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 2005  maggio 12 Giovedì calendario

50 anni di Feltrinelli, Panorama, 12/05/2005 pag. 209-210 C’è Il dottor Zivago, naturalmente. E non poteva mancare Il Gattopardo

50 anni di Feltrinelli, Panorama, 12/05/2005 pag. 209-210 C’è Il dottor Zivago, naturalmente. E non poteva mancare Il Gattopardo. Ma tutti i dieci titoli rieditati per l’occasione con la copertina originale sono altrettante "perle", come le chiama Inge Feltrinelli, che ogni editore vorrebbe nel suo scrigno: da Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez a L’amante di Marguerite Duras, passando per Homo faber di Max Frisch o Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli. Ed è legittimamente orgogliosa, la presidente della casa editrice, di festeggiare con questo regalo ai lettori (solo 10 euro a volume) i primi cinquant’anni della Feltrinellì. Che, resistendo alla tragica morte del fondatore (Giangiacomo rimase ucciso con una carica d’esplosivo su un traliccio nel 1972) e alla crisi, anche economica, che ne seguì, oggi può vantare 19 premi Nobel fra i suoi autori, un catalogo di 2 mila titoli, 150 nuove uscite all’anno. A Inge Feltrinelli Panorama ha chiesto di raccontare questo successo in cui lei tanta parte ha avuto. Quanti anni ha passato alla Feltrinelli? Quarantacinque. Sono entrata in questo ufficio, anzi nell’anticamera di questo che era lo studio di Giangiacomo, nel 1960. L’avevo conosciuto ad Amburgo, nel 1958, da Rowohlt, l’equivalente dì Gallimard per la Germania, uno degli editori per cui lavoravo come fotoreporter. Giravo il mondo a fotografare gli autori e all’epoca ne avevo già incontrati molti e importanti, come Ernest Hemingway e Simone de Beauvoir. Com’era la casa editrice? Piccola ma già molto importante: in soli quattro anni aveva sfornato due best-seller mondiali: Il dottor Zivago e Il Gattopardo. Io arrivai proprio in pieno boom Gattopardo. Ricordo un incontro con il vecchio Arnoldo Mondadori che non si dava pace: "Era proprio un libro adatto a noi! " diceva arrabbiatissimo. In realtà Elio Vittorini, che l’aveva bocciato per I’Einaudi perché "troppo tradizionale ", l’aveva invece approvato per la Mondadori. Ma con un giudizio tiepido. Non fu l’unico a lasciarselo sfuggire: il manoscritto girò fra i maggiori editori. Cose che capitano continuamente. Lei, per esempio, per quale libro si mangia ancora le mani? Oh, molti. Per esempio I figli della mezzanotte di Salman Rushdie. Toni Maschler, il suo editore inglese, mi raccontò meraviglie di questa storia di bambini poverissimi che vivevano sulla strada di Bombay. Lo lessi, capii la qualità del libro ma pensai che li avevamo anche noi i bambini di strada al Sud e che, insomma, il tema non era poi così nuovo. Nei primi anni in che cosa sì differenziava la Feltrinelli? Credo che la caratteristica principale fosse, e sia ancora, la capacità di fare squadra. Giangiacomo era un grande editore, aveva fiuto e passione. Ma poteva contare su un gruppo eccezionale. Gente come Enrico FiIippini per citarne uno solo, che ci ha portato autori come Gúnter Grass, Friedrich Dúrrenmatt, Max Frisch. García Márquez, allora totalmente sconosciuto, fu invece scoperto da un nostro redattore che leggeva lo spagnolo. E qualche pornografo avrà scoperto Henry Miller: ne avete avute di seccature per il suo "Tropico del cancro". Un incubo! Però è stato anche divertente: lo avevamo fatto stampare in Svizzera per evitare che venisse sequestrato direttamente in tipografia. E i librai, poverini, si improvvisarono contrabbandieri facendo entrare le copie in Italia via Mentone. Nel 1972, dopo la morte di Feltrinelli, lei si è trovata sola a capo di tutto. Giangiacomo aveva preso le distanze dalla Feltrinelli già da tempo, Comunque non ero sola: come ho detto, c’era una squadra dì persone molto affezionate che nella tragedia non scapparono ma rimasero unite. Devo ringraziare loro e Milano, che mi ha dato la solidarietà e il coraggio per andare avanti. Erano gli anni di piombo, anni difficili per il Paese e anche per voi Sì. La casa editrice ha avuto enormi difficoltà: le banche hanno chiuso i rubinetti, è stata durissima. Per fortuna c’erano le librerie: una grande íntuizione di Giangiacomo che diventarono anche un’importante risorsa. Quante erano, allora? Alla sua morte solo sette. Oggi sono 90 fra librerie, megastore e Feltrinelli.village: di questi ultimi, collocati nei centri commerciali e negli aeroporti, vado particolarmente orgogliosa perché portano i libri dove non sarebbero mai arrivati. Mi dicono che a quello di Olbia la domenica vanno famiglie intere: la mamma compra il libro, il papà il dvd e il figlio un videogame per la Playstation. Tutti i punti vendita vanno benissimo ma da tempo non sostengono più la casa editrice, che si regge e prospera da sola. Il rilancio editoriale ed economico è iniziato negli anni Ottanta con un altro best-seller: "L’amante" di Duras. Franco Occhetto, il compianto fratello di Achille, insistette molto per riorganizzare la narrativa dopo gli anni di piombo: nuova grafica e nuovi autori. E io andai a Parigi nell’impresa disperata di conquistare la Duras. Lei non voleva saperne perché aveva avuto esperienze non felici con altri editori in Italia. Sapeva di avere scritto un libro importante e lo proteggeva. Come ha fatto a convincerla? Con molta pazienza. L’avevo conosciuta da Vittorini e sapevo che era una donna difficile, anche se non immaginavo quanto. Ricordo lunghe giornate a casa sua: io, lei e galloni di whisky. Era già devastata dall’alcol? Non del tutto: aveva ancora un bel viso ma era molto trasandata, si vestiva malissimo. Era egocentrica e parlava sempre di sé. Ma il libro era stupendo e fu subito un successo: 150 mila copie bruciate in poche settimane. Gli scrittori maledetti sono fra i più amati dai vostri lettori. Per esempio Charles Bukowsky, Oddio, lui non era poi così maledetto: giocava col personaggio dell’ubriacone, lo enfatizzava. In realtà era molto autoironico, divertente, colto e sensibile. Anche se si vestìva come un barbone e avrebbe avuto bisogno di un bravo dentista. Piace ancora tanto oggi perché non c’è nulla di falso in ciò che ha scritto: ha fatto la fame quasi tutta la vita e ha incontrato il successo solo dopo i 50 anni, come Henry Miller, L’ho conosciuto a Los Angeles: aveva una fidanzata giovane e bella, Linda, che lo amava e proteggeva come una mamma: mi scrive ancora. Quali sono gli autori che ama di più? Ho un antico e profondo rapporto d’amicizía con Nadine Gordimer e Doris Lessing. Proprio in questi giorni mi è arrivata una lettera della Gordimer in cui mi fa gli auguri per i 50 anni della Feltrinelli e mi dice che sono il suo più vecchio editore: tutti gli altri sono cambiati, mentre è con noi dal 1961, una bella soddisfazione. Gordimer è uno dei 19 Nobel Feltrinelli. Uno dei miei più grandi desideri è pubblicarne un altro e andare a Stoccolma per la premiazione: è la festa più bella del mondo, e io adoro le feste. Nei giorni scorsi è morto Saul Bellow, altro premio Nobel e, brevemente, autore Feltrinelli. Purtroppo alla sua premiazione non ero andata perché avevamo litigato, anche se poi ci siamo riconciliati. Grande scrittore, uomo simpaticissimo e molto sexy. Ma non aveva alcuna sensibilità con le donne. Correva, letteralmente, dietro alle mie amiche spaventandole a morte. Non ha mai capito niente delle donne: non a caso ha avuto cinque mogli e quattro gli hanno portato via tutto. Però era uno spasso: a New York mi portava a mangiare deliziose "jewish delicatessen" in posti che conosceva solo lui e la migliore cheese cake della città da Reuben, una pasticceria che non c’è più. stato, con Philip Roth e Norman Mailer, uno dei tre grandi ebrei della letteratura americana: quanto mi sarebbe piaciuto pubblicarli tutti quanti! Quali altri autori invidia ai concorrenti? Moltissimi: avrei voluto pubblicare il primo Milan Kundera e, oggi, mi piacerebbe molto avere Ian Mc Ewan. Ma non si può pubblicare tutto. Valeria Gandus