15 maggio 2005
Tags : Islam Abdughanievich. Karimov
Karimov IslamAbdughanievich
• Nato a Samarcanda (Uzbekistan) il 30 gennaio 1938. Politico. «[...] ex-segretario regionale del Pcus [...]. Così come per i suoi colleghi centrasiatici, la fine dell’Urss fu un profondo choc psicologico per Karimov. Cresciuto in un orfanotrofio di Stato, egli aveva passato gran parte della sua vita a servire il paese dei Soviet per vederlo poi dissolto dalle manovre di Boris Eltsin. Lasciato alla deriva dagli egoismi della nuova Russia, Karimov cercò di riaffermare nel nuovo quadro geopolitico regionale la centralità politica che l’Uzbekistan aveva avuto negli anni sovietici e, parallelamente, la propria immagine di ”uomo forte” del Centro Asia. Attraverso una serie d’esercizi elettorali manipolati, Karimov si è reso de facto sovrano a vita di questa repubblica che, per il peso demografico e la posizione di crocevia regionale, è cruciale per la stabilità del centro Asia. Il regime di Karimov si è subito distinto quale il più repressivo fra gli eredi dell’Urss. Particolare crudezza è stata applicata nell’eliminare gli oppositori politici: i partiti non leali sono stati espulsi dalla vita politica e ai loro capi veniva fatto capire che era meglio che abbandonassero il paese. La stessa volontà accentratrice si è manifestata nella sfera religiosa, che dopo l’interdizione dei partiti politici è divenuta il terreno del dissenso. A partire dal 1998, quando fu introdotta una legge ”sulla libertà di coscienza e le organizzazioni religiose”, il regime ha cominciato a sanzionare qualsiasi deviazione dalle norme sull’insegnamento e la distribuzione di materiali religiosi. Oltre a chiudere l’80% delle moschee registrate, ha iniziato ondate di arresti di ”fondamentalisti”, senza emettere contro di essi accuse definite - a volte basta portare ”barbe sospette”. In questo senso Karimov è un precursore nell’utilizzo dell’armamentario propagandistico della ”guerra al terrorismo”. E però la persecuzione cieca dell’islam politico si è risolta nella radicalizzazione dei suoi adepti. In Uzbekistan si è diffusa la propaganda di filiere islamiste transnazionali (quale l’Hizb-ut-Tahrir el Islami, ”Partito della Rinascita islamica”) ed è emersa la lotta armata. Nel 1999 questa si manifestava sin nella capitale, Tashkent, segnando una rottura. Da quel momento apparve in modo netto come, nonostante le ambizioni smodate del suo presidente, l’Uzbekistan indipendente non era in grado di trasformarsi in un nucleo aggregatore per lo spazio centrasiatico. Le incursioni islamiste di quell’anno misero inoltre a nudo l’errore di calcolo strategico della presidenza. Questo si basava sulla volontà di scalzare la Russia dall’Asia centrale, per dominare la scena come ancella regionale degli Stati Uniti che nel frattempo avevano iniziato il loro ”grande gioco” nella regione. Nel frattempo emergevano altre contraddizioni. Il regime aveva cercato di mantenere la presenza dello Stato nell’economia, tentando di preservare la società dalla disintegrazione sociale neo-liberale che aveva sconvolto i suoi vicini. Ma questo, oltre a mettere il paese in contrasto con le istituzioni finanziarie internazionali, non poteva funzionare in un paese con le dimensioni e le condizioni strutturali d’isolamento proprie all’Uzbekistan post-sovietico. Negli anni ’90 l’Uzbekistan è stato investito dagli effetti dell’onda lunga demografica permessa dai precedenti decenni di welfare sovietico, un aumento della pressione umana in un contesto ambientale già pesantemente eroso dallo sfruttamento intensivo delle risorse - in modo particolare di quelle idriche, per le quali il paese, uno dei principali produttori mondiali di cotone, dipende dai vicini Tagikistan e Kirghizistan. Inoltre lo sbocco naturale della produzione uzbeka è la Russia, e su questo s’infrangeva la volontà d’antagonismo di Karimov. Iniziò così una lotta interna, (assolutamente opaca per gli osservatori esterni, dato il controllo totalitario della vita pubblica) fra i clan regionali che definiscono la piramide del potere di Karimov. Così, anche quando il regime dichiara che l’ennesimo attentato è stato compiuto dalla mano dei ”fondamentalisti islamici”, molti vi vedono piuttosto l’azione di forze interne, quali clan tribali esclusi dal potere o servizi segreti deviati, espressione in ogni caso del numero crescente di quanti si preoccupano per la strada senza uscita in cui il presidente ha messo il paese. [...] A dispetto delle sue dimensioni ragguardevoli, l’Uzbekistan è in gran parte desertico: così che la vita si concentra nelle aree pedemontane del sud-est, in particolare in questa vasta valle divisa dalle frontiere sovietiche, di cui la repubblica occupa la parte principale, incuneata tra montagne appartenenti ai vicini Tagikistan e Kirghizistan. Un buon quinto della popolazione di tutta l’Asia centrale risiede in questa valle in cui pressione demografica, crisi ecologica e pauperizzazione estrema creano condizioni sociali esplosive. qui che da oltre un decennio prendono piede le organizzazioni islamiche più radicali. Nonostante la crescente natura dittatoriale l’Uzbekistan coltiva sin dalla metà degli anni ’90 una special relationship con gli Usa, emersa dopo l’11 settembre 2001. Dapprima Washington aveva esecrato il regime uzbeko, non tanto per le sue repressioni dei diritti umani ma perché rifiutava di svendere la sua parte di eredità sovietica al Fmi. Poi però Washington ne ha fatto il proprio campione - non appena Karimov ha assicurato la sua disponibilità a condurre una politica anti-russa ed anti-iraniana. Dopo l’inzio dell’occupazione americana dell’Afghanistan Karimov credette di cogliere nell’arrivo degli Usa nella regione la grande occasione per ridare fiato al suo sistema di potere. Poi però il regime si è reso conto dei pericoli del ”partenariato strategico” con Washington per tornare a cercare l’appoggio di Mosca. [...] Karimov ha sottoscritto con Putin un accordo di cooperazione strategica che prevede la possibilità per ciascuna delle due parti d’utilizzare le infrastrutture militari presenti sul territorio dell’altra - ossia un diritto teorico per Mosca di ficcare il naso nei movimenti attorno alla base americana in Uzbekistan. [...] con il dilagare della strategia Usa delle ”rivoluzioni di velluto” nello spazio post-sovietico, pur mantenendo la presenza militare straniera, Karimov ha accentuato il suo distacco dalla Nato. [...]» (Fabrizio Vielmini, ”il manifesto” 14/5/2005).