La Stampa 27/05/2005, pag.13 Brunella Giovara, 27 maggio 2005
La madre assassina. "Odiavo Mirko io non lo volevo". La Stampa 27 maggio 2005. CASATENOVO (Lecco). C’è stata una spinta d’odio, c’è stato un "momento di esplosione" che "è partito tanto tempo fa", spiega un investigatore
La madre assassina. "Odiavo Mirko io non lo volevo". La Stampa 27 maggio 2005. CASATENOVO (Lecco). C’è stata una spinta d’odio, c’è stato un "momento di esplosione" che "è partito tanto tempo fa", spiega un investigatore. Mirko Magni, cinque mesi di vita appena, è morto affogato dalla sua mamma perché lei non sopportava più di dover fare la mamma, e di non poter fare altro. La vita che faceva prima, probabilmente. Prima del matrimonio, prima della nascita del primogenito. Le comparsate in televisione, le foto da aspirante velina, una carriera solo sognata, e chissà se davvero, concretamente realizzabile. Nella testa di Mery Patrizio, 29 anni e un’accusa di omicidio aggravato e di simulazione di reato sulla testa, c’era tutto questo turbine di sentimenti in contrasto: odio e amore, "lo odio, questo bambino", aveva confidato ad una persona del suo cerchio famigliare (che lo ha riferito agli inquirenti), "Mirko è tutta la mia vita" (frase che ripeteva a tutti, sempre, in ogni occasione). C’era un risentimento che una volta le ha fatto dire "io questo bambino non lo volevo, poi è arrivato...". "Prima di Mirko ero una bella ragazza, poi mi sono ritrovata sfigurata dalla gravidanza". C’era una depressione vera, una sindrome "post partum" diagnosticata e curata prima al consultorio del suo paese, poi da uno specialista di Milano. Con che esiti, lo si è visto. Questa è Mery Patrizio, ieri unica protagonista di una conferenza stampa al comando provinciale dei carabinieri di Lecco, dove il procuratore Anna Maria Delitala spiegava che molti elementi hanno portato all’incriminazione della donna, e così elencava: "Il contrasto tra le dichiarazioni rese dall’indagata nell’immediatezza - che già di per sé ponevano dei dubbi sul reale svolgimento dei fatti - con quanto trovato sulla scena del crimine". E poi: "Le contraddizioni tra le dichiarazioni rese dalla mamma e quelle fornite dai suoi parenti". E "l’autopsia sul bambino, e gli esperimenti sulla vaschetta in cui era immerso il corpo". E "gli esami sulle lesioni presenti sul corpo della mamma al fine di verificare la loro compatibilità con l’asserita aggressione". E "accertamenti di natura biologica e genetica sui reperti". E le dichiarazioni rese dall’indagata in sede di interrogatorio, del tutto contrastanti con quelle rese precedentemente, e costitenti una parziale ma sostanziale confessione". Tradotto in parole povere, Mery è stata "tradita" - nella tragica messinscena che lei stessa ha completamente confessato - da alcuni particolari che nella sua "lucida follia" (espressione anche questa di uno degli inquirenti impegnati sul campo) non ha preso in considerazione. Primo: il rotolo di scotch usato per autolegarsi mani e piedi. Un rotolo che era in casa (prima dell’omicidio era custodito in un armadietto, dopo è stato trovato vicino al bidet), sul quale sono state rilevate le sue impronte. I carabinieri del Ris di Parma hanno anche esaminato i legacci che imprigionavano la donna, e hanno rilevato le tracce della sua saliva (attraverso l’esame del Dna), e di nessun altro. Il nastro risulta strappato con i denti, i denti di Mery, appunto. Secondo elemento: l’autopsia eseguita sul cadavere di Mirko ha permesso di rilevare un ematoma all’altezza dello sterno, compatibile con una forte pressione esercitata sulla schiena del bambino. E combaciante con un bordo della vaschetta di plastica in cui Mirko veniva lavato. Nel laboratorio del Ris di Parma, sotto la supervisione diretta del colonnello Luciano Garofano, è stato condotto un esperimento (con un pupazzo dello stesso peso e misure di Mirko) per accertare che il bambino non poteva scivolare accidentalmente in avanti, e annegare. Ci voleva un intervento esterno, era necessaria una volontà omicida, per costringere Mirko a morire. E poi: le orme rilevate in casa. Quelle di Mery, del marito Kristian, del suocero Gianluigi, dei carabinieri accorsi a Valaperta di Casatenovo, dei soccorritori del "118". Nessun’altra impronta, non c’era un intervento estraneo, un rapinatore che ha aggredito la donna e ha provocato la morte del figlio. Infine: la chiave della porta del bagno, ritrovata all’esterno del bagno. Un esperimento balistico ha permesso di accertare che è possibile chiudersi in quel locale, e poi gettare la chiave all’esterno facendola passare da sotto la porta. Insomma, una messinscena. Ingenua e disperata, ma sempre messinscena. Brunella Giovara