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 2005  maggio 19 Giovedì calendario

Emozioni forti con il ”vero” Van Gogh. Il Sole 24 Ore 19/05/2005. Di notte il Van Gogh Museum dispiega un sorriso strano, che proviene dall’ellisse costruita nel 1999 dall’architetto Kurakawa: quella lama di luce proviene dalla nuova ala dedicata alle esposizioni temporanee

Emozioni forti con il ”vero” Van Gogh. Il Sole 24 Ore 19/05/2005. Di notte il Van Gogh Museum dispiega un sorriso strano, che proviene dall’ellisse costruita nel 1999 dall’architetto Kurakawa: quella lama di luce proviene dalla nuova ala dedicata alle esposizioni temporanee. Non è un sorriso felice, quello che emerge dal tetto nell’incrocio con il muro ricurvo, ma è pur sempre l’invito a uno stato d’animo. Persino questo caso generato da un incrocio di piani dà ragione di una verità incontestabile: Van Gogh non è solo il maggiore artista olandese, ma soprattutto è il più amato di tutto il mondo o quanto meno il più capace di generare reazioni inconsulte: c’è chi avrebbe voluto essere seppellito con un suo quadro accanto. Maestro delle emozioni, ne continua a provocare anche attraverso le costruzioni a lui intitolate. La nuova ellisse si affianca al rigido razionalismo del vecchio corpo firmato da Gerrit Rietveld, uno scrigno serioso fatto di scale, cemento, spigoli, grigi e qualche pudore. Curve di qui, nell’area inaugurata nel 1999, rette di là, nel corpo aperto nel 1973 e a unirle il ”nodo”, come oramai lo chiamano tutti. Persino per quanto riguarda il museo che lo celebra, Van Gogh è tormentato e double face, fatto per regalarci emozioni e per mettere in imbarazzo il nostro inconscio. In quel museo a doppio volto non ci si va per vedere le sue opere ma per sentirselo addosso, per poter essere dentro a quella mente e per vedere quello che lui amava. Il museo è stato infatti costruito su misura per quella collezione che, appartenuta all’artista, giunse in eredità al fratello Theo e di qui a suo nipote Vincent Willlem. La famiglia ha saputo conservare lo spirito dell’artista suicida attraverso le sue cose e le sue pitture, senza svenderle e senza farne neppure troppo spettacolo. Ma lo spettacolo c’è: oggi Van Gogh è un divo e qui si cerca inevitabilmente il culto di una personalità in cui temiamo di poterci riconoscere. Per questo la dicotomia dei due corpi di fabbrica ci fa paura. Oltre ai lavori giovanili, i quadri meno reclamizzati dai calendari, dalle agende e dai poster kitsch, qui ci sono soprattutto le sue opere giovanili, quelle che accompagnarono il periodo dei "Mangiatori di patate": splendida, per esempio, una Bibbia aperta senza nessun orpello intorno, sola nel primo piano, dipinta nel 1885. Ma nel Museo troviamo anche la collezione delle opere a cui Van Gogh fu legato, perché amava i loro autori o perché li ammmirava da lontano. Da Monet a Pissarro, da Gauguin a Rodin e Millet, da Signac a Odillon Redon al monacense Fraz Von Stuck: una rosa di grandi nomi che spiega la sua distanza da qualsiasi preteso movimento in cui si è, invano, cercato di metterlo. Proprio il numero di coloro che ritenne vicini e la diversità dei loro orientamenti ci racconta, qui ad Amsterdam, che Van Gogh ha sempre corso da solo. Gli facevano compagnia le sue passioni, come attesta la collezione di stampe giapponesi che gli appartennero e che amò come oggetti di culto. Aveva imparato a conoscerle da ragazzo, quando aveva lavorato in un negozio di antiquario di Londra, e non aveva smesso di copiarle quasi letteralmente. Queste sono tra le cose più belle che si possono cercare tra quelle mura, almeno oggi che, anche grazie a Van Gogh, abbiamo imparato a leggere la costruzione orientale dello spazio. Qui capiamo che Van Gogh non era un pazzo impulsivo ma un uomo capace di conoscenza e approfondimento. Gioiello della visita è un piccolo botta e risposta quasi da ridere ma tutto da piangere. Da una parte troviamo un teschio di van Gogh dipinto nel 1885: un teschio che si fuma una sigaretta sapendo che tutto è vano. In un altro settore compare un dipinto di Henri de Toulouse-Lautrec intitolato "Polvere di riso" (1887), cioè la cipria che le ragazze si mettevano per sembrare più bianche, più belle, più giovani. Un primissimo piano, atipico per il pittore dei corpi opulenti ma sfiniti dalla vita di postribolo. Anche questa è una vanitas, uno scherzo crudele che racconta la caducità della vita. O piuttosto quanto il mondo sia fluttuante, come insegna il Giappone e la sua cultura, quanto le cose siano mobili e inafferrabili, quanto, benché con amarezza, valga la pena sorriderne. Proprio come sorride la mezza luna di luce che si apre tra il tetto e il corpo del museo, sulla piazza in cui Amsterdam ha accumulato i suoi tesori più belli. Angela Vettese