Il Sole 24 Ore 03/06/2005, pag.4 Isabella Bufacchi e Luigi Lazzi Gazzini, 3 giugno 2005
La lira? Una zavorra per debito, tassi e mutui. Il Sole 24 Ore 03/06/2005. Roma. Se l’Italia dovesse abbandonare l’euro forte e tornare alla lira debole, se decidesse di uscire dall’Unione monetaria europea riportando indietro le lancette dell’orologio ai tempi d’alta inflazione ed elevati tassi, i primi a essere colpiti, o meglio, a essere gravemente danneggiati da questo "ritorno al passato" sarebbero tutti gli italiani - famiglie, imprese, amministrazioni pubbliche centrali e locali - indebitati a tasso variabile
La lira? Una zavorra per debito, tassi e mutui. Il Sole 24 Ore 03/06/2005. Roma. Se l’Italia dovesse abbandonare l’euro forte e tornare alla lira debole, se decidesse di uscire dall’Unione monetaria europea riportando indietro le lancette dell’orologio ai tempi d’alta inflazione ed elevati tassi, i primi a essere colpiti, o meglio, a essere gravemente danneggiati da questo "ritorno al passato" sarebbero tutti gli italiani - famiglie, imprese, amministrazioni pubbliche centrali e locali - indebitati a tasso variabile. L’inevitabile impennata dei saggi d’interesse e del costo del denaro, la prima conseguenza negativa di un’ipotetica uscita dell’Italia dall’Uem, farebbe lievitare dall’oggi al domani gli oneri per interessi su 150 miliardi di euro di mutui: oltre l’80% dei prestiti concessi dalle banche alle famiglie per l’acquisto di abitazioni è a tasso variabile e dunque esposto al rischio di rialzo dei tassi. impossibile calcolare l’entità dell’aumento dei saggi in Italia nel caso in, cui l’euro non dovesse esistere più o nell’ipotesi di un abbandono dell’Unione monetaria. Di certo il rischio-Italia sarebbe chiamato a pagare di più, per finanziarsi, più della manciata di centesimi sopra i Bund richiesti allo Stato o sopra l’Euribor sborsati da imprese e banche emittenti di obbligazioni sui mercati internazionali. Nel caso di crollo della ”nuova" lira la Banca d’Italia, dopo essersi reimpossessata della politica monetaria, potrebbe decidere di alzare i tassi per sostenere il cambio. Per le famiglie italiane indebitate - i cui debiti finanziari sono lievitati a quota 380 miliardi nel 2004 - l’addio all’euro sarebbe un vero e proprio disastro finanziario. In cambio di un prezzo delle zucchine forse più ragionevole, molti italiani si troverebbero dall’oggi al domani a dover pagare rate di mutuo più salate. Un aumento tra il 50% e il 100% non è da escludersi. Nel 2004 il costo medio del credito bancario valutato sulle consistenze è stato pari al 4,4 per cento per le imprese e al 5,7 per cento per le famiglie. E questi sono i livelli, a grandi linee, da quando l’Italia è entrata nell’Uem. Sono proprio i tassi storicamente bassi, in virtù dell’euroconvergenza, ad aver innescato una corsa all’indebitamento delle famiglie negli ultimi anni. I prestiti bancari per l’acquisto di abitazioni in Italia sono saliti dai 1995 al 2005 dal 5% al 14% del Pil. L’anno scorso sono stati erogati nuovi prestiti per l’acquisto di abitazioni per 49.2 miliardi, l’87% dei quali con tassi indicizzati al mercato monetario. Se poi ancora oggi i conti dello Stato, pur minacciati da squilibri crescenti, segnano disavanzi di due terzi inferiori a quelli di inizio anni ’90, il merito dev’essere attribuito al calo degli interessi sul debito. Un calo che, a sua volta, è stato conseguenza diretta prima del nostro impegno a fronteggiare la crisi di fine ’92, poi dello sforzo di procedere per la via tracciata dal trattato di Maastricht: unione economica e monetaria, convergenza delle politiche economiche, adozione della moneta unica e, col 2002, sostituzione delle valute nazionali con l’euro. Chi dubita, riprenda il Documento di programmazione (31 luglio ’92) che Giuliano Amato, dopo il varo del suo primo Governo, presentò alle Camere: vi si denunciava una spesa per interessi che, nel ’95, avrebbe raggiunto i 240mila miliardi di lire, il 13.5% di un Pil da 1 milione 800mila miliardi di lire (930 miliardi di euro): gran parte di un deficit che avrebbe superato il 18.3 per cento. L’onere per interessi è stato invece, nel 2004, del 5,1% del prodotto: 67,9 miliardi di euro, ovvero 131mila miliardi di vecchie lire da confrontare, però, con un Pil salito all’equivalente di 2 milioni 600mila miliardi di lire (1.350 miliardi di euro). Le cose, per fortuna, non sono andate come il tendenziale ’95 faceva temere: e mentre entrate e spese hanno oscillato in relazione a vizi e virtù di Governi e Parlamenti, gli interessi – dopo il picco del 12% del ’93 – sono costantemente calati fino ai valori attuali: unico, vero beneficio, della nostra volontà di agganciare la monetà unica e di risparmiarne i parametri. Volontá più proclamata che fermamente perseguita, se è vero che le entrate. al 45,1% del Pil nel ’94, erano dieci anni dopo al 45,2% e le spese primarie, nello stesso periodo, sono salite dal 42,9 al 43,5 per cento. Verrebbe da dire che la moneta unica è riuscita nel miracolo di ridurre il deficit nonostante la politica finanziaria. Isabella Bufacchi Luigi Lazzi Gazzini