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 2005  giugno 05 Domenica calendario

Maoloni Piergiorgio

• Orvieto 9 giugno 1938, Roma 3 giugno 2005. Grafico • «[...] uno dei grandi padri della moderna grafica editoriale. [...] ricco patrimonio di invenzioni grafiche, di quelle destinate a entrare a far parte della storia del giornalismo. Uomo estroverso, curioso ed esigente, aveva intuito l’importanza strategica della grafica di un quotidiano, fatta non solo di testi ma anche di immagini che avessero pari dignità. Di titoli e di spazi bianchi da calibrare con gusto e intelligenza, per catturare il lettore e invitarlo a leggere. Laureato in architettura e originario di Orvieto, città che ha sempre avuto nel cuore, Maoloni ha “debuttato” nel mondo della carta stampata con il “Messaggero”, dove ha rivoluzionato la prima pagina trasformandola in una “vetrina”, con foto e richiami ai servizi interni, sia quelli di politica che di costume e attualità. Uomo di sinistra, con una matrice cattolica, dotato di forte talento creativo, ha disegnato il “Manifesto” e a lui si devono tutti i rifacimenti successivi del quotidiano fondato da Pintor, Rossanda e Parlato. Maoloni aveva una vera passione per la grafica, studiava in continuazione, si aggiornava. E anche quando viaggiava le sue mete erano i giornali stranieri. In America ha fatto più volte visita al “Washington Post” e al “New York Times”. Esperienze queste che gli sono servite anche per riflettere sull’importanza delle pagine domenicali, quelle con servizi di ampio respiro e illustrazioni degne di un racconto. E se oggi i giornali italiani, hanno adottato questa formula e l’hanno fatta propria, lo si deve a lui, il maestro che ha firmato molti progetti grafici. Nel lungo elenco figurano, tra gli altri, importanti quotidiani, come “Paese Sera”, “Il Giorno”, “La Stampa”, “L’Avvenire”, “L’Unità”, “L’unione sarda”, “Il giornale di Sicilia”, “Il giornale di Brescia”. Maoloni ha firmato anche “Cuore”, il settimanale di satira politica che ha avuto un grande successo negli anni ’90. Ma il suo segno, il suo gusto grafico è arrivato anche in Polonia e in America Latina (dove ha realizzato una serie di quotidiani). I progetti firmati da lui sono tanti e alcuni sconfinano nell’architettura. Maoloni, ha collaborato con Portoghesi alla Biennale di Venezia e i suoi contributi sono sempre stati originali. “Un grafico deve essere come un architetto - amava ripetere ai suoi numerosi collaboratori - nulla deve essere lasciato al caso, tutto deve avere un ritmo, una logica, un senso”» (Laura Asnaghi,“la Repubblica” 4/6/2005) • «Ha cambiato la geografia dello sguardo sulla stampa italiana. [...] Qual è il significato di informazione se non quello di dare forma a una materia, a un pensiero, a una percezione? Maoloni aveva fatto di tutto questo la sua ragione di vita: dare forma alle notizie. Non era soltanto un “disegnatore di giornali” (il più bravo ed eclettico tra i graphic designer di quotidiani italiani), è stato soprattutto un giornalista appassionato, un intellettuale, a suo modo un ideologo che ha avuto la coscienza e la forza di imporre con eleganza il linguaggio della grafica all’interno di un sistema talvolta chiuso e conservatore come quello del giornalismo italiano. E lo ha fatto con dolcezza e passione, lavorando con lo spirito poetico, ma fortemente ancorato a una tensione razionale, che chiunque abbia avuto la fortuna di vederlo all’opera ha potuto apprezzare. Nel suo studio nel cuore di Roma, a pochi passi da Campo dei Fiori, Maoloni, attorniato da libri, schizzi di progetti, una collezione di tipometri e le sue inseparabili camicie coreane, restituiva agli ospiti l’atmosfera della bottega rinascimentale, dove una vera e propria cerchia di allievi si esercitava nel lavoro di invenzione di pagine, testate, titoli e sommari. Da quelle stanze sono usciti progetti molto spesso innovativi, che hanno modificato il linguaggio di parecchi quotidiani e in qualche modo condizionato il modo di leggere, di percepire le notizie: suo il progetto della “Stampa” di Gaetano Scardocchia, sua l’Unità di Walter Veltroni, suoi tutti i progetti del manifesto dopo quello iniziale di Trevisani. Certo, sono molti i suoi restyling di quotidiani, settimanali, siti web, tanto da farlo apprezzare come un fondamentale punto di riferimento nell’“architettura dell’informazione”. Ma la forza di Maoloni è stata anche quella di aver saputo insegnare, di aver creato una vera scuola di grafici e di giornalisti. Dentro e fuori la sua “bottega”. Oggi, in molti quotidiani italiani sono in tanti ad avere un debito professionale e umano con Maoloni. Molti di quegli “allievi” sono oggi nelle redazioni con ruoli di responsabilità e ogni giorno partecipano a quella che Alberto Cavallari, nelle sue lezioni alla Sorbona, amava chiamare “la fabbrica del presente”. E anche editori e direttori gli devono molto: Maoloni ha creato un nuovo dialogo tra il mondo della parola e quello dell’immagine, restituendo a buona parte della stampa italiana una identità visiva apprezzata quasi più all’estero, nei congressi internazionali di design, che nelle nostre redazioni. Un dialogo, e talvolta una sfida, che viene da lontano, da quando, redattore del Messaggero, grazie alla complicità e all’insegnamento di un uomo come Pasquale Prunas, inventò pagine memorabili, come quella del referendum sul divorzio, disegnando una “prima” come un manifesto, con un enorme NO a piena pagina. Oppure quella dedicata allo sbarco sulla luna. C’era una sola immagine: l’impronta del primo a scendere, Neil Armstrong. Soluzioni grafiche e giornalistiche che anticipavano linguaggi che solo oggi appaiono consolidati. Scelte che provenivano, d’altronde, da una straordinaria sensibilità, da una profonda conoscenza della storia dell’arte, da cui certe sue scelte traevano spunto, e dalla consapevolezza che il giornalismo è trasmissione di saperi, ma anche emozione. Il suo impegno è stato quello di riportare il linguaggio giornalistico a una moderna forma estetica, che avesse una dichiarata valenza culturale, consapevole che il sistema della comunicazione è anche un sistema complesso, ricco di conflitti, un sistema labirintico in cui il lettore, talvolta, si può perdere: Maoloni aveva presente che fare un buon giornale era un impegno etico. Di fronte al foglio bianco, con la matita in mano, s’imponeva un’unica assunzione di responsabilità: progettare, pensando sempre al lettore. Come tutti i grandi non si prendeva troppo sul serio, ti guardava e sorridendo ti diceva: “Sono solo un tirarighe”» (Gianluigi Colin, “Corriere della Sera” 5/6/2005) • «[...] Protagonista del mondo del giornalismo non scritto, personaggio schivo, raffinato intellettuale aveva lavorato per anni al “Messaggero”, al fianco di Pasquale Prunas con cui aveva reinventato il modo di pensare e disegnare i giornali. La sua matita ha portato nei quotidiani italiani una rivoluzione che ha coinvolto anche gli uomini che li facevano, collocando al centro dell’informazione, tutte le volte che era necessario e possibile e non per trasgressione o vizio estetici, l’immagine e il tratto che fino ad allora erano stati ai margini della stampa dominata dalle colonne di piombo. Come dimenticare la prima pagina del “Messaggero” che annunciava la discesa del primo uomo sulla Luna? Una foto a nove colonne dell’impronta diù Armstrong e un titolo slogan. Una vera rivoluzione per i giornali di allora. Oppure l’enorme NO che il 12 maggio del ’74 riempì l’intera prima pagina del quotidiano romano. Famoso l’episodio che lo vede, sempre con Prunas, entrare nottetempo nella tipografia del “Messaggero” per buttare casse di vecchi caratteri tipografici che avrebbero impigrito e rallentato l’innovazione tecnologica che si andava delineando. Dopo alcuni anni passati nella redazione di via del Tritone, Maoloni decise di sganciarsi dal ritmo del quotidiano per aprire una “bottega” - come amava definire il suo studio - in via dei Pianellari, a due passi da piazza Navona. Nella sua stanza il televisore era sempre acceso e le sigle dei telegiornali si susseguivano continuamente. E se non era ora di telegiornali, c’era sempre Televideo. Insomma le notizie innanzi tutto. E la ricerca, ad ogni costo, della verità. Intesa come missione e come stile di vita. Quel posto, reso quasi magico dalla presenza di Piergiorgio, diventò un punto di riferimento per tantissimi giovani che con lui cominciarono la professione di grafici, ma anche il ritrovo preferito di molti intellettuali che animavano il dibattito interno alla sinistra tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta. Ed è lì che vennero pensati o ripensati e riprogettati tanti quotidiani, settimanali e mensili. Nella sua “bottega” Maoloni studiava nuove griglie e nuovi percorsi da fornire alle redazioni affinchè il lavoro fosse più fluido e più organico alle diverse esigenze dei lettori. Teorizzava (e insegnava) che i giornali non sono solo una sequenza di parole scritte. I giornali sonoun veicolo di trasmissione di notizie e di idee: la grafica è parte integrante di questo processo di comunicazione. E del giornalismo moderno. Non c’è editore in Italia che non lo abbia chiamato e apprezzato: per il suo grande carisma, per la sua simpatia, per le sue infaticabili capacità creative, per quel suo sorriso scanzonato con il quale conquistava tutti. E per quel suo modo così particolare di tenere sempre una sigaretta accesa tra le dita. Seppe dare un nuovo impulso al mondo dei quotidiani italiani: dal “Manifesto” all’“Avvenire”, dall’“Unità” alla “Stampa”, dal “Giornale di Sicilia” all’“Unione sarda” a “Tuttosport”, solo per citarne una piccola parte. All’inizio degli anni 80 andò negli Stati Uniti a ridisegnare una storica testata: Il progresso italoamericano. E poi, nei Novanta a Varsavia, in Turchia e in Francia. Dell’89 è il nuovo progetto della “Stampa”, che con la direzione di Gaetano Scardocchia e l’invito dell’avvocato Agnelli lo vede impegnato a Torino per quasi due anni a ridisegnare il giornale. La “Stampa” passa da nove a sette colonne. Scardocchia e Maoloni hanno il grande coraggio di portare in edicola un giornale a fascicoli, sul modello anglosassone: news, economia, cultura, spettacoli, sport, cronaca cittadina. Troppo presto per l’Italia, troppo rivoluzionaria per allora, eppure è la scelta sulla quale oggi si orientano in tanti. Piergiorgio Maoloni non è stato soltanto un “grafico”. È stato il grafico che ha portato la categoria allo stesso livello dei giornalisti scrittori, fino a prenderli per mano nel guidarli dentro la gabbia dei giornali moderni, intuendo tra i primi che il prossimo passo sarebbe stato il full color. Maoloni è stato per molti un esempio, un maestro con cui confrontarsi, un giornalista che riusciva sempre a sorprendere. Versatile come pochi, imparò ad usare il Macintosh, senza abbandonare però la matita che lo accompagnava sempre. Attento a tutte le novità tecnologiche, era sempre all’avanguardia nell’usare e scoprire nuovi strumenti. [...]» (Cynthia Sgarallino, “La Stampa” 5/6/2005) • «Dicevano: la mente e il braccio. La mente era Pasquale Prunas, responsabile del servizio grafico [...]. Il braccio era Piergiorgio Maoloni, il suo vice [...]. Era un giudizio (forse) ingeneroso. Lavoravano [...] in armonia, rispettandosi reciprocamente. Insieme, l’11 maggio 1974, produssero l’idea geniale, che ebbe una parte non trascurabile nel risultato del referendum sul divorzio [...] Maoloni era nato a Orvieto, si era trasferito giovanissimo a Roma, aveva fatto le prime esperienze in riviste alternative giovanili come “Ragazza pop” prima di arrivare con Prunas in via del Tritone, chiamati dal direttore ed editore Alessandro Perrone. I primi tempi non furono facili: le gabbie dentro le quali costringevano i testi incontrarono molta contrarietà in redazione. Ma, dopo un naturale disorientamento anche dei lettori, la prima pagina-vetrina e gli elementi di razionalità che introdussero ebbero il successo che meritavano. E furono anni di creatività. Nel 1980, dopo dure battaglie (una per tutte: quella per contrastare la vendita della testata all’editore Edilio Rusconi), convinto che una stagione si fosse conclusa, Piergiorgio, cresciuto nell’azione cattolica, in seguito vicino per qualche tempo all’estrema sinistra (preparò, con la sua “vocazione al volontariato ideologico”, “Potere Operaio” del lunedì e, per Autonomia operaia, il mensile “I Volsci”), lascia “Il Messaggero”. E diventa “il leader del design della notizia”. Lui, autodidatta, schivo e “assolutamente laico nei confronti della committenza”, ha scritto nel 1989 Maria Vittoria Carloni (“Panorama”), diceva di sé: “Sono un visagista”. Perché partiva con la sua valigetta, piena degli attrezzi del mestiere, matite, pennarelli, righe, righelli e andava a rifare il vestito ai giornali. Quanti ne ha rifatti, fumando dissennatamente non so quanti pacchetti di sigarette al giorno, mangiando quel poco e lavorando sodo nelle redazioni: “Il progresso italo americano”, negli Stati Uniti, “l’Unità” (“quello che ho fatto con maggior piacere”) [...] e via andare. E a chi gli rimproverava di farli un po’ tutti uguali rispondeva che erano tutti uguali negli Anni Cinquanta e Sessanta. “Oggi, con la tecnica, è tutto diverso. La tecnica è giacobina”, aveva raccontato nel 1992 a Stefania Rossini (“L’Espresso”). E detta le condizioni. “A ben vedere, se i quotidiani possono sembrare uguali è perché tutti vogliono somigliare a ‘la Repubblica’”. E questa non era colpa sua: “Io do schemi, strumenti e organizzazione del lavoro. Poi il giornale lo fanno i direttori”. Maoloni, che lavorava senza risparmiarsi anche in quella che chiamava la “bottega artigiana”, lo studio a due passi da piazza Farnese, aveva preso, ricordava, qualche legnata, per esempio nel 1982 quando rifece “Paese Sera”: “Una stangata indimenticabile”, perché non lo pagarono e impiegò un anno per rimettersi in sesto dopo aver correttamente pagato coloro che avevano lavorato con lui. E coltivava un rimpianto: non aver fatto il quotidiano che amava molto, “la Repubblica”. Nonostante una soddisfazione se la fosse presa: all’inizio, il giornale fondato da Eugenio Scalfari aveva snobbato le previsioni del tempo; “dopo le mise a piè di pagina, come aveva visto fare a ‘La Stampa’”» (Luigi Vaccari,“Il Messaggero” 5/6/2005).