Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  maggio 20 Venerdì calendario

PARRELLA

PARRELLA Valeria Torre del Greco (Napoli) 1974. Scrittrice • «[...] I personaggi di Valeria Parrella vivono (allegramente o disperatamente) alla giornata, tirano a campare nella Napoli mariuola che si arrangia come può, accettano i guai, magari strillando, ma poi si rassegnano. Anche alla galera, anche alla morte. Se hanno sogni, stentano a venir fuori, perché provvedere all’oggi è già tanto, è già tutto. Parrella racconta storie che naturalmente hanno un inizio e una fine e persino una trama, ma le sue sono soprattutto ”tranche de vie”, reperti di una quotidianità che è un modo di esserci, al mondo, e soprattutto di affermare, spesso con caparbietà, la necessità, il diritto biologico di vivere o almeno di sopravvivere in una specie di confronto e talvolta lotta senza quartiere con tutto ciò che sta fuori dal sé: il ragazzino che cerca di scipparti il cellulare, i colleghi di lavoro, i parenti, le madri che si preoccupano, gli amanti che non arrivano. In altre parole il pulsare della vita, che è come il sangue che batte alle tempie e ti dice che il corpo esiste e non puoi, non devi ignorarlo. [...] l’esordio sorprendente di Mosca più balena uscito con successo [...]» (Paolo Mauri, ”la Repubblica” 20/5/2005) • «[...] ”Quando lavoravo alla libreria Feltrinelli di Napoli e venivano gli scrittori a presentare i loro libri”, racconta, ”io portavo le bottiglie d’acqua minerale e i bicchieri. Che rabbia, quando tutto era finito, quelle bottiglie mezze vuote. Che spreco, dovevamo buttarle. Invece sono stata ad Hay-on-Wye, nel Galles, dove c’è un festival [...] Un piccolo borgo circondato dalla campagna e dagli animali. Ho letto alcune mie cose e ognuno di noi aveva una bella brocca di acqua corrente”. [...] non è molto alta, ha i capelli castani che si appoggiano sulle spalle. Di lei si parla come di una delle voci più robuste della nostra giovane letteratura. Ha istinto narrativo, intelligenza nervosa. Una lingua tesa, italianissima ma modulata sul napoletano. Alcuni hanno scorto tratti di lei in una delle sue creature, Guappetella, chiamata così dal suo uomo perché con lui ”faceva la tosta” e che, cercando l’emancipazione culturale, legge la Tamaro, un libro che giudica ”impossibile”: ”Se io fossi andata dove mi portava il cuore, sarei rimasta incinta a tredici anni nell’ape di Totonno il pezzaro”. Ha vinto premi, è stata selezionata nella cinquina dello Strega [...] Vive a Napoli, all’ultimo piano di un palazzo ottocentesco in via Duomo, con i soffitti alti su cui riverbera la luce mediterranea. Ha dipinto le pareti di giallo e di lillà e ha sistemato pochi mobili di famiglia e qualche poltrona Ikea. Racconta che lì ci abitava un sarto, che se ne stava accucciato in un paio di stanze mentre le altre cascavano a pezzi. Ha fatto i lavori da sola. Nell’angolo dello studio, dove i libri sono allineati su un grande tavolo, c’è un manichino del vecchio sarto che sembra un’installazione d’arte povera. Dalla terrazza, una striscia sottile, si vede sfilare via Duomo e in fondo, dopo gli incroci con il decumano di via Tribunali e con Forcella, ecco il mare, un mare che nella Napoli dei suoi racconti figura pochissimo. La sua è la Napoli di via Marina e di Ponticelli, della zona orientale, ancora popolata dai capannoni industriali o da quel che ne resta. Della 167 di Secondigliano, l’area a nord della città, dove infuria la guerra di camorra. la Napoli dove ”poi, un giorno, il contrabbando è finito”, lasciando le sue strade senza i punti di riferimento dei piccoli baracchini con le sigarette, al posto dei quali si vedono i tossici svuotare le boccette di En in attesa della dose. Non si è mai posta, dice, il problema di ambientare a Napoli i suoi racconti. E alla domanda perché lo fa, replica scuotendo la testa e scrutando dal basso in alto: ”E perché no?”. La sua è una Napoli vista con occhi nordamericani, quelli di Truman Capote e di Raymond Carver, una Napoli che ha il ritmo contratto e che potrebbe essere Berlino, assicura, che ha spostato la sua anima lontano dal centro, afflitto da una pletora di racconti e di descrizioni, verso luoghi apparentemente inospitali, sui quali grava una specie di interdetto che lei chiama ”una grande cattiveria”. [...] ha fatto studi classici, come suo padre e i suoi nonni, sua madre è archeobiologa alla Soprintendenza di Pompei. Poi si è laureata in glottologia con una tesi sulla lingua dei segni e ha iniziato a lavorare in una scuola per sordi. Insegnava l’italiano a chi non poteva ascoltarlo e per i quali quella di Dante era una seconda lingua. ”Molti di loro si laureano in matematica o in informatica, ma un altro ha scelto filosofia, una disciplina tutta di parole”. Aveva alunni dai 18 ai 30 anni ai quali dava da leggere ogni giorno un brano di un romanzo d’amore, lasciando che aspettassero il seguito, come in un feuilleton. ”Allora pensavo che non avrei mai scritto un romanzo, perché le storie che mi venivano in mente erano di durata minima. E anche perché l’italiano che avevo studiato aveva un impianto rigoroso, complesso, che non si adattava alla mia immaginazione. Poi lessi i racconti di Carver ed è come se mi si fosse snellita la vita”» (’la Repubblica” 7/9/2005).