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 2005  maggio 11 Mercoledì calendario

MORSELLO Massimo. Nato a Roma il 10 novembre 1958, morto a Londra (Gran Bretagna) il 10 marzo 2001. Cantante

MORSELLO Massimo. Nato a Roma il 10 novembre 1958, morto a Londra (Gran Bretagna) il 10 marzo 2001. Cantante. Autore. «[...] ex militante dei Nar, Nuclei armati rivoluzionari: condannato a otto anni e due mesi per banda armata, ha vissuto a Londra, da latitante, fino al ’99, quando è potuto tornare in Italia. [...] ”La musica è tipo quella dei cantautori di sinistra degli anni ’70. De Gregori, per capirci, è l’autore che ammiro di più. Per questo mi è stato affibbiato il nomignolo di De Gregori nero [...] mi hanno detto che questo accostamento lo infastidisce parecchio [...] Lo ammetto: eravamo un po’ presuntuosi, ci sentivamo uomini speciali, cavalieri coraggiosi che combattono contro un mondo vile e materialista [...]» (Michele Brambilla, ”Sette” n. 1-2/2005). «[...] il De Gregori di destra, il cantautore estremista che alla fine degli anni Settanta profetizzava la nascita di un fiore nero sul cemento e si batteva contro ”i tiranni della democrazia” [...] rimasto ben presto orfano di padre, Morsello a soli 14 anni si butta con tutte le forze nella lotta politica, dalla parte sbagliata come direbbe il suo omologo rosso nella più recente versione semi-revisionista su Salò. Militante nel Fuan di via Siena, resta coinvolto negli incidenti, con relativo omicidio di Alberto Giaquinto, di Centocelle. Nell’agosto del 1980, per sfuggire a un mandato di cattura, si rifugia Oltremanica con un gruppo di camerati. Nella capitale inglese, dove si considera in esilio (vedi la canzone Roma del 1981), dopo parecchi stenti e vari umili lavori, riesce a creare, con alcune società immobiliari e agenzie di viaggi gestite in pieno spirito corporativo, un vero e proprio miracolo economico. Tanto eclatante che molti parlano apertamente di appoggi, più o meno occulti, dei servizi segreti inglesi. Fedele alla Messa Tridentina e al ”cattolicesimo inadulterato, romano ed eterno”, consapevole di non essere un uomo di oggi (come cantava nell’album Per me... e la mia gente del ’78), nel settembre del 1997, insieme a Roberto Fiore, fonda Forza Nuova, un movimento politico che mescola istanze moderne con l’eredità fascista e la tradizione cattolica. Se Fiore ne è il braccio operativo, lui ne rimane il vero padre spirituale e l’ideologo.
Nell’aprile ’99, cadute le accuse nei suoi confronti, ormai libero di tornare in Patria, Massimo Morsello sbarca all’aeroporto di Fiumicino, dove viene accolto dall’amico Francesco Storace, esponente di punta di Alleanza Nazionale e [...] presidente della Regione Lazio. Ma ormai la tremenda malattia non gli dà più tregua [...]» (’Libero” 11/3/2001). «[...] Gli anni 70 volgevano al termine. Ci voleva coraggio, non soltanto morale, per opporsi alla sinistra. Eppure, nelle scuole e nelle strade, c’era chi si dimostrava capace di un orgoglio difficile. Certo, ci fu anche lo spontaneismo armato. Col senno di poi è facile classificarlo fra gli sbagli. Ma allora, per far politica, bisognava prima di tutto essere vivi. Uccidere un fascista non è reato, si leggeva sui muri, e si ascoltava dalle voci scandite nei cortei. Martiri della libertà, come Sergio Ramelli, sono ancora misconosciuti. Per viltà, per subordinazione postuma ai padroni di ieri. L’atteggiamento di Massimo, e di molti con lui, non era diverso da quello di coloro che si erano schierati con la Repubblica Sociale. Sperare contro la speranza, opporre la volontà al fato. Anche quella che si combattè nella stagione del delitto Moro fu una guerra civile. [...] A rendere vano il sacrificio di quella generazione non furono però la repressione, il carcere, l’esilio. Essi, come la parte migliore dei loro omologhi di sinistra, non compresero, o non vollero comprendere, che di lì a poco il mondo sarebbe cambiato. Le speranze di riscatto e la voglia di futuro non sarebbero più transitate dalla politica. [...] Chiamarlo il De Gregori nero è quantomeno ingeneroso. Chi, come lui, si dedicava alla musica alternativa, non poteva certo contare sulla macchina dello spettacolo, che era, ed è, ben altrimenti schierata. Quei versi, quando li compose, erano forse l’unica forma di espressione possibile. Si ascoltavano in registrazioni di fortuna e passavano di bocca in bocca. Un modo per riconoscersi. C’è, in quelle parole, una malinconia lacerante. Furono scritte quando tutto era già finito. La voce dei vinti, che pure trovano la forza di non piegarsi. Era forse l’ultimo dei romantici, Massimo Morsello. Durante l’esilio londinese riuscì ad affermarsi come imprenditore. Controcorrente anche in questo, non usò la politica per fare i soldi, ma i soldi che aveva guadagnato continuò a usarli per fare politica. Contro il mondo, contro la storia. Entrare nella vita dalla porta sbagliata, come dicevano i suoi Canti assassini, e poi sentirsi morire, ma non era la morte, ancora. [...]» (’Libero” 13/3/2001).