Il Sole 24 Ore 08/05/2005, pag.29 Serena Vitale, 8 maggio 2005
Tutti i gatti dell’Ermitage. Il Sole 24 Ore 08/05/2005. Dici: "Ermitage", e vieni aggredito dal Mito di Pietroburgo: fredda e artificiale, rettilinea città-museo nata all’istante dal grandioso sogno di un sovrano
Tutti i gatti dell’Ermitage. Il Sole 24 Ore 08/05/2005. Dici: "Ermitage", e vieni aggredito dal Mito di Pietroburgo: fredda e artificiale, rettilinea città-museo nata all’istante dal grandioso sogno di un sovrano. Un Tussaud del Bello versus la caotica, famigliare, "santa" Mosca, cresciuta nei secoli ad anelli attorno al suo cuore-cremlino. Ermitage: tre milioni (solo la decima parte dell’immenso patrimonio reale) di eksponaty, testimonianze della meravigliosa ingegnosità di uomo e natura; 500 sale, 127.478 metri quadrati, 50mila di esposizione, 42 chilometri di tubature per l’acqua calda... E una colonia di duecento gatti, tra cui il vecchio "Vas’ka Orbo", habitué dello spogliatoio destinato ai guardiani. Neanche squisite polpette di merluzzo potrebbero convincerlo a guidare i visitatori più curiosi nel suo regno, l’altro Ermitage: cortili-piazze e cortiletti, passaggi, segrete, casette piene e casette vuote, sconfinati sotterranei - un mondo vietato ai non quadrupedi, salvo quelli addetti agli eterni lavori. Ciò che oggi chiamiamo "Ermitage" è il vivo insieme di più edifici-organismi su cui a lungo ha lavorato il tempo. Nella città più astratta del mondo è l’unico corpo naturale, non premeditato: quasi una piccola Mosca a Pietroburgo. Nel 1712 Pietro I dovette fare i conti col decreto da lui stesso emanato: sulla porzione di Lungoneva che aveva adocchiata per una nuova residenza potevano edificare soli i ranghi della nascente Marina Russa. L’autocrate ingannò l’autocrate: come "Petr Alekseev, maestro d’ascia" comprò il suolo su cui fece costruire una "picciola casa di architettura olandese"; perché respirasse a pieno i venti gonfi di salsedine, dietro la facciata posteriore venne scavato un canale. Nel 1720 Pietro il Grande si trasferì con la famiglia nel "Palazzo d’Inverno"; vi trascorse solo cinque inverni. Salita al trono nel 1730, la vanagloriosa Anna Ioannovna comandò di abbellire e ampliare la troppo modesta residenza imperiale, che crebbe a spese di altri edifici - anche le case dei nobili che Pietro aveva portato di forza a popolare la nuova capitale. Visse solo cinque anni nel nuovo Palazzo; lo abbandonò, diretta al Creatore, nel 1740. A Rastrelli-figlio Elizaveta Petrovna ordinò, quattordici anni più tardi, altri restauri, migliorie. Quattromila persone iniziarono a lavorare, giorno e notte; da una provvisoria dimora di legno sulla prospettiva Nevskij la zarina impaziente metteva fretta. Strade e piazze intorno al cantiere divennero una distesa di tende, baracche, falò su cui veniva preparato il rancio. Ma a volte quel rancio mancava per settimane e i lavori si fermavano; la Russia era entrata in guerra, le casse del l’Erario si svuotavano. Un ukaz imperiale stabilì che il nuovo Palazzo d’Inverno fosse ultimato per la fine del 1761. Con un altro decreto Elisabetta fece cercare a Kazan’ "i gatti più grossi e abili nella caccia ai ratti, da deportare a Pietroburgo". I topi le provocavano crisi isteriche, svenimenti, lunghi periodi di malattia. Soffriva di mal caduco, e ne morì il 25 dicembre 1761, senza aver trascorso una sola notte nella nuova reggia dove si insediarono, dapprima intimiditi, poi grassi signori, i sessanta gatti arrivati da Kazan’. Pietro III scelse le festività pasquali del 1763 per inaugurare la nuova residenza dei Romanov, ma non c’erano il tempo né il denaro necessari per eliminare i resti del lungo bivacco, del cantiere. Il generale Korff suggerì di ordinare i lavori di bonifica ai pietroburghesi, che in compenso avrebbero potuto portar via ciò che volevano. Accorsero: povera gente, mercanti, impiegatucci, servitori di case patrizie; tornarono con mattoni, assi, pezzi di ferro, marmo, granito. Alcuni giorni più tardi Pietro III potè varcare solennemente le porte del Palazzo. Ci visse poco più di due mesi: il 28 giugno abdicò a favore della moglie Caterina, amata dalla Guardia e amante di Grigorij Orlov, fratello di uno dei congiurati che avrebbero ucciso lo zar deposto. Trovando poco gemutlich il Palazzo d’Inverno, Caterina II volle un luogo in cui appartarsi, un eremo, un Ermitage come tanti ve n’erano, immersi nel verde di parchi e giardini, in Europa. Ma nulla fioriva ancora sulla Neva. Fu costruito un grande giardino pensile; a sud, unito da un passaggio più o meno segreto, nacque quello che presto tutti chiamarono "Corpo dei Favoriti" (primo ospite fu Orlov), a nord un superbo padiglione con finestre sul fiume. Da lì Caterina guardava i vascelli avanzare lenti sulle onde smeraldine, lì riposava la mente ascoltando il gorgoglio delle fontane e i chiassosi discorsi dei pappagalli americani. Lì riceveva en petit comité, regnando da adorabile padrona di casa, augusta massaia (niente servitù: imbandite nei locali sottostanti, le tavole salivano con l’ausilio di piattaforme mobili), eccellente conversatrice. Una tabella ricordava le regole dei "piccoli ermitages": lasciare fuori della porta noia, alterigia, piaggeria, "copricapi e a maggior ragione sciabole", non sospirare, non sbadigliare, "lavare a palazzo i panni sporchi". I trasgressori dovevano svuotare d’un fiato un bicchiere di acqua fredda oppure imparare a memoria una decina dei pesanti, legnosi versi di Tredjakovskij. Si faceva musica, si giocava a biliardo o a carte (talvolta grossi brillanti sostituivano le fiches), si recitava, si commentavano Storia e storielle. Dalle pareti guardavano le tele di maestri olandesi e fiamminghi acquistate nel 1764. Anche i re possono trovarsi in cattive acque. Dopo l’emorragia finanziaria della guerra dei Sette anni, Federico il Grande non riusciva a pagare i 225 preziosi quadri raccolti su sua commissione dal mercante Gotzkowsky. Le comprò Caterina di Russia per impreziosire il suo Ermitage. Nasceva così - amore delle arti, dispetto a un confratello coronato, volontà di dimostrare all’Occidente la grandezza della "settima e più felice parte del mondo" - una delle più imponenti raccolte museali dell’età moderna. I procuratori dell’imperatrice - principi, ambasciatori, mercanti, affaristi - percorrevano in lungo e in largo l’Europa visitando raccolte private (e in segreto s’informavano sullo stato patrimoniale dei padroni), mai disertando un’asta. Quadri e statue, porcellane e tappeti, bronzi, gioielli, manufatti dell’età della pietra: molta bellezza in vendita prese la strada della Russia nell’"epoca mirabile" di Caterina II. Anche agli occhi dei più animosi detrattori l’immagine della "Minerva" si sovrappose a quella della "Semiramide del Nord" il cui Romitaggio, già ricco della prima "Biblioteca russa", era pronto ad accogliere quelle di Diderot e Voltaire. La Grande Caterina aveva un debole per il piccolo: pietre intagliate, cammei, frammenti di rocce degli Urali. Comprava singoli pezzi e intere collezioni che lei stessa si occupava di riordinare. A quelle cure dedicava il poco tempo del suo riposo, a quella passione iniziò, uno dopo l’altro, i suoi molti favoriti. Ormai troppo angusto, l’Ermitage si arricchì del "Grande" o "Vecchio" (1771-84), di un Teatro (1783-87) che un ponte coperto sospeso sul canale univa al Palazzo d’Inverno. Alcune damigelle d’onore, patendo le vertigini, non riuscivano ad attraversarlo: strillavano, perdevano i sensi. Nemica delle svenevolezze (l’horror vacui non era, per lei, una malattia; ne conosceva una sola e tremenda: la vecchiaia), l’imperatrice le faceva rinvenire con vigorosi buffetti, quasi schiaffi. Nel gennaio del 1778 Caterina si lamentò con Melchior von Grimm: ammiravano tanti tesori, gli scrisse, "soltanto lei e i topi". Civettava; il suo angolino di arte e pace era ormai celebre e strabiliava gli illustri visitatori - russi, stranieri. Nuovi gatti, comunque, vennero "deportati" all’Ermitage. Nel 1839 ebbe inizio la costruzione del "Nuovo" Ermitage: il primo museo pubblico russo, inaugurato da Nicola I il 7 febbraio 1852. Ciò che oggi chiamiamo "Ermitage" non ha, non può avere una data di nascita. Convenzionalmente sono stati scelti l’anno 1764 (i quadri soffiati a Federico di Prussia) e il 7 dicembre, giorno in cui festeggiano l’onomastico le piccole e grandi Caterine russe. Durante l’assedio di Leningrado nessun gatto restò vivo nella città in cui si preparava il brodo con stivali e cinture, in cui esseri umani impazziti arrivarono a mangiare pezzi di carne strappati dai cadaveri dei loro simili. E perfino sui vivi si gettavano i famelici ratti che avevano invaso l’ex capitale circondata dai nazisti; vere orde contro cui quasi nulla potevano le speciali brigate di acchiappatopi. Nelle sale dell’Ermitage, i cui massimi tesori erano stati frattanto evacuati, i topi facevano più danni dei marinai e soldati che per tre giorni e tre notti, nel 1917, avevano festeggiato ubriachi la presa del Palazzo d’Inverno. Nell’aprile del 1942 quattro vagoni di gatti arrivarono in modo fortunoso da Jaroslavl’, accolti come eroi salvatori. Da loro discendono "Signorina", "Zoppetta", "Scemina"... E "Van Dyck", lo sciagurato che un giorno, qualche anno fa, è stato scoperto dietro la grata del condotto di ventilazione, proprio sopra il Ritratto di famiglia di Sir Anthony. Serena Vitale