da Kurt Cobain alle vitamine, dai computer all’America’s Cup. Solo in agosto, con il titolo ”Hell on the Hearth”, uno dei più famosi settimanali del mondo si ricorda di denunciare la tragedia. La loro storia, la nostra storia. Il loro massacro, il nostro cinismo. Un gioco di specchi, ancora una volta, come quando organizzò un concerto sul confine fra Messico e Stati Uniti (’The Cloud”, 2000) che culminò nel lancio di migliaia di palloncini bianchi. Uno per ogni essere umano rimasto vittima del bisogno-desiderio di passare la frontiera. Del resto gran parte del lavoro di Jarr dal 1979 a oggi è fatto di interventi pubblici: musei, fabbriche, piccoli comuni, fondazioni. Tutti raccolti in un libro This Fire This Time [...]» (Alessandra Mammì. ”L’Espresso” 9/6/2005).