Varie, 20 maggio 2005
Tags : Binh Pham Xuan An
PHAM XUAN AN Binh Truoc (Vietnam) 12 settembre 1927, Ho Chi Minh City (Vietnam) 20 settembre 2006 • «Nell’ordine: patriota comunista nell’Indocina francese, poi giornalista di riferimento per gli americani e spia referenziata per i vietcong nel Vietnam in fiamme, quindi eroe del dopoguerra in patria, infine star delle rievocazioni belliche trent’anni dopo sul “New Yorker”
PHAM XUAN AN Binh Truoc (Vietnam) 12 settembre 1927, Ho Chi Minh City (Vietnam) 20 settembre 2006 • «Nell’ordine: patriota comunista nell’Indocina francese, poi giornalista di riferimento per gli americani e spia referenziata per i vietcong nel Vietnam in fiamme, quindi eroe del dopoguerra in patria, infine star delle rievocazioni belliche trent’anni dopo sul “New Yorker”. E tutto questo senza farsi un solo nemico o un solo giorno di galera. Il capolavoro esistenziale di Pham Xuan An, ufficiale e gentiluomo a Saigon, avrebbe meritato un racconto di Pirandello, una riedizione edificante del Sosia di Dostoevskij, o almeno una seduta psicanalitica sul lettino di Carl Gustav Jung. Riuscire a farsi amare contemporaneamente dal Generale Giap e da tutta la rete di corrispondenti di guerra occidentali, richiedeva non comuni doti di trasformismo. E coniugare assoluta fedeltà alla causa di Hanoi e sincera ammirazione per gli Stati Uniti, denota inusuale talento da equilibrista. [...] “Non ho mai mentito a nessuno. Le stesse analisi politiche che scrivevo all’epoca per ‘Time’ inviavo anche a Ho Chi Minh”. Il quale, non avendo a disposizione Internet per controllare la stampa nemica on line , non seppe allora né mai di aver letto rapporti riservati che qualunque americano poteva comprare in edicola la stessa settimana. Precisi, affidabili, obiettivi, ma non esattamente confidenziali. Forse neanche Ho Chi Minh serberebbe rancore all’ineffabile Mister An, il più informato, disponibile, generoso e indaffarato dei corrispondenti di guerra in Vietnam, di giorno reporter per gli uni, di notte agente segreto per gli altri. Già nel ’65 l’inviato americano David Halberstam aveva lodato ingenuamente, in un libro, gli eccellenti contatti militari del collega locale. Col senno (e le rivelazioni) di poi, si può capire perché An fosse tanto ben introdotto [...]. Se doppio gioco fu, nessuno avrebbe saputo condurlo con maggiore onestà di An: tanto che, ai vietcong vittoriosi, non tentò nemmeno di nascondere la sua incondizionata stima per il nemico in rotta. Il che gli procurò un trattamento in un campo di rieducazione, al termine della guerra, perché si purificasse dalle tossine imperialiste. Negli ultimi giorni di Saigon, gli americani avevano deciso di portarlo in salvo a Washington con tutta la famiglia e il Politburo nordvietnamita meditava di infiltrarlo negli Stati Uniti per smascherare probabili operazioni militari segrete del Pentagono nell’abbandonato territorio comunista. Ancora una volta, gli uni e gli altri volevano da lui la stessa cosa, sebbene con scopi diversi. Ma da Hanoi arrivò all’ultimo momento il contrordine: decorato come eroe dell’esercito popolare, promosso a generale di brigata e rieducato all’odio verso gli yankees, An doveva restare a Ho Chi Minh City, come fu ribattezzata Saigon. An ha obbedito in tutto. Insomma, quasi tutto: l’America continuava a essergli simpatica. Non altrettanto la Francia, che ad An aveva concesso il raro onore di un certificato “coloniale” di nascita, in quanto figlio di un funzionario dell’amministrazione controllata, all’epoca, da Parigi. Crebbe comunista e poco interessato agli studi, ma incline alle amicizie e ai sogni di una vita da buon selvaggio nella giungla. Un Tarzan marxista. Ibrido più pittoresco, ma altrettanto improbabile, di quello che gli sarebbe toccato nella vita adulta. A metà degli anni ’50 An era iscritto al partito comunista, fresca recluta dei servizi segreti e censore all’ufficio postale centrale dei dispacci che lo scrittore inglese Graham Greene, e altri corrispondenti stranieri, inviava no ai giornali europei. Così l’autore de Il nostro agente all’Avana sfiorava senza saperlo il più formidabile agente a Saigon. Dove ben presto avrebbe operato per la Cia anche il colonnello Edward Lansdale, l’“americano tranquillo” cui non sarebbero sfuggite le qualità psicologiche di An, “il vietnamita tranquillo”. Tutti volevano An al loro servizio. Ma fu Ho Chi Minh in persona a pensare di farne un giornalista spia, da mescolare ai corrispondenti stranieri. Due anni negli Stati Uniti e, all’alba del 1960, An tornava in patria pronto al suo ruolo. La collaborazione con l’agenzia inglese Reuters , e gli americani Herald Tribune, Christian Science Monitor e Time decollò: An aveva fonti strepitose e non c’era inviato a Saigon che non pendesse dalle sue labbra. Ma nessuno sospettava che anche An prelevasse dai giornalisti informazioni preziose per Hanoi. Quando, a guerra finita, la sua doppia identità è venuta a galla, An non ha negato. Con 17 anni di ritardo, l’inviato di Time, Robert Sam Anson, rapito in Cambogia dai khmer rossi nel ’70, seppe che era stato An a farlo liberare: “Potevo essere nemico del suo paese — spiega An al New Yorker — , ma ero amico suo”. Difendeva la sua terra, concordano [...] gli ex colleghi americani di An che, con l’eccezione di Peter Arnett, continuano a contraccambiare quell’amicizia. Così è, o a loro pare» (Elisabetta Rosaspina, “Corriere della Sera” 20/5/2005).