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 2005  maggio 24 Martedì calendario

ATTENZIONE: E’ STATA POI GRAZIATA

(vedi Corriere di due giorni dopo)

Salvate Majda, sarà decapitata davanti alla moschea. Corriere della Sera 24/05/2005. Non resta molto tempo per salvare la vita di una giovane madre marocchina condannata arbitrariamente a morte in Arabia Saudita. Forse già questo venerdì, 27 maggio, Majda Mustapha Mahir sarà brutalmente decapitata in una piazza pubblica antistante una moschea di Riad.
Con l’accusa di aver ucciso sette anni fa il marito, il principe saudita Farid ibn Abdullah ibn Mishari al Saud, in circostanze dubbie e controverse. Al cospetto di un pubblico che, all’uscita dalla preghiera collettiva di mezzogiorno, assiste in massa a questo rito barbarico vigente in un pugno di teocrazie islamiche ma rifiutato dalla gran parte dei Paesi musulmani. Quarant’anni, due bambini, Majda arrivò a Riad nel 1997 in compagnia del marito principe dopo aver soggiornato in Belgio per ben 18 anni. Il suo calvario iniziò poco dopo, quando il marito fu trovato morto dentro la loro abitazione. Lei professò la propria innocenza e affermò che si era trattato di una morte accidentale. In un primo tempo la sua versione dei fatti fu accettata dalla polizia saudita, che ne riscontrò la fondatezza. Ma in seguito alle pressioni della famiglia del principe, in particolare di una seconda moglie saudita e di suo figlio, Majda fu arrestata e trasferita nella prigione di Milaz.
Non c’è mai stato un processo pubblico. Nessun avvocato ha potuto difenderla. Ai parenti non è stato consentito di visitarla. Né alle autorità consolari marocchine è stato permesso di contattarla.
Da sette anni Majda vive confinata in carcere in totale solitudine. Probabilmente in condizioni fisiche e psichiche terrificanti. A un certo punto si è saputo che un tribunale islamico a porte chiuse l’ha condannata a morte. Senza alcuna possibilità di appello. E che sarebbe imminente l’esecuzione della condanna tramite decapitazione. In questo caso pubblicamente, davanti alla casa di Dio, perché i fedeli musulmani conoscano e temano le sentenze di corti islamiche che rispondono solo all’arbitrio dei guardiani della fede wahhabita. Nonché a logiche tribali e razziste secondo cui gli autoctoni sauditi hanno di fatto l’ultima parola nelle controversie con gli stranieri. In teoria la famiglia del principe potrebbe concedere il perdono qualora la famiglia di Majda versasse la diya , una somma di denaro percepita come il " ri scatto del sangue " . Ma è improbabile che lo conceda anche perché non ha di certo problemi di soldi.
Amnesty International ha rivolto, per il tramite dell’ambasciata saudita a Bruxelles, un appello a re Fahd affinché intervenga per consentire un giusto processo e comunque commutare la pena di morte ( www. amnestyinternational. be/ doc/ article5361. html ). Il caso sta suscitando rabbia e protesta in seno all’opinione pubblica marocchina.
Il sito www. souss. com ha lanciato un dibattito sul caso di Majda all’insegna del tema " la schiavitù arabo islamica non è morta " . Un forumista scrive: " Cosa è andata a fare questa marocchina in Arabia Saudita? Perché cercano il disonore andando a lavorare senza diritti in questo Paese di ... " . Un altro conclude: " Meglio essere poveri ma liberi che ricchi e schiavi " .
Giovedì 26 maggio l’Associazione delle donne marocchine in Ita lia ha promosso una manifestazione davanti all’ambasciata dell’Arabia Saudita a Roma. Sono invitate a aderire tutte le associazioni che si battono per i diritti dell’uomo.
La presidente Souad Sbai consegnerà all’ambasciatore, principe Mohammed bin Nawwaf bin Abdulaziz al Saud, una lettera rivolta al re Fahd in cui si legge: " Nel nome della civiltà umana e del valore della sacralità della vita caro all’islam, chiediamo di accordare un giusto processo alla nostra connazionale affinché sia in grado di difendere pubblicamente la propria causa. Nel nome della clemenza e della tolleranza dell’islam chiediamo gentilmente a Sua Maestà di compiere un gesto di grazia " .
Sarà un’opportunità per verificare la maturità delle organizzazioni islamiche nostrane sul tema dei diritti umani, in particolare dell’ Ucoii ( Unione delle comunità e delle organizzazioni islamiche in Italia) che proprio recentemente ha sponsorizzato la proposta di Tariq Ramadan per una moratoria sull’applicazione delle pene corporali che sarebbero prescritte dalla sharia, la legge islamica.
Così come sarà un’occasione per mettere alla prova l’asserita disponibilità dell’Arabia Saudita a collaborare per l’affermazione di un islam italiano moderato, espressa la scorsa settimana dal segretario generale della Lega musulmana mondiale, lo sheikh Abdallah bin Abdelmohsen al Turki, nei colloqui romani con il presidente della Camera Pierferdinando Casini e il ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu. Nell’attesa che si arrivi all’accettazione del principio della reciprocità nell’ambito della libertà religiosa, l’Italia accerti quantomeno che nella più sacra delle terre dell’islam, dove a tutt’oggi è proibito erigere una chiesa, siano rispettati i diritti fondamentali della persona nei confronti degli stessi musulmani.
Magdi Allam