Il Sole 24 Ore 16/05/2005, pag.7 Paolo Liverani, 16 maggio 2005
Louvre, il palazzo "onore di Francia". Il Sole 24 Ore 16/05/2005. Louvre, palais pompeux dont la France s’honore
Louvre, il palazzo "onore di Francia". Il Sole 24 Ore 16/05/2005. Louvre, palais pompeux dont la France s’honore. Quando alla metà del ’700 Voltaire scriveva questo verso, la sorte del "palazzo pomposo onore della Francia" non sembrava votata a così alti destini. Trascurato nella manutenzione, abitato dagli artisti delle accademie che si permettevano ogni adattamento arbitrario dei loro alloggi, qualche voce ne aveva perfino proposta la demolizione. Il palazzo voluto dai re di Francia doveva la definitiva vocazione di museo proprio a coloro che dei re si erano fatti giustizieri. Fu infatti con la Rivoluzione che sI impose l’idea che le collezioni d’arte della corona non potevano essere destinate al privato godimento del re e della corte, ma che dovevano essere accessibili al pubblico, mezzo di innalzamento della cultura nazionale. Da allora il Louvre sI è giustamente guadagnato la sua aura, tanto che per molti è probabilmente il primo nome che viene in mente se si deve pensare al museo per antonomasia. E delle virtù e contraddizioni del museo il Louvre è stato spesso testimone e attore privilegiato. Il colpo d’ala della sua storia, infatti, è legato inestricabilmente alle vittorie delle armate francesi rivoluzionarie e alle confische che da ogni parte d’Europa concentrarono il fior fiore della produzione artistica nelle sue sale. Una densità d’arte che nessuna epoca avrebbe più visto, una storia dell’arte universale raccontata attraverso opere che (così sostenevano al Direttorio) chiedevano esse stesse di essere "rimpatriate" nella terra della libertà - la Francia rivoluzionaria - fuggendo l’oscurantismo dell’Ancien Régime. Accanto alle ebbrezze ideologiche della Rivoluzione, però, e talvolta in opposizione a esse, quasi come anticorpi, l’esperienza del Louvre ha generato alcune delle acquisizioni più positive dell’idea museo, sopravvissute a Robespierre e a Napoleone e ormai parte della cultura occidentale. Innanzitutto il concetto dell’arte come patrimonio della cultura di una Nazione, teorizzato esplicitamente quando la Rivoluzione aprì al popolo le raccolte reali e quando si pose il problema se e come salvare l’arte dell’Ancien Régime. Mai come allora, però, tutto il resto d’Europa si rese conto del valore simbolico di questo patrimonio, quando le confische di opere d’arte vennero sentite come un attentato all’identità nazionale più doloroso delle pesanti condizioni politico-economiche imposte dai trattati di pace. Sempre dall’esperienza del Louvre nacque una storia dell’arte pratica, se così si può dire, non più limitata alle pur brillanti pagine del suo fondatore Winckelmann, il prussiano naturalizzato romano. Fu infatti nel Salon Carré del Louvre, nel 1796, che iniziò a essere messa in pratica la suddivisione per scuole di pittura - l’italiana, la francese, la nordica - e un primo vago ordinamento cronologico. Idea apparentemente banale, oggi, ma che invece sovvertiva totalmente la pratica allora indiscussa dell’Accademia, che teorizzava la mancanza di un qualsiasi ordine. Nella vecchia prospettiva, infatti, si dovevano offrire tutti i possibili modelli ai giovani artisti, i quali avrebbero potuto così cogliere quello che vi trovano di meglio in una sintesi eclettica. Anche l’invenzione delle guide tascabili è di quegli anni. Nei piccoli cataloghi che accompagnavano le prime esposizioni del Louvre dopo le requisizioni, ogni artista aveva una scheda e di ogni quadro erano fornite spiegazioni relative al soggetto, alla tecnica e a un minimo di storia dell’opera. Era una rivincita, sia pure solo morale, di Quatremère de Quincy, genio scomodo che nelle "Lettres à Miranda" contemporanee alle prime confische di opere d’arte, difendeva l’importanza del contesto, negava il capolavoro isolato, valorizzava le opere minori per ricostruire un tessuto storico. In una parola condannava il museo generalista e universale, che trasforma le opere d’arte in mbe che la morte non anima più". Le opere confiscate tornarono in buona parte alle loro dimore primitive, ma nessun furore di restaurazione poté impedire che i musei d’Europa assorbissero le novità sperimentate al Louvre. E da allora il Louvre ha continuato a crescere sul sottile crinale che vede la coesistenza nello stesso corpo di due anime, quella del museo specchio e simbolo della storia e della cultura nazionale francese e quella del museo che nel suo microcosmo si apre alla storia universale, con collezioni che vanno dalle gloriose civiltà orientali alle radici greche e romane, fino a tutta la grande arte europea dell’evo moderno. Segno di questa capacità di conciliazione degli opposti è proprio la piramide che sovrasta il nuovo ingresso del museo. Questa forma era entrata nell’immaginario occidentale grazie alla spedizione di Napoleone in Egitto come prototipo dell’assolutismo faraonico, dell’esotismo d’oriente, di un passato quasi immemorabile. Ora invece dopo pochi anni la Pyramide evoca uno dei posti più vivi, moderni ed ecumenici in cui l’Europa si riconosce. Paolo Liverani