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 2005  maggio 26 Giovedì calendario

Merkel. Sette 26 maggio 2005. Quando la paragonano a Margaret Thatcher, lei si schermisce, tende i suoi occhi da cerbiatto e invariabilmente risponde: una donna come me, ha studiato scienze naturali come me, ha preso decisioni coraggiose e questo è cio che più ammiro di lei

Merkel. Sette 26 maggio 2005. Quando la paragonano a Margaret Thatcher, lei si schermisce, tende i suoi occhi da cerbiatto e invariabilmente risponde: una donna come me, ha studiato scienze naturali come me, ha preso decisioni coraggiose e questo è cio che più ammiro di lei. Ma era contro la riunificazione tedesca, della quale invece io sono un prodotto". Quella che, fin qui, era stata una suggestione buona soprattutto per il chiacchiericcio dei media, si fa adesso prospettiva concreta, se, come tutto fa presagire, nel settembre prossimo i tedeschi decideranno di fidarsi di lei, eleggendola cancelliere federale. E saranno proprio loro i primi ad accorgersi se Angela Merkel, la figlia del curato di campagna cresciuta nel socialismo reale, si rivelerà un’altra lady di ferro, decisa a rivoltare come un guanto la Germania, ovvero si muoverà nel solco consensuale dei suoi predecessori. Ma, sconfigga o meno Gerhard Schröder nella battaglia d’autunno, una cosa in comune con Maggie Thatcher la leader cristiano-democratica l’ha sicuramente già adesso: come il premier britannico al tempo del suo regno, la signora Merkel è la donna più potente d’Europa. Un fatto talmente straordinario, da far diventare in fondo marginale l’ipotesi che, una volta insediata al Kanzleramt, si renda protagonista di una rivoluzione e sconvolga le consuetudini politiche della Repubblica Federale. Perché Angela Dorothea Merkel, nata Kasner il 17 luglio 1954 ad Amburgo e ufficialmente nominata lunedi scorso candidata della Cdu-Csu alla cancelleria federale, è lei stessa una rivoluzione. Sul piano sessuale, generazionale, geografico, religioso e, non ultimo, su quello del costume. come se la sua irresistibile ascesa al vertice del partito, che fu di Konrad Adenauer ed Helmut Kohl, abbia innescato un’interminabile serie di contrappassi, che hanno cambiato per sempre il volto e l’anima del partito conservatore tedesco. Nel 2000, sull’onda dello scandalo dei fondi neri che aveva frantumato la reputazione Kohl, una donna di 45 anni, diventata adulta nella dittatura comunista di Honecker, protestante, divorziata e senza figli, era stata catapultata alla guida di una grande forza popolare, che nel codice genetico era il suo esatto opposto, gli oltre 600 mila tesserati alla Cdu essendo in maggioranza uomini, ultracinquantenni, tedeschi dell’Ovest, cattolici e tradizionalisti. Non era stato un impatto dolce. Imposta al vertice da un plebiscito dei militanti, Angela Merkel, questa Giovanna d’Arco venuta dall’Est, ha dovuto superare diffidenze, vincere ostilità preconcette, accettare nel 2002 l’umiliazione di vedersi messa sotto tutela dal premier cristiano-sociale bavarese, Edmund Stoiber, che i suoi stessi colonnelli le preferirono come candidato alla cancelleria. Ma il tempo era dalla sua parte. E lei l’ha usato nel migliore dei modi, guidando l’opposizione al governo rosso-verde e sapendo approfittare dei molti errori commessi dal cancelliere Schröder, per rafforzarsi nel partito e nella società. "Passo dopo passo, senza prendere troppi rischi e senza commettere passi falsi, tenendo sempre tutto sotto controllo, ecco come Angela Merkel è diventata un politico di razza", ha riassunto tempo fa il settimanale Focus. E se il carisma non è, o non è ancora, fra i suoi talenti, la Merkel ha al suo attivo una volontà di ferro, una determinazione capace anche di calcolo e freddezza, in apparenza del tutto estranei alla sua immagine dolce e bonaria. "Da una che guarda a quel modo, neppure il più consumato conoscitore di persone poteva aspettarsi che sarebbe stata pronta a piantare il più vicino coltello da cucina nelle carni del suo benefattore", disse di lei lo scrittore Stefan Heym, coscienza critica della Germania Est. La biografia della leader cristianodemocratica è lì a confermarlo. Da quando è entrata in politica, nel 1989, Angela Merkel ha visto i suoi quattro mentori cadere uno dopo l’altro nella polvere, senza mai essere minimamente scalfita dalla loro disgrazia. Anzi, uscendone ogni volta con una promozione di carriera. Cominciò con Wolfgang Schnur, fondatore del Partito della rivolta democratica, una delle prime forze d’opposizione al regime di Honecker. Merkel ne era portavoce, ma quando lui venne travolto dalla scoperta dei suoi legami con la Stasi, la polizia segreta comunista, la giovane laureata in fisica passò nelle file di Rinascita Democratica, la Cdu dell’Est, guidata dal musicologo Lothar De Maiziére, un amico di suo padre. De Maiziére vinse le prime e ultime elezioni democratiche della Ddr, Angela diventò la voce del suo governo. Fu durante i negoziati per la riunificazione, nel 1990, che avvenne l’incontro della sua vita: Helmut Kohl, all’apice del potere, notò subito "das Maedchen", la fanciulla, come da allora l’avrebbe sempre chiamata. De Maiziére durò poco, anche lui rovinato dai trascorsi con la Stasi. Merkel invece continuò a crescere: Kohl la volle deputata e subito ministro della Famiglia, nel primo esecutivo della nuova Germania. Nel 1994 salì di rango e andò all’Ambiente, sempre protetta e difesa dall’ombra del Grande Cancelliere. Otto anni al governo, pagando scotti iniziali come quello di scoppiare a piangere nelle situazioni di tensione, ma facendosi le ossa e diventando una professionista della politica, sempre attenta a non affiliarsi troppo strettamente ad alcuno, a misurare ogni presa di posizione: "Dopo un’intervista con la Merkel puoi gettare via il taccuino", disse di lei un noto giornalista della capitale, che l’aveva seguita per anni. Poi venne il parricidio. Nel dicembre del 1999, di fronte allo scandalo che travolgeva Kohl, MerkeI prese le distanze e invitò il partito a "emanciparsi" dal patriarca, in un ormai celebre articolo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung. La crisi avrebbe poi bruciato anche il successore di Kohl, l’eterno delfino Wolfgang Schaeuble, al quale per un anno "Angie" aveva fatto da segretario generale. Lealmente, ma fino al rogo escluso, come diceva Rabelais. E quando Schaeuble, nel 2000, era stato costretto a dimettersi, una Cdu disperata e in cerca d’autore aveva plebiscitato Angela Merkel al suo vertice, con un incredibile 96 per cento dei voti. Da allora, i cristiano-democratici l’hanno riconfermata per due volte. Ma sempre con le riserve mentali del gruppo dirigente, ostinato nel considerarla una specie d’intrusa, priva delle genuine radici cristiano-democratiche occidentali, una che citava Konrad Adenauer e Ludwig Erhard senza avere alcuna memoria a cui legarli. E sempre con l’aura di un’aliena. Lei, che ha convissuto per 17 anni con il suo ex collega Joachim Sauer, sposandolo solo pochi anni fa per mettere fine ai mugugni su quell’unione peccaminosa. Lei, la donna che parla russo meglio dell’inglese, venuta a guidare il partito che, nel Dopoguerra, ha incarnato l’ancoraggio della Repubblica Federale Tedesca all’atlantismo filo-americano: da studentessa, nella Germania socialista, Angela MerkeI vinse una volta perfino le Olimpiadi della lingua russa. La vera svolta nel complicato rapporto fra lei e la Cdu è soltanto del novembre scorso, quando al congresso di Dússeldorf, davanti a una platea dapprima sorpresa poi del tutto coinvolta, Angela Merkel ha parlato della propria infanzia nella Ddr, dove il padre, ministro della Chiesa protestante, aveva trasferito la famiglia subito dopo la sua nascita. Ha ricordato odori e sapori, sogni ed emozioni, le strazianti separazioni dalla nonna, che viveva ancora ad Amburgo e una volta l’anno poteva visitare Angela e i genitori, solo per poi salutarli in lacrime al posto di confine della stazione berlinese di Friedrichstrasse. Una biografia riconquistata, che ha commosso e sedotto il partito e i suoi dirigenti. Alla battaglia per la cancelleria, la Merkel arriva con un anno e mezzo di anticipo. La fuga in avanti di Gerhard Schröder è stata per lei una sorpresa e un regalo. Dovrà uscire in fretta dalle molte ambiguità, che ancora rendono nebuloso e poco leggibile il suo eventuale programma di governo. Dovrà dire finalmente parole chiare su tasse, sanità, mercato del lavoro, immigrazione, scuola e politica estera, dopo essersi limitata nell’ultimo anno a giocare di sponda con le proposte della maggioranza rosso-verde. Ma può già ringraziare il cancelliere di averle risparmiato diciotto mesi di pericolosa navigazione, fra le mai sopite ambizioni dei suoi rivali interni. Parte favorita, Angela Merkel. Ma contro Schröder, che in campagna elettorale diventa trascinatore incontenibile, dovrà giocarsi la partita della vita. Il rischio di un regalo avvelenato l’accompagnerà fino alla sera del 18 settembre. Paolo Valentino