Varie, 2 giugno 2005
BENINATI
BENINATI Manfredi Palermo 11 gennaio 1970. Artista • «’Noi siamo fatti della stessa materia di cui sono fatti i sogni”, afferma il duca-mago Prospero, nella Tempesta di Shakespeare. Questo sembra dirci anche la pittura e la scultura di Manfredi Beninati [...] ha frequentato il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, e ha lavorato come assistente di registi come Damiani e Tornatore. Dopo aver trascorso molti anni a Londra, attualmente vive e lavora a Campagnano Romano. Il grande filosofo Plotino scriveva che ”nell’immagine termina la percezione, e quando questa non c’è più, rimane l’immagine visiva”. Così, nelle immagini dell’artista palermitano, la percezione del reale si distilla nella poesia del ricordo e del sogno, grazie a una raffinatissima tecnica espressiva che carica ogni particolare di mistero fiabesco. Il tema dell’infanzia-adolescenza, con i suoi incanti e le sue angosce, le sue malinconie, i suoi abbandoni, i suoi stupori, le sue lacerazioni, si unisce a quello del viaggio, del cammino, del passaggio, in cui si identifica la vita umana. Per questo, Beninati può forse definirsi un grande neo-simbolista, che ha patito e superato la crisi del simbolo nella cultura del ”900. La sua pittura è sontuosa, di grande felicità cromatica, e si avvale soprattutto della tecnica tradizionale dell’olio su tela, oltre che del collage. Nulla a che fare con la pittura che ricalca con freddezza immagini mediatiche e digitali, e che va oggi per la maggiore. Dal gotico ”fiammeggiante” al barocco, dall’impressionismo al simbolismo, con le sue suggestioni floreali e orientaleggianti, Beninati rilegge la storia della pittura occidentale e la metabolizza, dando vita a uno stile del tutto originale. Così è anche per la scultura, plasmata in resine dal modellato vibrante, la cui delicata policromia sfuma in una luce calda e liquida, che ricorda soprattutto le cere di Medardo Rosso. Ma forse anche quelle di un grande conterraneo seicentesco di Beninati: lo scultore Gaetano Zumbo, misterioso e dimenticato indagatore della forma e della sua dissoluzione, delle cui opere un suo grande ammiratore, il marchese De Sade, scriveva che ”si percepiscono con tutti i sensi”. Nella pittura e nella scultura di Beninati le forme, oltre che viste, vogliono essere ascoltate, annusate, toccate. E poi si sfocano, si sfilacciano, si sfumano, si sciolgono. E qui, allora, entra in gioco anche l’esperienza del cinema, con la sua arte della dissolvenza delle immagini, che può narrarci la dimensione del tempo e del divenire meglio di qualsiasi opera letteraria. Ad eccezione, naturalmente, di quella di Proust. E infatti si avverte anche l’aura della Recherche nell’arte colta e raffinata, ma fortemente sensuale, di Beninati. [...]» (Silvia Pegoraro, ”Il Messaggero” 2/6/2005).