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 2005  maggio 19 Giovedì calendario

CIPRIANI

CIPRIANI Arrigo Verona 23 aprile 1932. Celebre albergatore. Proprietario dell’Harri’s Bar di Venezia • «Bella tempra d’uomo [...] per 25 anni è stato insegnante di karate [...] assomma miliardi con il business della ristorazione, dall’Harry’s Bar di Venezia a New York dove ha aperto otto ristoranti per un totale di mille dipendenti. [...] Visto che lavorava dalla mattina alla sera, si è messo anche a scrivere: sei libri, uno di ricette ha venduto 300.000 copie, gli altri, tra cui un romanzo, 100.000, tradotti in tre lingue. (’Quando uno scrittore apre un ristorante si parla di genialità, quando un ristoratore scrive, non ci crede nessuno”). [...] ”[...] Il vero genio della mia famiglia era papà Giuseppe. Aprì il primo ristorante in un vicolo cieco, così non ci si sbatteva contro per caso ma lo si sceglieva. Fu il primo italiano ad avere un ritratto fatto dal ”New Yorker’ e lui non capiva il perché. Era semplice come la sua cucina. Tovaglie di lino, posate piccole, la gente a proprio agio. Così il dio che è nella pancia del cliente gira per la sala e diventa atmosfera [...] Quello che mi piace meno di tutti è Marchesi e pure Vissani è un bluff. Io dico sempre che il menu degustazione è una disgustazione, che è un assassinio mettere la liquirizia nel riso e quando leggo che il cibo è adagiato su un letto alla Poppea mi vengono i brividi. Lo sa quale è il segreto per evitare alcuni errori? Non entrare mai in un ristorante che porta il nome del cuoco. Tutta immagine e niente arrosto. Soprattutto tanta panna per mascherare le magagne [...] Io e mio figlio Giuseppe abbiamo appreso la lezione di mio padre, siamo una trattoria che è il vero ristorante italiano. Una cucina terra-terra, di casa, niente rivisitazioni. Cura dei particolari e del servizio. Una volta Woody Allen venne nel nostro ristorante sulla Quinta strada, angolo 59esima e si lamentò perché era rumoroso. Abbiamo messo dei pannelli isolanti e lo abbiamo invitato e lui ci ha detto che il problema era superato. A New York ho 25 cuochi italiani che cucinano tutti nello stesso modo, anche la pasta fatta in casa come la facevano le donne di casa mia [...] I grandi maestri dei cuochi sono gli aristocratici che hanno speso le loro fortune nei ristoranti importanti. Noi facevamo assaggiare il nostro risotto al principe Ruspoli. ”Principe è buono?’ E lui: ”Cemento’. Allora lo mantecavamo meglio fino a quando non dava il suo assenso [...]”» (Michela Tamburrino, ”La Stampa” 2/11/2007) •