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 2005  maggio 07 Sabato calendario

La generazione nascosta che sogna la nuova Cuba. Il Sole 24 Ore 07/05/2005. L’Avana - Angel Bueno Martines, questo è certo, ci crede

La generazione nascosta che sogna la nuova Cuba. Il Sole 24 Ore 07/05/2005. L’Avana - Angel Bueno Martines, questo è certo, ci crede. La giornata di lavoro è finita; nel vicolo del quale è il re, abbassa la saracinesca dell’officina dove ripara moto. Defendendo el socialismo, ha scritto con la vernice sulla serranda, accanto a un ritratto del Che. Gioventù comunista, una carriera militare, 27 mesi da combattente in Angola, a 55 anni Angel Bueno si sente un uomo appagato. il responsabile del Cdr di quartiere, il Comitato di difesa rivoluzionaria: occhio, orecchie e braccio del Partito che entra in ogni casa e vigila. "Un militante del Partito", era la definizione del dirigente La Guardia, incontrato poco prima alla sezione di Marianao, una delle zone più popolose dell’Avana e della quale fa parte il quartiere di Angel Bueno, "è inserito nella società; è la sua avanguardia, è un buon lavoratore, un buon padre di famiglia, un buon vicino di casa, un esempio per gli altri". il profilo di Angel Bueno Martines che qui, fra le 83 famiglie del suo barrio, il quartiere, ogni giorno garantisce che nell’edificio del socialismo cubano non si aprano fessure. "Abbiamo due problemi", spiega davanti a una tazzina di caffè preparato dalla moglie. "I ragazzi ai limiti della delinquenza e altri, non solo giovani, che criticano la rivoluzione. Sì, lo devo ammettere: esistono persone ipercritiche alle quali, che la rivoluzione vada bene o male, sembra vada sempre male. Hanno avuto un’educazione garantita, hanno un ospedale che funziona, una farmacia. Ma a loro non basta mai. Sappiamo chi sono. Niente prigione per loro! Solo centri di rieducazione, ma ce li mandiamo esclusivamente quando non riusciamo a convincerli, parlando e parlando. La nostra è una battaglia delle idee". Angel Bueno è convinto che questo suo piccolo e (lo ammette lui) perfettibile mondo del barrio sia senza fine. Il Comitato impedisce che prenda piede quella violenza che attanaglia i quartieri delle città latino-americane; droga neanche parlarne, bande nessuna. Se una famiglia riesce a comprarsi una televisione deve spiegare come e dove ha preso il denaro: nessuno può arricchirsi, l’equità sociale è garantita da un concetto che Angel Bueno ama ripetere: "C’è molto poco, ma il poco che abbiamo ce lo dividiamo". Oggi questo Macondo non è minacciato dai "capitalisti nord-americani" ma dalla biologia. Fidel Castro ha 79 anni. Come ammette lui, resterà al potere solo fino a che la natura glielo permetterà: "Non un secondo di più né uno di meno". Ma quell’attimo fatale può arrivare in ogni momento, ormai. Venire oggi all’Avana è come visitare Mosca alla fine degli anni Ottanta: si aspetta che accada qualcosa. Non esistono similitudini politiche fra gli ultimi anni di Castro e la Russia di Gorbaciov, se non nell’atmosfera: l’attesa che presto qualcosa cambierà irreparabilmente. "Lo ha detto il Comandante in Capo: la continuità rivoluzionaria è stata garantita", spiega Angel Bueno dalla postazione avanzata del socialismo nel suo barrio. "Se vuole la mia opinione personale, credo che il successore sarà Raul. Ad altri piace Carlos Lage o Felipe, oppure Alarcon". Raul Castro, 74 anni e una salute non di ferro, è il numero due del regime; Lage ha il controllo dell’economia; Felipe è il ministro degli Esteri Perez Roque; Alarcon è il presidente dell’Assemblea nazionale del potere popolare, il parlamento. Sono tutti fra la quarantina e la sessantina. Cuba ha una Costituzione il cui articolo 94 spiega che "in caso di assenza, malattia o morte del Presidente del Consiglio di Stato, questi sarà sostituito nelle sue funzioni dal vicepresidente". Raul prenderà il posto di Fidel, dunque. Ma più o meno come a Washington, il vice diventa presidente fino alla scadenza del mandato in corso. Nel caso specifico, l’attuale quinquennio presidenziale di Fidel finisce nel 2008. Poi la commissione incaricata indicherà il candidato unico alla successione che dovrà essere eletto dai 609 deputati dell’Assemblea nazionale. "Se guarda chi occupa le principali cariche del governo e del partito al centro, in ogni provincia e ogni municipio, l’immensa maggioranza non ha fatto la rivoluzione del 1959", dice Jorge Lazcano, dell’ufficio di presidenza del parlamento. "Gli uomini che hanno partecipato all’assalto della caserma della Moncada nel 1953 e alla lotta sulla Sierra Maestra fino al ’59, si contano sulle dita di una mano. un’altra generazione quella che garantirà una transizione più graduale e razionale". Questo è ciò che spiega la costituzione e che dice il partito. Poi c’è il resto, l’incertezza del futuro. Nessun sistema politico, ancor meno questo, sostituisce per meccanismi automatici un uomo come Fidel Castro, al potere da 46 anni. Per quanto Cuba sia un’isola, non è fuori dal mondo. A 140 miglia nautiche ci sono gli esuli di Miami che aspettano; un po’ più a Nord c’è l’amministrazione Bush che non sarà distratta per sempre dall’Irak. Poi ci sono gli 11 milioni di cubani di Cuba, la maggioranza dei quali è troppo impegnata a sbarcare quotidianamente il lunario per essere interessata dalla politica. Almeno fino a quando c’è Fidel. A Miami, a Washington, in Europa, in America Latina e soprattutto a Cuba aspettano tutti quel giorno: c’è chi lo fa con rassegnazione nella passività e chi, più o meno apertamente, si prepara al dopo. Il governo americano ha un piano, uno lo hanno gli esuli di Miami, molti li sognano i dissidenti interni. Pensare che al vertice del potere cubano credano invece di continuare a governare come in questi 46 anni di potere castrista, significa fare un torto alla loro intelligenza. Anche loro sanno che in qualche modo bisognerà riformare. Sapendo di non avere molti esempi di successo cui riferirsi. Eccetto i regimi dell’Estremo Oriente, dalla caduta del Muro di Berlino non esistono precedenti: i regimi socialisti non sono stati riformati, sono cambiati. "Credo, o dovrei dire temo, che noi cubani passeremo i restanti anni del XXI secolo a discutere se condannarlo o perdonarlo", diceva sul "Pais" di Madrid lo scrittore esule Eliseo Alberto, riferendosi a Castro. Passando davanti ai manifesti che invitano ad avere "fermezza e dignità", i cubani accettano di affollarsi sui camelos, autobus da 300 posti, riciclati dagli aeroporti e trainati da vecchi camion di fabbricazione sovietica: la soluzione socialista alla mancanza di mezzi pubblici e di benzina. La gente si arrangia utilizzando i benefici garantiti dalla rivoluzione e le ambiguità del sistema dove molto è vietato ma alla fine, per praticità, silenziosamente tollerato. Sono le stesse conquiste sociali del castrismo che alla fine ne segneranno la fine, insieme alla natura. I laureati a Cuba sono 800mila, uno ogni 15 abitanti; uno ogni otto ha un’educazione superiore; tutti sanno leggere e scrivere, unico caso dell’America Latina. Sono le aspettative di una generazione così educata e così lontana dal ricordo degli eroismi rivoluzionari, che imporranno un cambiamento. Vamos bien, dice Fidel Castro da un manifesto davanti alla scuola odontotecnica nel centro di Havana. Il punto di riferimento è il "periodo speciale" dal 1991 al ’95, quando i russi smisero di garantire aiuti e petrolio per circa 7 miliardi l’anno. L’ultimo assegno da 4,3 miliardi risale al 1990. Ora le cose vanno meglio ma non bene e la colpa ufficiale non sono i limiti del socialismo ma il bloqueo, il boicottaggio economico imposto dagli Stati Uniti dopo la crisi dei missili del 1962. "Non è una scusa", protesta Jorge Lazcano. "Ci costa non meno di 2 miliardi di dollari l’anno. Dall’inizio del blocco abbiamo avuto un danno da 800 miliardi: significa rallentare di 15 anni lo sviluppo del Paese". Convinto come Arafat che l’abito faccia il monaco, Fidel Castro continua a portare la sua divisa militare verde e il cinturone. così, come sempre, che appare alla mesa redonda, la tavola rotonda televisiva diventata ormai un dialogo unidirezionale fra lui e la gente. Aveva incominciato l’8 marzo, festa della donna, presentando la nuova pentola a pressione cubana per cuocere il riso e risparmiare energia. Poi l’appuntamento bisettimanale è diventato quasi quotidiano. Ogni sera Fidel parla in diretta, ininterrottamente per due ore, a volte per cinque. L’intero governo partecipa silenzioso alle sue spalle: risponde se interrogato e quasi sempre corretto da Castro. Non c’è un tema preciso: l’anniversario della Baia dei Porci, le provocazioni del capitalismo, il terrorismo, il voto contro Cuba della Commissione Onu sui diritti umani, l’educazione dei giovani, la spesa delle massaie. La settimana scorsa ha parlato per due ore dei ventilatori autarchici che risparmiano corrente. Forse sui cubani che sono più fidelisti che marxisti, questi comizi senza fine hanno un effetto positivo. Per gli altri, anche coloro che provano simpatia per la rivoluzione cubana, sono una penosa dimostrazione di senilità. Ciò che ogni sera, con replica la mattina, la televisione manda in onda è tuttavia realtà: il potere di Fidel è assoluto e sta per finire. Ugo Tramballi