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 2005  maggio 30 Lunedì calendario

BERARDINELLI

BERARDINELLI Luisa Bagheria (Palermo) 22 marzo 1943. Chirurgo • «[...] primario al Padiglione Zonda, Policlinico di Milano, ovvero il più prestigioso Centro Trapianti di rene d’Italia. [...] viene dalla scuola di Edmondo Malan, straordinario uomo d’avanguardistiche ricerche [...] allo Zonda ci arrivò nel 1965, ancor prima della laurea. E con Antonio Vegeto [...] del quale fu vice e al quale è subentrata come primario, cominciò a sperimentare tecniche di trapianto quando in Italia di questi ancora non se ne eseguivano e i pazienti erano costretti a rimaner collegati al rene artificiale per dodici ore di fila [...] I due girarono mezz’Europa, per esaminare e quindi scegliere, anche tra le metodologie di coloro che già s’azzardavano a provarle sull’uomo. E, il 22 maggio del ”69, il primo successo [...] ”[...] Un lavoro totalizzante. Ma da privilegiata. Ero l’unica donna, nel ”65. L’unica nel Paese, forse, a fare interventi simili. E tuttavia sempre trattata senza discriminazioni, senza allusioni, senza spazi di favore, che peraltro mai mi sono messa in condizione di ricevere. [...] quando ancora frequentavo l’università e mi capitava d’entrare in pediatria, mi dicevo: ”No, un bambino non lo curerò mai’. Per paura d’un eccesso d’emozione, forse, e l’emozione deve star fuori dal tuo lavoro, ciò che nel tuo lavoro conta è la razionalità, il distacco, finché è possibile. E invece mentre m’occupavo anche di dialisi... Ai bambini, qui a Milano, non la si faceva ancora e così il professor Vegeto e io ci mettemmo a disposizione di quel reparto per la confezione chirurgica degli accessi vascolari. E... Veder agganciare un bambino a una macchina è veramente uno strazio, con quei due grossi aghi infilati nel braccio. d è uno strazio vederlo immobile per cinque ore. Il trapianto è diverso, lo fai e ti rendi ben conto che lo stai togliendo dal limbo, da un’esistenza amputata, col rischio dell’isolamento sociale, col dramma della scadenza trisettimanale per lui orribile più che per i grandi” [...]» (Lina Coletti, ”Sette” n. 13/2001).