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 2005  maggio 25 Mercoledì calendario

Gaba Meschac

• Nato a Cotonou (Benin) il 29 dicembre 1961. Artista. «[...] residente a Rotterdam, dalla seconda metà degli anni Novanta [...] Noto per la sua partecipazione alla Documenta XI, alla 50/ma edizione della Biennale di Venezia e soprattutto per il suo progetto del Museum of Contemporary African Art, che lo ha visto impegnato per sei anni dal 1997 al 2002 [...] ha scelto di andare à rebour, mettendo a punto una serie di lavori fortemente concettuali. Da sempre, prende le distanze dal modello esotico al quale, spesso, come occidentali, siamo legati. [...] Dopo le banconote appese agli alberi, dopo aver allestito nelle sale dei musei di grandi capitali europee un vero museo africano [...] è la volta del cibo... [...] ”[...] La baguette a Cotonou è il pane più diffuso e il meno caro. La mangiano un po’ tutti. La gente fa la fila per acquistarla in ogni angolo della città. Negli anni Ottanta, ci fu un lungo periodo di crisi, il cibo scarseggiava e quel poco che si riusciva a trovare era carissimo... tranne, appunto, la baguette. La gente si alzava alle cinque della mattina per andare a accaparrarsene una. La baguette è molto popolare anche in altri paesi dell’Africa, non solo in Benin. Questo non ha niente a che fare con i fantasmi della colonizzazione. Vorrei togliere di mezzo ogni equivoco. L’opera Boulangerie africaine non vuole in alcun modo affrontare l’argomento ’colonizzazione’, è al cibo che qui si fa riferimento. Volevo mostrare una vera panetteria del mio paese. Gli africani sono diventati abilissimi nel preparare baguette, proprio come i francesi... Mentre giravo il filmato, il ’boulanger’ mi domandava cosa ne avrei fatto: quando gli ho risposto che stavo preparando un’installazione d’arte contemporanea, mi ha guardato veramente stupito. La baguette è quanto di più normale si possa trovare oggi a Cotonou, non ha niente di artistico. Poi, mentre seguivo gli spostamenti di Africa Remix, ho notato che l’idea di baguette cambia di paese in paese. In Germania, ad esempio, è un pane considerato di lusso. I differenti significati che assume nei diversi posti vengono espressi in mostra [...] con colori diversi: ci sono baguette bianche, gialle, mauve, dorate... Per la gente del Benin, però, è semplicemente un cibo, e dal momento che è così importante, diventa più prezioso dell’oro [...] In Benin non si trovano coltivazioni di grano, è tutto importato. Stavo pensando di realizzare un altro lavoro sul cibo che però riguarderebbe i pomodori. Come la baguette, i pomodori sono diffusissimi in Benin ma non si trovano coltivazioni. Se dico a mia madre che i pomodori che lei mangia arrivano dall’Europa o dall’America mi prende per pazzo... [...] Quando la gente va in Africa, non gli interessa cercare di capire la cultura africana contemporanea, ma vuole solo soddisfare il proprio gusto. Perché l’arte è una questione di gusto. Molti artisti africani hanno capito questa cosa e - dal momento che hanno a disposizione solo quel mercato - lavorano per realizzare le opere che la gente vuole trovare in Africa. Ad esempio, se tu fai un ritratto di Gesù Cristo nessun bianco lo acquisterà mai... Anche se a Cotonou ci sono molti cristiani e le chiese sono numerose come le ’boulangerie’ in Benin... Chi viene, vuole acquistare quello che pensa appartenga all’Africa e spesso cerca dei fetiches, perché è questo il modo di fare affari. Adesso le cose sono cambiate, ma all’inizio quando mi opponevo a questo discorso ho avuto davvero molti problemi. [...] Peace Maker era un grande puzzle che mostra tutti gli stati africani in guerra. Questi paesi sono segnati con le loro bandiere. Il pubblico veniva invitato a ricostruire il puzzle e non era un lavoro facile. Le difficoltà incontrate, nella realizzazione del puzzle, rappresentano i problemi che l’Africa ha nel ritrovare se stessa di fronte alla guerra, alle epidemie... Ricostruire un puzzle significa trovare la volontà di immaginare soluzioni possibili. E Peace Maker è una metafora di tutto ciò. [...] ho cominciato a realizzare i grandi palazzi di New York come se fossero delle parrucche, con lo stesso materiale, intrecciando i finti capelli. un lavoro decisamente scultoreo, richiama la tradizione africana di acconciarsi i capelli intrecciandoli fino a farne delle vere e proprie sculture. Ma mentre facevo queste parrucche e guardavo le foto dei palazzi newyorchesi, notavo come le più moderne architetture in Benin siano molto simili ai grattacieli di New York...”» (Riccarda Mandrini, ”il manifesto” 24/5/2005).