Enrica Brocardo, Vanity Fair, 19/05/2005, 19 maggio 2005
Jean-Michel Folon, Vanity Fair, 19/05/2005 Ci sono un uomo, un gatto, un cavallo, un punto interrogativo
Jean-Michel Folon, Vanity Fair, 19/05/2005 Ci sono un uomo, un gatto, un cavallo, un punto interrogativo... Queste sculture rappresentano il viale dei pensieri: tutti ne abbiamo sempre tanti in mente e uno scaccia l’altro. Un uomo cammina per strada e pensa alla donna che ama, poi di colpo ha voglia di partire per un viaggio, allora la sua testa diventa una valigia". Mentre parla l’artista belga Jean-Michel Folon, 71 anni, accompagna le parole con il braccio, lungo, sottile come il resto del corpo. Indossa un paio di pantaloni bianchi, una camicia gialla, una giacca di un colore indefinibile. Tutti gli abiti sono almeno di due taglie più grandi. Vicino a lui, la moglie, Paola Ghiringhelli (suo padre era il fondatore di una famosa galleria di Milano, Il Milione), lo sfiora appena: è una donna piccolina, ma dotata di un’evidente solidità lombarda, e la sensazione è che, se non fosse per quel tocco quasi inavvertibile, forse Folon sarebbe già sparito chissà dove, seguendo quella propensione al volo che lo attraversa dai piedi, che posano leggeri per terra, alle ciocche un po’ rade che gli svolazzano intorno alla testa, come se volessero disperdersi ognuna in una direzione diversa. Folon e la moglie sono insieme a Firenze per seguire l’allestimento della sua grande mostra che rimarrà aperta dal 12 maggio fino al 18 settembre. Ci sono gli acquerelli, tuttora le sue opere più famose, uno di 50 centimetri può vendere a 20 mila curo, il doppio di dieci anni fa. E inoltre sculture, piccole, quasi tascabili, come l’uccello scolpito in un pezzo di legno trovato in Messico, e giganti, come la "valigia di quattro metri in bronzo, aperta come una finestra su Firenze e attraversata da un volo di uccelli". Il riassunto di un’avventura che lui ci racconta così. "Quello che faccio è folle. Al mattino entro nel mio laboratorio, vedo un pezzo di legno o una pietra e comincio a lavorarla, suona il telefono, me ne dimentico e quando torno comincio a fare un’altra cosa. In giro per lo studio ci sono cose che ho trovato qui e là, cassette della frutta, vecchi giocattoli: oggetti che avevano una vita che si è rotta. Li raccolgo perché ho voglia di dargliene una nuova. A volte mia moglie cerca di mettere ordine nel mio disordine, ma non ha ancora capito che il mio disordine è perfettamente ordinato. Però, devo riconoscere che, se non ci fosse stata lei, questa mostra non si sarebbe mai fatta. meraviglioso: qui ci sono tutte le mie cose, una vita fatta di intuizioni, voglie, pensieri ... ". L’INIZIO. "Da Bruxelles a Parigi sotto la pioggia, facendo l’autostop. Avevo 21 anni, mio padre voleva che studiassi architettura, io volevo disegnare, sfuggire alla noia belga, avere i cinema, i musei, le donne, avere tutto. Finalmente si fermò un’auto: era una jeep senza capote. Arrivai bagnato da strizzare, senza sapere dove andare a mangiare, a dormire. Non sapevo neppure per quale ragione ero andato a Parigi". L’INCONTRO. "Nella seconda metà degli anni Sessanta venni spesso in Italia. A Milano vidi Paola, che adesso è mia moglie, per la prima volta. Ma solo di sfuggita. stato a Venezia che ci siamo incontrati per davvero. C’era il temporale e noi eravamo in un piccolo albergo, la finestra era aperta, era sera, faceva caldo. Un fulmine colpì un lampione proprio davanti a noi, ci fu un rumore molto forte, le scintille. Lei si spaventò, e istintivamente si buttò fra le mie braccia: "Che cos’è? Che cosa succede?", mi chiese. "Niente. Solo un colpo di fulmine", le dissi. E questo è stato l’inizio. Trent’anni fa". A MONTECARLO. "A Monaco sono arrivato per caso alla fine degli anni Ottanta. Ho sempre desiderato andare verso Sud: mi piacciono i pittori che amano la luce, Picasso, Matisse, Bonnard, Cézanne, Chagall. Avevo degli amici artisti che lavoravano lì, mi avevano detto che c’era una luce fantastica e tanta tranquillità. Non è per una questione di tasse, di denaro. I soldi non contano niente. A me servono per fare delle sculture, magari in bronzo, alte quattro metri. Il mio studio è nel porto di Monaco, in una ex area industriale. Dappertutto gli artisti finiscono per recuperare vecchi posti abbandonati, fabbriche, caserme, perché una delle loro funzioni è fare il contrario di quello che fa il resto del mondo. Tutti vogliono il progresso, la tecnologia trionfante, io penso che occorra dare un futuro al passato. A Monaco lavoro, non ho mai messo piede al casinò. Però vado spesso al cinema. Mi piacciono i film di Scorsese, Wenders, Polanski. E di Federico Fellini". FEDERICO FELLINI. "Mi chiamava "Foloncino", chissà perché. Fellini l’ho conosciuto negli anni Settanta. Tutti lo amavano e lui amava tutti, soprattutto quelli che lavoravano dietro le quinte, le sarte, i falegnami. Una volta un giornalista gli chiese perché girava i suoi film. "Perché posso dare lavoro a trecento persone", gli rispose. Anch’io ogni tanto mi chiedo se continuo a produrre nuove opere per poter lavorare con gli artigiani. Forse sarebbe più pratico viaggiare. Da un po’ di tempo ho voglia soprattutto di passeggiare, andare nei musei, nelle chiese: adoro le ali degli angeli". LA BARCA. "Circa cinque anni fa, nel porto di Monaco, ho visto una nave di legno che aveva l’aria un po’ stanca. Tre anni dopo l’ho rivista a Cannes, era lì, occupata a morire. Ma era così bella che ho voluto salvarla. Dopo averla comprata sono andato in un piccolo café, in sottofondo c’era un disco di Judy Garland, cantava Over the Rainbow. Ho deciso che quello era il suo nome". IL FIGLIO. "Ho voluto la barca soprattutto per guardare le stelle. Con mio figlio, qualche notte, abbiamo cercato di contarle. Lui soffre di autismo, ormai è grande, ha quasi 40 anni, ed è davvero difficile trovare qualcuno che aiuti le persone come lui. Un po’ sta con me, un po’ vive in uno dei centri che furono creati dall’attore Lino Ventura: aveva una figlia autistica e si era reso conto che di loro, dopo una certa età, non si occupa più nessuno. Ora è impaziente di venire a vedere la mostra di Firenze, lo terrò per la mano e gli farò fare tutto il giro. Mio figlio è il mio complice, il mio migliore amico". IL SIGNIFICATO DELLE COSE. "Quello che cerco di fare è inventare dei misteri che spesso io stesso non capisco. Per fortuna la gente me li spiega. In Belgio c’è una mia scultura che l’alta marea ricopre quasi completamente, poi l’acqua si ritira e riemerge. C’è una signora che abita lì e tutti i giorni la guarda dalla finestra. Una volta mi ha fermato e mi ha detto: "Voglio spiegarle la sua scultura, lei forse non lo sa, ma le onde ormai ne fanno parte". geniale, mi ha fatto capire il dialogo che si è creato tra la cosa più immobile del mondo, una statua di bronzo, e quella più viva, il mare. Un’altra signora, invece, mi ha detto: "La piccola sirena di Copenaghen finalmente ha trovato un uomo". Quando le persone mi spiegano le mie opere dicono sempre cose poetiche. E se sono poetiche hanno ragione". Enrica Brocardo