La Repubblica 07/05/2005, pag.15 Filippo Ceccarelli, 7 maggio 2005
Quella foto di mio padre con il repubblichino fucilato. La Repubblica 7 maggio 2005. Ci vuole pietà - e a volte nemmeno quella basta - per sfogliare "Guerra Civile
Quella foto di mio padre con il repubblichino fucilato. La Repubblica 7 maggio 2005. Ci vuole pietà - e a volte nemmeno quella basta - per sfogliare "Guerra Civile. 1943-1945-1948. Una storia fotografica", che Pasquale Chessa ha pubblicato per Mondadori. Si vedono soldati-bambini (come oggi in Africa), prigionieri sconvolti, plotoni d´esecuzione e un numero impressionante di morti ammazzati, ripresi dall´obiettivo sui greti dei fiumi, per le strade, sui banchi dell´obitorio. A pagina 136, immagine atroce e primordiale, c´è un´istantanea scattata a Piacenza il 28 aprile 1945, il giorno della liberazione. Addossato a un muro, riverso, c´è un repubblichino appena fucilato; e ai piedi di quel cadavere, come davanti a un trofeo di caccia, una dozzina di partigiani armati. Il secondo da destra è il padre di Marco Follini. Vittorio Follini è morto due anni fa. Era un signore gentile, mite e anche spiritoso, di poche parole. Democristiano, giornalista ed esperto di comunicazione, a suo tempo collaboratore di Aldo Moro. Quanto di più lontano si possa immaginare da quel giovane guerriero. Conosceva l´esistenza di questa foto? "So che c´era. Credo di ricordare che Giorgio Pisanò ne fece la copertina di un suo libro, intitolato, mi sembra, "Sangue chiama sangue"". E a casa sua? "Non era una questione di cui chiedere conto. Sapevo che mio padre era stato partigiano, ma a 10 anni, quando uscì quel libro, si ha il diritto di non fare domande". Qui riconosce suo padre? "Certo. E´ davvero molto giovane. Del resto, a 16 anni gli era scattata la molla di andarsene in montagna. Suo padre, cioè mio nonno, era un ufficiale e dopo aver combattuto in Africa con Rommel, finì in un campo di prigionia in America. Mio padre fece la scelta opposta: si arruolò in una brigata di "Giustizia e Libertà". Mi ha sempre colpito quella sua scelta così netta in un´età così giovane". Avrebbe parlato spontaneamente di questa foto? "No, non avrei mai preso carta e penna per esprimere le mie sensazioni, ma se mi si chiede cosa ne penso, rispondo che nei suoi racconti partigiani mio padre ha sempre cercato di rimuovere tutto ciò che era violento, crudo, aspro, duro. Sempre si sforzava di attenuare l´impatto di quel trambusto. Sottolineava semmai gli aspetti più umani, il rispetto per gli avversari, anzi per i nemici... " Cosa le raccontava? "Mi raccontava storie di vita, non di morte. La volta che era riuscito a salvare un suo compagno di scuola, che per ricompensarlo lo accompagnò a recuperare un cane lupo a casa dell´attore Osvaldo Valenti, nel frattempo giustiziato dai partigiani, che era rimasto lì da giorni, senza cibo. Mi raccontava di quando fu preso prigioniero, e ormai sicuro di finire davanti al plotone, se la cavò per ragioni, come dire, di sesso: lo scambiarono infatti con il federale di Piacenza, che a sua volta era stato catturato dai partigiani perché tutti i giorni, con regolarità, andava dall´amante". Ma qualcosa gli era rimasto dentro? "Per forza. A volte ci scherzava anche: "Sono stato un bandito", diceva. Si prendeva in giro, per esempio sul fatto che chiamandosi Vittorio, come nome di battaglia aveva scelto "Victor", il che non l´aiutava affatto a nascondersi. Eppure c´era l´ansia di lasciarsi alle spalle un´esperienza violentissima. Si vantava di aver fatto rispettare, nella loro virtù, delle ausiliarie della Rsi. Cercava di farmi capire che dall´altra parte c´erano persone in carne ed ossa, non bersagli a cui sparare. Non ho mai capito se questo suo atteggiamento, questa specie di edulcorazione del ricordo, fosse per risparmiare a me, che ero un bambino, o anche a se stesso, la parte più orribile della guerra che aveva vissuto bruciandosi la giovinezza". Chiese mai a suo padre se aveva ucciso qualcuno? "Mi rispose: "Penso di aver risparmiato la vita a qualcuno". Era questa la sua contabilità. Antifascista, non c´è dubbio: ma senza retorica, senza enfasi, senza odio canonico, scarnificando il ricordo come chi vuole chiudere una stagione. Dopo la liberazione fu brevissimamente vicequestore di Piacenza, poi cominciò a fare il giornalista, con l´Associated Press. Ebbe pure una medaglia, che poi a casa andò persa: non era il tipo da tenerla sotto vetro, in una teca". La foto comunque fa effetto: quella gente attorno a quel morto. "In realtà non sappiamo l´altro lato della storia, non ne conosciamo i precedenti o le ragioni, se vi sono. Capisco le esigenze della storia, della memoria e anche della documentazione. E tuttavia, mettersi in posa davanti a una macchina fotografica, si capisce solo calandosi nello spirito di quegli anni". Ma oggi... "Oggi quell´immagine è lontana anni luce da tutti noi, abituati a una guerra sempre più tecnologica, a tal punto fatta di segni luminosi e fluorescenti da sembrare un wargame. Oggi la guerra ha perso la sua terribile materialità. Eppure, sfogliando il libro, si capisce che quello di farsi ritrarre in quel modo è un costume del tempo. Si sentivano un po´ tutti in diritto e dovere di lasciar traccia di quello che avevano vissuto, determinato e prodotto. Si direbbe un bisogno di fare memoria". La memoria meno condivisa che si possa immaginare. "Non credo alla memoria da condividere. Non è lei che pacifica, semmai l´oblio. Il tempo che passa sbiadisce l´occasione celebrativa e il passo si fa più leggero. C´è chi ha proposto di abolire il 25 aprile. "Non sono d´accordo, è una data che mi è cara. Ovviamente va sfrondata da tutti gli eccessi: quelli della retorica e anche quelli della faziosità. Beninteso: dimenticare è impossibile, ma il ricordo pesa di meno, e nessuno ne è oppresso. Nell´Italia del 1943-1945 ci sono Ragioni e Torti, con la letterea maiuscola. E´ chiaro da che parte stanno. Ma sotto la volta immensa della storia ci sono tante vicende umane in cui le ragioni e i torti si mescolano. Non tutti i partigiani erano senza peccato, non tutti i repubblichini erano l´incarnazione del male assoluto. Direi che questa doppia lettura ci protegge dalla sproporzione del relativismo e del fanatismo: la vita scorre in mezzo. In questo spirito sono lieto che quel mio giovane padre fosse pensoso e determinato, non allegro o trionfante". Ma gli altri partigiani sì... "Forse pensavano solo che avendo ucciso quel cecchino avrebbero risparmiato se stessi. E´ la guerra, con i suoi crudi proverbi: mors tua, vita mea. A volte si dimentica con quale terribile varietà di stati d´animo una frase come questa viene pronunciata, o anche solo pensata". Filippo Ceccarelli