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 2005  giugno 02 Giovedì calendario

Karnazes Dean

• San Francisco (Stati Uniti) 23 agosto 1962. Ultra-maratoneta • «Correre, correre, correre. Di notte preferibilmente, perché di notte certi metabolismi funzionano meglio e l’allenamento spesso paga di più (’ammesso che uno resti vivo...”). Correre senza mai porsi dei limiti, compreso quello di intaccare totalmente le riserve di glicogeno, il carburante dei muscoli, accettando di sentirsi svenire o di avere allucinazioni: ”Come quella volta che alla fine di una seduta di allenamento ho visto zompettare davanti a me, come fossero dei rospi che attraversavano la strada, quattro piatti di pastasciutta”. Ora del contatto col carboidrato immaginario: mezzanotte passata. Luogo: Napa Valley, vicino alle tenute di Robert Mondavi. [...] suo memoriale di corridore pazzo: Ultra marathon man - Confessions of an all-night runner. un giocoliere dell’estremo da prendere con le molle perché può avere anche due facce. In America spopola fra le frequentatrici della fitness. bello. Fa tanto salute e dollari ed è elegante persino quando indossa solo una maglietta sudata. Se accetta di posare per un set fotografico diventa automaticamente ”pubblicità per prodotti dietetici”. [...] per via di questo suo look da americano sodo e perbene, è diventato uno degli ”amazing bodies” del mensile ”GQ”. Classico volto asciutto del giovanotto yankee in salute, una via di mezzo fra Lance Armstrong e Keith Carradine da giovane. Avesse disegnate in faccia le stelle e le strisce della sua bandiera, non sarebbe più americano di quando lo ritraggono in canottiera appoggiato alla sua casa di legno, con la figlia aggrappata al collo come un koala. Gli hanno anche chiesto di posare nudo. Lo ha fatto ma a metà, per paura di venire scambiato per un attore da video di ”Playboy”. Karnazes però non è solo merchandising e i suoi racconti sono sport vero. La sua seconda faccia è sofferenza ”minute by minute”. Tabelle. Rigore. E, soprattutto, capacità di riprodurre un gesto milioni di volte senza percepire mai la sensazione del vuoto. Che è il vuoto inevitabile in cui rimbombano i passi di chi corre, corre, corre, mentre il paesaggio intorno scompare. In due parole: zen e cronometro. Allenamento, gara, allenamento, gara. Circa trecento chilometri a settimana di media per prepararsi. Poi il via. Partenze sempre esaltanti, arrivi a volte deprimenti, con stadi vuoti, scenari surreali, barelle, senso di morte imminente. Ma poi, una volta ripresi, tanta vita ed energia da starci quasi male. Colpa delle endorfine che ti porgono su un piatto d’argento la ”centratura dell’essere”. [...] ”Per me maratona è sinonimo di riscaldamento”. Non conta girare a 3 minuti al chilometro. Conta farli i chilometri. Quanti più possibile. Dove nessuno immaginerebbe di correre. Il gioco non è battere un record, ma sopravvivere per raccontare cosa succede in una persona ”normale” dopo aver corso ininterrottamente per 262 miglia (circa 400 chilometri, l’equivalente di dieci maratone), nel deserto, nell’acqua, nel ghiaccio, e perché - misteriosamente - il cervello non gli sia finito in pappa. [...] L’ultra-maratona nasce per caso nel 1974 quando il cavallo di uno dei partecipanti a una gara di 100 miglia sulla Sierra Nevada muore. Il cavaliere, Gordon Ainsleigh, continua la gara correndo. O almeno così dice la leggenda. Per proseguire il mito dell’uomo che si sostituisce al cavallo, Karnazes si porta dietro soltanto il 4,8% di massa grassa e ha il fisico di un quattrocentista. Odia i tracciati tradizionali, non sopporta gli appuntamenti per vip (New York, Londra), detesta persino la maratona di Boston, che pure gli altri suoi colleghi ”endurance” venerano perché è ”ancora il simbolo di una certa purezza del fondo”. Karnazes odia tutte le maratone: troppo corte per la sua natura di coyote che lo costringe a viaggiare a piedi, in eterna solitudine, negli anfratti della sua America senza mai andare sul serio da nessuna parte. Le sue corse sono infinite: la Badwater, la Western States, la corsa della Mongolia, l’ultramaratona del Polo Sud. ”E il mio obiettivo è sempre uno: tornare a casa”. Il mito della frontiera rovesciato. Il sesto anello olimpico: durare meglio che bruciare o bruciare con una tale lentezza da dimenticare il giorno in cui si è iniziato a farlo. [...] convinto che i problemi muscolari e articolari siano ingigantiti dalla consapevolezza che esiste un mondo, quello della fisioterapia, in grado di risolverli: basta pagare. In realtà i danni dell’organismo sono spesso meno gravi di quanto si suppone e per spiegarlo Dean ricorre a un aforisma del suo collaboratore e compagno di avventure Jim Vernon, il suo Buddha portatile: ”Guarire è un concetto altamente sopravvalutato: si è sempre guariti”. In pratica: o sei sempre in forma, malgrado tutto, o si è sempre talmente ”malati” da trovare che in fondo correre a 40 gradi sottozero sia una passeggiata corroborante, attraverso cui si sperimenta un altro modo di ”vincere”, e che l’ultramaratona di Badwater, epico evento che si svolge ogni anno nella Death Valley, con le sue 135 miglia, i 55 gradi di temperatura, lo scafandro protettivo obbligatorio, le 27 ore che occorrono, se va bene, per coprirla, non sia poi tutto questo sfinimento. Bensì alimento» (Enrico Sisti, ”la REpubblica” 2/6/2005).