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 2005  maggio 10 Martedì calendario

Il Cavaliere porta fortuna all’Ingegnere. Il Giornale 10 maggio 2005. Sul giornale di Berlusconi (Paolo) e della Mondadori (Marina B

Il Cavaliere porta fortuna all’Ingegnere. Il Giornale 10 maggio 2005. Sul giornale di Berlusconi (Paolo) e della Mondadori (Marina B.) cerchiamo di spiegare perché la Repubblica di De Benedetti (Carlo) durante i governi di Berlusconi (Silvio) abbia fatto affari (d’o ro). Non siamo folli. Ma vorremmo rompere un piccolo equivoco che un’inchiesta della Repubblica potrebbe ingenerare: e cioè che durante i dieci anni di Berlusconi, ci sia stato un "effetto governo". E che, in particolare, "i titoli delle tv del premier hanno guadagnato il 187%. Un’anomalia nel panorama dei media europei". L’anomalia, se davvero esiste, è l’improvvisa "modestia" dell’ingegnere. E in questa rapida controinchiesta, numeri alla mano, dimostreremo l’apparente indimostrabile: Berlusconi porta fortuna all’Ingegnere, tanto da farsi surclassare. Come si fa a dimenticare che il Gruppo editoriale L’Espresso negli ultimi dieci anni ha aumentato il suo valore di Borsa del 500 per cento? Insomma, duole ammetterlo, quasi tre volte meglio delle reti del Biscione. Se scandalizza la sua performance governativa, fa ancora più scalpore quella del suo concorrente. Secondo i dati rielaborati (salvo piccole correzioni) dal centro Studi di Mediobanca il Gruppo editoriale L’Espresso, dal 1994 ad oggi, è passato, considerando anche l’acquisizione della Repubblica, da un valore di Borsa di circa 350 milioni agli attuali due miliardi di euro. Quasi cinque volte tanto. Bravi, eccome. Insomma che si agiti pure la mannaia del "conflitto di interessi" nell’arena della politica, ma quando si scende sul terreno dei numeri conviene fare due conti per bene. Insomma mai ci saremmo aspettati di dover ammettere che il Cavaliere con le sue televisioni ha fatto peggio dell’Ingegnere. Ma non è finita. Oggi ci siamo messi proprio di buzzo buono e siamo andati a vedere qualche altro "successo" debenedettiano. Il più clamoroso, tra i clamorosi, è la sua diversificazione nel campo regolamentato dell’energia elettrica. La storia è semplice. Cinque anni fa, De Benedetti decide, con l’inizio della liberalizzazione dell’elettricità, di comprare e vendere energia. Si allea con gli austriaci della Verbund e forma una società comune che si chiama Energia. Nel frattempo compra un po’ di centrali dall’Enel (70 milioni in cash e 70 milioni di impegni di ristrutturazione). Bene. Soprattutto per lui. Nel giro di un lustro (berlusconiano) De Benedetti valorizza il gioiellino 880 milioni di euro. Da zero. Chapeau. Nel frattempo, in un mercato competitivo e globale come quello della componentistica automobilistica, trasforma, parafrasando una sua recente intervista, una piccola impresa "bonsai" come la Sogefi in un "baobab" da 1 miliardo di euro. Ci inchiniamo. Un "capolavoro" che fa però discutere e che ha bruciato le dita a molti resta però la quotazione del "conto corrente" di casa, la Cdb Web Tech. All’apice di "quella che Io chiamo Net Economy" (come disse, quando ancora non era modesto, agli inizi del 2000), Cdb portò a casa una valorizzazione di 3,3 miliardi di euro per il suo conto corrente. Nel quale c’erano investimenti in società high tech per 70 milioni e differiti per 400. Nel giro di due mesi il titolo passò, ma stava crollando tutto, da 42 a 11 euro. Oggi vale 2,7. De Benedetti alleggerì la sua partecipazione nel giro di due giorni, a ridosso della quotazione, incassando 180 milioni di euro, di quella che a breve sarebbe diventata carta quasi da gettare. Il tempismo. Editoria, energia, finanza, ma anche industria sul mercato globale: Cdb ha avuto dieci anni d’oro. Si è scrollato di dosso l’eredità disastrosa di Olivetti e oggi naviga a rimorchio di manager e figli che gestiscono alla grande il suo impero. Quando dunque vi racconteranno che Cdb non Ama Berlusconi, non credeteci. I due si adorano. Tutto il resto sono bugie. Così come quando il 28 giugno del 1995, Cdb al Sole 24 ore ebbe a dire: "L’Olivetti fuori dai Pc? come pensare ad una Fiat che non faccia più automobili". L’ingegnere guarda avanti. Nicola Porro